In un precedente articolo abbiamo parlato del Pit Fighter, sottogenere marziale in cui il protagonista si ritrova per vari motivi a combattere illegalmente nei peggiori posti della città, rischiando spesso la vita: all’interno dello speciale sulle Martial Girls non si può quindi non parlare del Pink Fighter, cioè la versione femminile di quanto descritto sopra.
Nel 1989 il regista David Worth infiamma i fan del genere dirigendo “Kickboxer - Il nuovo guerriero”: il successo della pellicola lo spinge a ripetere l’operazione con un film che in alcune parti ha più di un debito con il precedente. Stiamo parlando di “Lady Dragon”, solo una delle molte pellicole che nel 1992 vedono protagonista Cynthia Rothrock, da poco sbarcata nella cinematografia USA dopo l’esperienza di Hong Kong.
Oltre a ritrarre una “donna tosta”, il film ha anche il pregio di sdoganare il genere Pink Fighter (nome che, va specificato, abbiamo inventato appositamente per questa rubrica e che non è attestato altrove!). La pellicola infatti si apre con Cynthia che partecipa ad un incontro clandestino organizzato da un bieco affarista: affronta un omaccione e con le tecniche di gamba che l’hanno resa celebre lo stende in un attimo. La scena è breve e questo film poi prende tutt’altra strada, ma l’immagine di una donna che partecipa ad un combattimento clandestino, genere che all’epoca sta nascendo ma solo al maschile, segna un punto di inizio.
Va citato il fatto che la Rothrock torna ad aprire un film con una scena di combattimento clandestino nel 1994, ancora una volta intenta ad affrontare un avversario maschile: il film è “Undefeatable - Furia invincibile”, produzione di Hong Kong ma girato negli States. È un film corale, con molti ottimi atleti marziali impegnati in combattimenti tuttavia non ben riusciti: la figura peggiore è riservata alla Rothrock tinta di rosso, le cui tecniche migliori nella pellicola sono eseguite vistosamente da uno stunt double!
Visto che - come si diceva - anche il pubblico statunitense pare ben disposto ad accettare donne in ruoli nati per gli uomini, ne approfitta l’emergente Mimi Lesseos, lottatrice di origini greche da parte di padre e messicane da parte di madre. Ultima di cinque figli, studia danza per volere materno e judo per passione. Dopo una carriera nella lotta professionistica, con l’inizio degli anni Novanta “Magnificent Mimi” (questo il suo nome di battaglia) si dà al cinema: quando non cura i film prodotti dalla propria casa cinematografica, la Lesseos fa la stuntwoman in film di successo e allena grandi star. Non è stato possibile stabilire l’esatto ordine cronologico, ma nel 1992 oltre a “Lady Dragon” abbiamo un altro film che affronta il tema del Pink Fighter: “Pushed to the Limit” di Michael Mileham.
Con questo film la Lesseos si getta nella mischia prendendo subito il controllo: il film infatti è prodotto, scritto e interpretato da lei, anche se però la donna non ha la lunga gavetta cinematografica della Rothrock, e si vede. È un’attrice totalmente improbabile e le scene di combattimento che porta sullo schermo sono approssimative e prive di spessore.
Visto che il film viene considerato biografico, la wrestler Mimi interpreta... una wrestler di nome Mimi! («È basato sulla mia vera storia - racconta la donna, - e di come sono entrata nel wrestling e nel full contact. Naturalmente ho dovuto romanzarla un po’») Suo fratello viene ucciso dal solito boss locale, il quale gestisce anche il Kumite: un torneo di combattimenti clandestini all’ultimo sangue. Mimi, per vendetta, entra nel circuito di lotta femminile e, dopo aver affrontato la terribile Inga, potrà affrontare il suo nemico e vendicarsi.
“Pushed to the Limit” (uscito in DVD nel 2006 ma tuttora inedito in Italia, come ogni altro titolo della Lesseos) è un film pessimo, mal girato e mal interpretato, eppure il suo stile si sposa perfettamente con i dettami della nuova ondata marziale che arriva dagli Stati Uniti, sia dal punto di vista visivo che della storia. La caratteristica di questa pellicola e di altre dello stesso periodo è la grande passione che sta alla loro base: non sono film fatti solo per guadagnare soldi (ed obiettivamente non ne hanno guadagnati molti!), sono atti d’amore verso un mondo marziale da parte di chi l’ha vissuto e vuole raccontarlo, anche se i mezzi che ha per farlo sono insufficienti. Black Belt Magazine (settembre 2002) racconta che la Lesseos ha venduto la propria casa per finanziare il film, e quando anche questo non è bastato, è volata in Giappone per partecipare al Frontier Martial Arts Wrestling, vincendolo e portando a casa il denaro sufficiente a finire la pellicola.
Rimaniamo inchiodati al 1992, quando si affaccia alla scena marziale un’ennesima “donna tosta”, molto marginale ma che merita lo stesso una menzione: Catya “Cat” Sassoon, vera ribelle nella sua breve e travagliata vita. Nata da uno stilista e un’attrice di Bevery Hills, abbandona prestissimo la scuola per fare la modella: a soli 15 anni sposa il figlio di un produttore cinematografico italo-americano, e anche se il matrimonio finisce presto, questo le apre le porte del cinema. Dopo qualche piccolo ruolo secondario, nel 1992 la troviamo come nemica di Don “The Dragon” Wilson nel film “Bloodfist IV: Die Trying” (uscito in TV come “Rischio di morte” e in DVD come “Rivincita pericolosa”) di Paul Ziller: è un ruolo pessimo e la Sassoon dimostra una totale inettitudine alla recitazione, ma questo non le impedisce di ritrovarsi protagonista l’anno successivo.
Nel 1993 il genere Pink Fighter guadagna forse il suo titolo peggiore: “Vendetta marziale” (Angelfist) di Cirio H. Santiago. Così come nel film precedente Mimi interpretava Mimi, in questo film Cat interpreta... Kat; nel precedente film a morire è il fratello della protagonista, qui è la sorella; saputo quindi che la sorella - agente dell’FBI - è stata uccisa da un gruppo di terroristi, Kat seguirà i malviventi fino nelle Filippine dove entrerà nel violento mondo degli incontri clandestini per cercare la propria vendetta.
Niente di ciò che avete visto nella vostra vita potrebbe prepararvi all’ignominia raggiunta da questa pellicola, un vero abisso di mediocrità che raggiunge il proprio apice quando la protagonista affronta un gruppo di scagnozzi combattendo in topless...
L’attrice non ha modo di cimentarsi ancora nei panni da protagonista: dopo una fugace apparizione in un altro film di Wilson, Cat Sassoon muore a trentatré anni per arresto cardiaco, probabilmente dovuto all’abuso di droga durante la sua vita.
La morte della Sassoon pare chiudere il discorso sul Pink Fighter statunitense: bisognerà attendere quasi vent’anni perché negli USA una “donna tosta” torni ad entrare nel circuito dei combattimenti clandestini, ma questa... è un’altra storia.
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