Cos’è la realtà se non uno degli attributi della finzione letteraria? E se un vero autore scrivesse veri libri con storie riguardanti fatti reali e questi fatti si ripetessero ogni volta che li si legge? Dove si finirebbe? Semplice: nell’infinito e variopinto mondo degli pseudobibia.
Il titolo “Sola... in quella casa”, affibbiato con dubbio gusto in Italia in un periodo in cui spopolavano titoli con la parola “casa” - e che spesso erano creati ad hoc nel nostro Paese e con le case non c’entravano nulla! - non rende assolutamente il senso di spaesamento della pellicola diretta dal canadese di origini ungheresi Tibor Takács, il cui titolo è geniale ed autocitante. “I, Madman” (“Io sono il pazzo” secondo il doppiaggio italiano) è sia il terribile maniaco protagonista della storia che il libro da lui scritto, testo a cui è legato a filo doppio. La stessa differenza la si ritrova nelle locandine: quella italiana millanta una storia di case infestate - rifacendosi ad una tradizione di pura mistificazione, visto che neanche nel film “La Casa” c’è una casa infestata! - mentre quella originale si trova un gioco visivo di escheriana memoria. Il maniaco del titolo ghermisce una terrorizzata lettrice, la quale stringe fra le mani un libro con in copertina lo stesso maniaco, in un gioco di rimandi potenzialmente infinito.
Di questo infatti parla la storia del film “I, Madman”: del rapporto tra Lettore e Lettura, che genera ciò che l’Autore ha creato...
Malcolm Brand (Randall William Cook) è un misterioso autore di romanzi terrificanti: «al suo confronto i libri di Stephen King sembrano favole per bambini». Virginia (Jenny Wright), la protagonsita, è una grande lettrice di questo genere di storie e su una bancarella le capita casualmente “Il diabolico marchio del peccato” (Much Madness. More Sin. Più avanti, nel doppiaggio, lo stesso titolo verrà tradotto con “Nel nome della pazzia e del peccato”). Ecco la trama: «Messo alla berlina dai colleghi scienziati a causa dei suoi esperimenti per tentare di creare una forma di vita superiore, il dottor Alan Kessler, noto zoologo, continua i suoi studi al riparo dagli occhi del mondo nella segreta penombra del suo laboratorio». Inutile dire che gli esperimenti daranno vita a una creatura mostruosa e che il resto della storia annegherà nel sangue!
«Perché leggi questa roba?» è la domanda del fidanzato di Virginia. «Non lo so, mi faccio prendere - è la risposta della donna. - È come quando mangi i salatini: non puoi fermarti. Comunque questo è diverso dagli altri, è scritto molto bene.»
Virginia racconta a tutti gli amici della sua passione per questo autore e soprattutto del cruccio di non poter mettere le mani sull’unico altro libro da lui scritto: “Io sono il pazzo” (I, Madman). Un giorno trova questo libro davanti alla sua porta: il regalo di un amico? Forse...
Ecco la trama di questo romanzo. «C’è un tipo, un poeta - be’, in realtà è un medico ma è stato radiato dall’albo - comunque quest’uomo è innamorato pazzo di un’attrice che si chiama Anna Templer, ma lei non lo degna di uno sguardo perché pensa che sia troppo brutto. È disperato, farebbe qualunque cosa per lei e così una notte va davanti allo specchio, si anestetizza il viso con della novocaina e poi con il bisturi inizia ad incidersi il naso, le orecchie, la bocca... tutto. È pazzo d’amore.»
Curiosamente il protagonista del libro è anche qui un dottore, e curiosamente un uomo dal volto deturpato comincia ad apparire sempre più spesso negli incubi di Virginia. Forse hanno ragione i suoi amici a dire che certe letture le fanno male, ma forse è successo qualcos’altro...
La realtà ad un certo punto si è ritirata di fronte alla finzione letteraria sprigionata da Malcolm Brand: proprio mentre Virginia legge i suoi libri, degli omicidi vengono commessi e - c’è bisogno di dirlo? - corrispondono in tutto e per tutto a quanto scritto nelle pagine dei due romanzi citati.
Brand appare alla donna sempre più spesso, perché è ossessionato da lei e lei ne ha terrore: proprio come nel romanzo “Io sono il pazzo”, così come omicidi e mutilazioni corrispondono riga per riga. La fiction ha invaso la realtà e la protagonista (e noi spettatori con lei) non riesce più a distinguere le esperienze vissute in sogno da quelle reali... e c’è poi tutta questa differenza?
In fondo la “reale” vita di Malcolm Brand ha tutte le caratteristiche del classico romanzo horror. «Quel tipo era un pazzo, passò l’ultimo anno della sua vita in un manicomio: lì scrisse il suo ultimo libro»: così riassume l’editore dei due romanzi di Brand. Durante il suo discorso - funestato da vari errori di traduzione nel doppiaggio - esce fuori il ritratto di uno scrittore paranoico ma geniale: smette di scrivere perché i propri personaggi glielo impediscono... a livello fisico! La sua creazione non è solo letteraria, bensì decisamente concreta e terribilmente pericolosa.
Quando ormai intorno a Virginia c’è solo sangue e morte, quando ormai un Brand più demoniaco che scrittore sta per ghermirla, la donna ha un’intuizione: un pericolo letterario si affronta solo... a colpi di finzione letteraria! Il pericolo rappresentato dal maniaco del secondo romanzo si affronta con la creatura mostruosa creata dal dottore del primo: in fondo basta leggere le parole di Brand perché quello che vi è descritto prenda forma e quindi... chi di penna ferisce, di penna perisce, aggiungiamo noi!
“Sola... in quella casa” è un film squisitamente pseudobiblico, che ama giocare con gli strumenti della fiction letteraria e testimonia - nel suo piccolo - una grande verità: ciò che un autore crea, assurge a reale esistenza... in un modo o nell’altro.
Curiosamente, anche gli errori di traduzione nel doppiaggio segnalati prima hanno contribuito a “creare” invece che a rovinare. Quando l’editore parla del romanzo “Much of Madness, More of Sin” (prima tradotto con “Il diabolico marchio del peccato” e poi con “Nel nome della pazzia e del peccato”) accenna al fatto che il libro ha procurato all’autore un buon successo e un certo seguito (following), nel senso che ha riscosso l’interesse di alcuni fan: il doppiaggio cambia un po’ le carte in tavola e mette in bocca all’editore le parole «pubblicai anche un seguito». Non esistono seguiti del romanzo - e infatti tutto il discorso del personaggio ne risulta sballato - ma visto che stiamo parlando di una storia dove tutto nasce da una finzione, chi mai può dire che una traduzione imprecisa non possa creare un terzo agghiacciante romanzo di Malcolm Brand?
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