È da poco uscito il libro La passione del calcio (Perdisa Pop, 2011), di Franz Krauspenhaar, poeta, saggista, intellettuale poliedrico e anticonformista, e soprattutto romanziere con diversi libri all’attivo, tra i quali: Le cose come stanno, Baldini & Castoldi, 2003, Cattivo sangue, Baldini Castoldi Dalai, 2005, Era mio padre, Fazi, 2008).
La passione del calcio è un romanzo breve dove la trama è intarsiata dal susseguirsi dei ricordi e degli eventi calcistici che hanno segnato il nostro paese. O, in alternativa, si potrebbe definire un racconto lungo, fatto di reminescenze autobiografiche ma non solo: 154 pagine che scorrono in un baleno e lasciano un po’ di nostalgia anche a quelli che, come me, si disinteressano totalmente all’argomento calcio. Perché questo sport, nel libro, assurge ad allegoria di una passione che ha accompagnato per mezzo secolo una nazione, i suoi palpiti, le sue cedevolezze, le sue ombre. Tale nazione Krauspenhaar ha descritto attuando un passaggio magico dalla storia alla società al costume, dal globale all’individuale, dal tempo rarefatto e sfuggente all’istante fotografato. E l’ha fatto con la sua scrittura meticolosa e lirica, con la passione già preannunciata nel titolo sempre in agguato.
La formula del romanzo autobiografico ti è congeniale, come hai dimostrato anche nelle tue precedenti opere, penso ad esempio ad “Era mio padre” (Fazi, 2008), ma non solo. Come ti poni, da autore, nei confronti dell’esposizione del vissuto? Ti ci butti a capofitto o t’imponi di mantenere una distanza?
Mi ci butto. D’altra parte non posso fare altro. Devo sentire la materia, il libro dev’essere un viaggio esistenziale, una specie di avventura. Dunque devo saltare sulla barca e partire, non potrei esserne distaccato. Questo comporta un’esposizione anche psicologica, emotiva, ma siamo nati per vivere spesso intensamente, la vita ha senso per questo.
“La passione del calcio” introduce nell’autobiografia un elemento solo apparentemente esterno: il calcio. Ci racconti l’alchimia per cui un evento esterno si può radicare così profondamente nelle persone?
È come una vita ulteriore. La passione del calcio è un mettere una coda robusta alle nostre giornate, è il tentativo, a volte patetico, drammatico, quasi disperato, di dare un senso alla vita di persone che un senso l’hanno perso o non l’hanno mai avuto. E’ un viaggio anche questo, nel sogno, nella distrazione, nella passione appunto.
Spiega in pochissime parole a una neofita quale sono io cos’è questa passione per il calcio.
È come un forte additivo che viene dato alla vita di una persona. Una passione non ha vere spiegazioni, perlomeno non possiamo razionalizzarla, anche perché la psicologia non è una scienza esatta. Il calcio poi è una specie di plastico della vita stessa, una riproduzione ma più radicale. Ha delle regole che tentano implicitamente di misurare l’imponderabile. Può succedere di tutto, ma entro il recinto delle regole. Nella vita tale recinto c’è e non c’è, ma alla fine sappiamo bene che, come recita il titolo di un famoso film di qualche anno fa, “Tutto può succedere”. La bellezza anche estetica del calcio sta inoltre nell’essere sempre uguale e sempre diverso, nell’essere sorprendente ogni volta, come se una cerimonia religiosa fosse anche nel suo farsi diversa ogni volta, nonostante si recitino sempre, più o meno, le stesse preghiere.
Ti sei basato solo sui ricordi o ti sei ri-documentato? Per chi non ha ancora letto il libro: qual è il tuo ricordo calcistico più forte?
