La formula del romanzo apocalittico ha previsto, nel tuo caso, ambientazioni ad effetto e soluzioni stilistiche ritmate e originali: com’è nata l’idea e come l’hai sviluppata? Lo stile è scaturito spontaneamente o ha risposto a un progetto?
L’idea del libro è partita da due elementi.
Il primo visivo\visionario\esperienziale: qualche anno fa percorrendo la Via Francigena mi sono fermata a riposare nei pressi di una cascina abbandonata in Lomellina, a un certo punto con mio grande stupore ho visto un cane che si buttava giù dalla finestra. Era una sorta di piano rialzato, quindi basso e il cane non si è fatto niente, tuttavia quella scena insolita ha lavorato dentro di me, dando luogo all’incipit del libro con i cani suicidi e alla costruzione di un ambiente così degradato e pericoloso.
Il secondo elemento è psichico, sono i versi del poeta Vittorio Reta che ho messo in esergo al libro:
L’ovale dove stavano nascosti i sogni
è chiuso da tre morse che lo cingono da tre parti
come uno specchio schiacciato, tutte fatte a forma di zampa di rapace.
Da queste parole misteriose e paurose è nata la costruzione del Poeta dei Graffiti, l’io narrante, mezzo uomo e mezzo bestia che comincia la sua trasformazione proprio inserendo al posto di una mano la zampa di un rapace.
Lo stile è venuto spontaneo, e penso sia scaturito dalla personalità del protagonista: tutta la storia è narrata dal suo punto di vista e mi sono fatta guidare dal suo modo di parlare e pensare istintivo, virile e potente. Non ho progettato quasi nulla prima di iniziare a scrivere, ho preso solo qualche appunto sull’ambiente in cui i personaggi si muovevano, io stessa sono rimasta molto stupita di avere prodotto una trama così picaresca, prima di scriverlo non me lo sarei mai immaginato.
C’è un filo nero che collega quel futuro al nostro presente?
Sì, certo. Ma io vedo quel futuro già come presente. Alcuni elementi, ad esempio il mare di catrame sono richiami a una terribile attualità e altri sono frutto delle sguardo spietato con cui i protagonisti guardano al loro quotidiano. Essi hanno certamente una vita interiore molto ricca e per questo motivo sono capaci di trasfigurare potentemente l’ambiente intorno a loro, hanno una sorta di terzo occhio.
I tre protagonisti sono ombre di altre metafore?
Non ho pensato ai tre protagonisti come metafore di qualcosa, mentre scrivevo di loro li sentivo vivi e palpitanti. Persone, non simboli. Piuttosto ho avuto qualche problema a capirli fino in fondo. Soprattutto il vecchio Astrologo che non dice una parola per tutto il libro.
Per questo motivo il capitolo dedicato a lui è una disamina del suo tema natale: ho tentato di inquadrarlo meglio usando il suo linguaggio.
Se Andrej facesse un salto nel tempo e ti chiedesse com’è la nostra epoca, cosa risponderesti?
Gli direi che è un’epoca terribile e divertente, ricca di spunti e imprevedibile. E lo pregherei di fermarsi un po’ con qui noi, perché mai come ora c’è bisogno della potenza del sogno e del desiderio e Andrej, essendo un poeta, sa bene di cosa parlo. Abbiamo bisogno di lui!
E se tu incontrassi l’Astrologo, uomo-mago dai diversi poteri, cosa gli chiederesti?
Gli chiederei di prendermi come sua discepola.
L’amore come illusione rincorsa e poi fagocitata: una conseguenza della distruzione di quei tempi o una visione sempre attuale?
Come dice il titolo di una mia poesia È l’amore la bestia più calda. Penso che sia una visione arcaica e attuale, non un segno dei tempi. L’amore è ciò che permette al Poeta dei Graffiti e ad Andrej Babilonia di andare avanti, e il loro farmaco contro la disgregazione dell’io. E il loro unico cibo nella situazione assurda in cui versano, ma diventa loro malgrado anche l’elemento che spariglia le carte e distrugge gli equilibri.
I paesaggi nel romanzo e gli ibridamenti nei corpi
I paesaggi del romanzo sono ciò che mi ha più affascinato mentre lo scrivevo. Anche se la città non ha nome, è modellata su Milano, città che io amo profondamente e che soprattutto in alcune sue zone -periferia nord est, dove vivo- mi ispira visioni di tipo apocalittico che mi atterriscono e affascinano enormemente. Alcuni edifici, per esempio la sede della società dell’acqua potabile, sono per me una specie di ossessione e tornano nel romanzo. Per quanto riguarda l’ibridamento dei corpi penso che ci stiamo sempre più avvicinando, la follia collettiva che ha modificato i canoni di bellezza nella società dello spettacolo ne è un esempio, mi è venuto quindi spontaneo, pensando al futuro, mettere in campo creature mostruosamente ibride.
Ti sei misurata con altre forme di scrittura, sia narrative che poetiche e questo è il tuo primo romanzo. Come vivi il tuo status di scrittrice?
Fin da piccola ho vissuto la scrittura come un incarico. Non faccio differenza tra poesia e prosa, la radice è sempre la stessa, è il mio modo di avanzare, scoprire, conoscere la realtà. Vivo la scrittura con grandissima emozione, e le dedico gran parte dei miei pensieri. Diciamo pure che ogni esperienza che faccio, bella o brutta che sia, è per me un semi-lavorato rispetto alla pratica dello scrivere.
Poi sono felice che tanta gente accolga i miei libri con affetto e ammirazione, per me questo è fondamentale, pensare che ciò che scrivo arrivi agli altri dà un senso alla mia vita.
Cosa stai scrivendo ora?
Scrivo sempre poesie, seguendo il mio bioritmo: più poesie tra la primavera e l’autunno, meno in inverno. Inoltre sto scrivendo un secondo romanzo dal titolo Marcovalda 2000, ha la stessa struttura del capolavoro di Calvino, a ogni stagione è dedicato un capitolo. Sono le avventure di una ragazza in una grande città sconosciuta, piena di pericoli e sorprese, che si snodano lungo sette anni, 28 stagioni-capitolo. È un romanzo a chiave, tutti i personaggi sono veri, ma camuffati.
Cosa stai leggendo?
Sto leggendo La possibilità di un’isola di Michel Houllebecq, artista che mi interessa molto, il libro di poesie Tà, poesia dello spiraglio e della neve di Ida Travi e Lo smaltimento il primo romanzo di Paolo Gentiluomo, un poeta che ho sempre ammirato.
Ci saluti con una citazione dal romanzo?
Ora che anche l’ultimo orpello a cui mi aggrappavo è andato perduto, ora che non sono più niente, solo un uomo, sono esausto.
Mi fermo qui. E lascio fare al mare.
Se il tuo libro fosse un tarocco, quale sarebbe?
La febbre sarebbe il Diavolo, il XV arcano maggiore.
Il Poeta dei Graffiti gli somiglia molto sia fisicamente (il diavolo, in molti mazzi è rappresentato con gambe squamate, coda, zanne e corna) sia spiritualmente, infatti questa carta simboleggia il lato oscuro della creatività, le lotte per il potere, il superamento di sè stessi, la distruzione e la rinascita.
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