Nel 40° anniversario dell'Oscar come miglior film straniero al film di Elio Petri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, le Edizioni Lindau pubblicano un nuovo titolo della collana Cinema. Si tratta di un volume che analizza il film di Petri scritto da Claudio Bisoni.
Elio Petri Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Claudio Bisoni (Edizioni Lindau) - pag. 148 + inserto fotografico - euro 16,00 - ISBN 978-88-7180-925-0
Accolto da un grande successo al momento della sua uscita nelle sale, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Grand Prix Speciale della Giuria al 23º Festival di Cannes e premio Oscar come miglior film straniero nel 1971) è considerato uno dei capisaldi del cinema politico. Il linguaggio cinematografico classico, l’eccellenza tecnica della realizzazione e il robusto piglio narrativo sono al servizio di una storia che racconta l’impunibilità del Potere. Un Potere che ha il volto di Gian Maria Volonté, in una delle sue più celebri interpretazioni. In questo libro Claudio Bisoni analizza le tecniche di messa in scena, le scelte di montaggio, l’uso particolare del décor, la costruzione della maschera di Volonté e si sofferma sui rapporti che il film intrattiene con la commedia all’italiana e con la produzione hollywoodiana. Il profilo che emerge è quello di un’opera che riflette sul ruolo perverso dell’autorità nella nostra società, e che, interrogandosi sul nesso eros/politica, contribuisce a tracciare alcune delle coordinate lungo le quali continueranno a muoversi, nell’arco di un decennio, il cinema italiano e la cultura cinematografica.
Il libro contiene un inserto fotografico, con una serie di sequenze significative del film, e un'Antologia critica che ripropone una selezione di articoli e recensioni di grandi firme dell'epoca.
Claudio Bisoni insegna Storia e metodologia della critica cinematografica presso l’Università di Bologna. Si occupa dei rapporti tra critica, estetica e processi culturali. Tra le sue pubblicazioni: Brian De Palma (Recco, 2002); La critica cinematografica. Metodo, storia e scrittura (Bologna, 2006); Gli anni affollati. La cultura cinematografica italiana (1970-1979) (Roma, 2009). Suoi saggi e articoli sono apparsi in volumi collettivi e su varie riviste, tra cui «La valle dell’Eden», «Fotogenia», «Close-up». Per Lindau ha pubblicato (con Roy Menarini) Stanley Kubrick. Full Metal Jacket (riedito nel 2010).
Dal libro:
Dimenticato e riscoperto Il cinema di Elio Petri ha avuto un destino bizzarro. Ancora nel 2007 Alberto Barbera apriva così il catalogo fotografico dell’omaggio al cineasta organizzato dal Museo del cinema di Torino: «Registi ingiustamente sottovalutati sono stati accolti nell’olimpo dei maestri, autori osannati oltremisura sono stati riportati a una dimensione più confacente ai loro meriti reali. In ogni caso, per tutti – o quasi tutti – i protagonisti dell’epoca d’oro del cinema italiano si è assistito a un costante e apprezzabile lavoro di revisione e approfondimento critico. Non per Elio Petri, nei confronti del quale il plebiscito ottenuto presso il pubblico da molti dei suoi film più famosi fu inversamente proporzionale agli apprezzamenti di una critica che, con poche eccezioni, ne fece il bersaglio preferito di una battaglia ideologica dalle premesse alquanto discutibili, il prototipo di quanto andava evitato al cinema in quel momento». Proprio intorno al 2007 però le cose cominciavano a cambiare. Non solo riguardo a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ma anche allo stesso Petri. Nel 2006 vede la luce un cofanetto con DVD dedicato al cineasta, preceduto di un anno da una monografia su uno dei suoi film più eccentrici, che si contorna di un alone quasi cultuale: La decima vittima (1965). In contemporanea all’omaggio torinese compare una raccolta degli scritti di Petri, a cui bisogna aggiungere la riedizione per Sellerio di Roma ore 11, il libro inchiesta all’origine del film omonimo di Giuseppe De Santis. A ben vedere, la battaglia ideologica dalle premesse discutibili di cui parla Barbera era un fronte poco compatto di idee e individui che per un motivo o per l’altro guardavano con sospetto al cinema del cineasta romano. Comunque, «c’è un momento, agli inizi degli anni ’70, in cui su Petri tirano tutti la loro palla, come ai baracconi del luna park». Andiamo con ordine. Su un primo fronte troviamo coloro che muovono rilievi soprattutto politici. Si tratta delle critiche e degli argomenti che oggi più risentono del passaggio degli anni (semantica dell’eufemismo). Sono le accuse di spettacolarizzazione e di assenza di rigore teorico. Leggi: di analisi di classe. Anche fuori dalla polemica più militante, era possibile trovare un giudizio simile: «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, “prodotto” perfetto in quanto fruibile a diversi livelli e su diversi piani di lettura […] noncuranti gli autori e i loro estimatori della profonda frattura che si opera fra la levigata e ammiccante rappresentazione di una “patologia da potere” […] e la realtà, ben più atroce […], che proprio in quegli anni […] giovani studenti e meno giovani militanti vivono sulle piazze». Per quanto riguarda gli strumenti di analisi, valga quel che dice Fofi su Indagine in Il cinema italiano: servi e padroni, un formidabile compendio del gusto della sinistra italiana «Mao-oriented» tra gli anni ’60 e ’70: «I dati spettacolari e quelli politici uniti attentamente […] a un’ottica personale che è quella di una cultura di influenza esistenzial-dubitativa. Scavo nei personaggi e nelle loro crisi; aureole sartriane, pirandelliane e kafkiane nonché freudiane; dati esistenziali ingigantiti rispetto alla società che li produce e alla sua strutturazione oppressiva». Su un altro fronte (non opposto ma complementare) si trovano le contestazioni di tipo cinefilo. Qui l’accusa è un’altra: il cinema politico di Petri non si interroga sull’ideologia dell’apparato e delle pratiche significanti. In altri termini, non produce la riflessività presente nel cinema politico «autentico», cioè materialista (Godard e Straub). Secondo questa prospettiva anche i riferimenti a Brecht sono superficiali ed eretici. Come ha ricordato di recente Fredric Jameson, per Brecht il problema dello stile non è immediatamente quello modernista (alla Barthes) di segnare uno stacco dal linguaggio comune mostrando la natura costruita del medium e del messaggio. È piuttosto un problema di intransitività: lo stile risulta in qualche modo cancellato, sottratto. Il che rimanda a un vuoto di espressività. L’opposto di quanto avviene in Petri. Ed ecco crearsi un gioco di opposizioni: ascetismo versus ridondanza simbolica, grigiore ricercato di superfici e ambientazioni versus deformazione espressionista anche attraverso il colore. E così via.
L'INDICE
5 Introduzione
21 Il film
23 Trama
29 Sequenze
41 La rappresentazione del potere
65 Tra Hollywood e la questura
87 La commedia e la maschera
103 Epilogo: il cuore (della politica) nel sesso
129 Antologia critica
143 Bibliografia
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