Solo sui ricordi, ho voluto scrivere il libro proprio partendo e concludendo nel segno della memoria, col rischio di sbagliare, di seguire le strane strade che la memoria percorre spesso cambiando la nostra percezione del vissuto. Nel libro rimarco queste diverse percezioni anche da un punto di vista sentimentale, perché il rapporto con la passione del calcio è diverso a ogni fase della nostra esistenza. L’ho scritto l’estate scorsa, a quasi 50 anni, in un momento di cambiamento, nell’entrata definitiva – si spera – nella maturità. Il ricordo più forte è senz’altro quello della semifinale Italia-Germania a Mexico 70. Una partita incredibile, l’epitome dell’imprevedibilità pedatoria, una lunghissima emozione, due paesi coinvolti – i miei due paesi, potrei dire, viste le mie origini- la mia età giovanissima (neanche 10 anni) ma già la capacità di sentire e registrare tutto, dunque con le potenzialità per diventare nel tempo uno scrittore.
In sottofondo sbuca a tratti una Milano cangiante, che si adatta al cinquantennio trascorso. Com’è il rapporto con la tua città?
Buono e cattivo. Sono uno di quei milanesi che critica la città a volte ferocemente ma che a volte non accetta certe critiche di gente che viene da fuori. Milano è molto odiata e molto amata. Dunque questo vuol dire che ha una personalità forte, ha qualcosa di unico, nel bene e nel male. È una città decadente e decaduta, se la penso com’era venticinque anni fa. La Milano da bere è esistita davvero, ed era una città viva, piena di speranze, ci si divertiva davvero e senza far debiti… Oggi è un mezzo mortorio, anche se a Roma, per esempio, io mi trovo benissimo ma per i primi due giorni… ma non potrei mai viverci, il loro non-ritmo m’indispone, mi mette di cattivo umore. Se devo cercare una puttana la voglio- per dire – che parli la mia lingua…
A pagina 31 e anche in altri punti paragoni la squadra del cuore con un’amante fissa della domenica. Ovvero...
Beh, è l’evasione dal solito, dalla settimana grigia al lavoro e con la moglie… È un appuntamento fisso con la passione. Dunque non c’è sorpresa in questo appuntamento, è tutto stabilito. Come in quelle storie – forse più comuni un tempo - in cui le persone sposate avevano per anni e anni un amante fisso, creando un ménage parallelo che non dovesse creare disfunzionamenti nel ménage ufficiale. Oggi tutto si è confuso, il matrimonio ha un valore soprattutto alla resa dei conti, davanti al giudice. Tutte queste leggi e leggine richieste dai nostri progressisti benpensanti non hanno senso: se decidi di rischiare alto col matrimonio ti prendi le tue responsabilità. Non vedo perché diritti sì e responsabilità no. Mentre comunque con la convivenza sei già garantito in caso di figliolanza. È tutto un enorme casino nel quale dobbiamo muoverci, talvolta come poveri pesci nell’acquario. E allora il calcio, oggi come allora, rappresenta una sorta di grande sfogo d’amore, vestendo i panni appunto della squadra del cuore. E’ un rapporto fortemente sentimentale, la squadra è proprio l’amante a cui si pensa tutta la settimana e che si vede la domenica per fare l’amore con rabbia, partecipazione, sentimento.
Cosa direbbe Maradona se leggesse il libro e le ultime pagine, a lui dedicate?
Non saprei. Sarei felice se gli piacessero.
E tu cosa gli risponderesti?
Se mi desse la sua approvazione gli direi che ne sono felice e gli darei una bella pacca sulla schiena.
Cosa stai scrivendo ora?
Un romanzo che parte dall’infarto che ho avuto a ottobre. Tra l’iperrealismo autobiografico e il suo opposto, forse: le percezioni extra sensoriali. Mi avventuro in un campo nuovamente vergine, per me.
Quale sarà il tuo prossimo libro?
Un romanzo che dovrebbe uscire a ottobre, con Gaffi. La storia di un pittore milanese quasi settantenne che ha vissuto cinquant’anni della nostra storia e ce la racconta, intessendola con la sua propria storia d’artista maledetto, di uomo in fondo arreso alla propria ossessione. Una sorta di lungo affresco puntellato da immagini molto crude – per esempio quelle della Strage di Bologna- di altri momenti capitali della nostra storia. In sostanza, come faccio spesso, la storia di un anima che si racconta attraverso malefatte e slanci di generosità, e nel cunicolo spesso angosciante della storia collettiva.
Ci saluti con una citazione?
Certo. “Non è vero che sono una testa calda. È il caldo che si trova a suo agio nella mia testa.”
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