Niente paura, Source Code di Duncan Jones non è roba da viaggio nel tempo con macchine a quattro o senza ruote.

Trattasi, invece, come spiega (in modo reticente ovvio…) l’organizzatore di tutto l’ambaradan, più semplicemente di “ricollocazione temporale”, quella che vede il capitano dell’esercito degli Stati Uniti Colter Stevens risvegliarsi in un treno di pendolari diretto a Chicago senza la benché minima idea di come sia arrivato sin lì.

In realtà, a sua insaputa (indovinate un po’ perché…), è stato coinvolto in una segretissima operazione militare diretta a scoprire l’attentatore che si nasconde tra i viaggiatori del treno, operazione resa possibile sfruttando gli ultimi bagliori dell’attività mentale di una delle vittime. Tornato così sul luogo dell’attentato, Colter ha a disposizione otto minuti per individuare l’attentatore ed evitare la strage (se otto minuti vi sembrano pochi tenete conto che sono replicabili…)

Buona variazione sui paradossi temporali che rimanda più a P. K. Dick e a Déjà Vu - Corsa contro il tempo piuttosto che a Ritorno al futuro.

Sembra di capire che Duncan abbia una certa predilezione per i personaggi maschili solitari alle prese con compiti tutt’altro che semplici da portare a termine (vedi Moon con Sam Rockweel al posto dell’odierno Jake Gyllenhaal…).

Il film corre spedito e la sceneggiatura infila qua e là piccole trovate che alzano ulteriormente il livello del film, tipo il comico antipaticissimo e il rifiuto dell’equazione islam=terrorismo.

Peccato, ma c’era da aspettarselo il finale ultraottimista pari ad un triplo salto mortale senza rete, capace di salvare in un colpo solo capra e cavoli, quelli di qua, quelli di là, quelli nel mezzo, tutti insomma.

Occhio, perché se La guerra dei mondi di Spielberg è stato a suo tempo considerato da alcuni come film bushista, questo allora è chiaramente “obamiano”.