Il cinema marziale ha sempre dimostrato grande interesse per l’altra metà del cielo: non sono moltissimi i titoli con protagoniste donne forti e combattive, rispetto ai ruoli maschili, ma sono film che gli appassionati non dimenticano facilmente.
Per risalire alle origini del fenomeno delle Martial Girls, bisogna andare lì dove tutto è iniziato: il cinema di Hong Kong.
Le donne sono sempre state parte fondamentale della cinematografia asiatica, quindi è davvero arduo stabilire con assoluta certezza il momento esatto in cui i loro ruoli sono passati da principesse a guerriere. Per convenzione questa nascita la si fa risalire a “Le implacabili lame di Rondine d’Oro” (Come Drink With Me), film diretto nel 1966 da un nome di grande spicco come King Hu: il celebre regista vuole come protagonista Cheng Pei-pei, una men che ventenne ballerina di Shanghai da poco arrivata nella grande casa produttrice Shaw Bros. La giovane Pei-pei è intrigata dalla sfida e vuole dimostrare
Malgrado l’esplosivo successo della pellicola, anche a livello internazionale, va ricordato che “Le implacabili lame...” è un wuxiapian, un “film di cavalieri erranti”, genere che sin dalla sua nascita ha visto una presenza importante se non addirittura fondamentale di ruoli femminili di grande carattere e spessore. Sono però donne che non combattono quasi mai a mani nude, che cioè non si lasciano andare alla violenza bruta e volgare che rimane ancora appannaggio maschile: sono principesse, maghe o condottiere sempre fiere nel loro portamento e sempre dignitose in ogni situazione.
Tutto cambia con l’inizio degli anni Settanta.
Le prime avvisaglie possono essere riconosciute in alcune infime e grezze produzioni cinematografiche taiwanesi che però hanno un loro forte: la grintosa e fisicamente importante presenza dell’attrice Lingfeng Shangguan (ribattezzata, per un mercato più anglofono, Polly Shang-Kwan). Stiamo parlando di film girati con povertà di mezzi e di idee, la cui
Mentre Cheng Pei-pei incarnava la bellezza “innocente” e quasi solare, già Lingfeng Shangguan si pone come “donna quadrata”: Angela Mao incarna alla perfezione il personaggio di femme fatale dallo sguardo che uccide! Il fascino magnetico aiuta la donna a far fronte ad un’impresa ardua: scontrarsi con i migliori stuntman e lottatori di Hong Kong (non da ultimo il grande Sammo Hung) senza sfigurare: proveniendo la Mao dalla scuola dell’Opera di Pechino (come i migliori interpreti del genere) non esiste scena in cui risulti poco credibile...
Mentre nei film citati finora la trama si basava quasi unicamente sulla vendetta personale, con “Lady Kung Fu” il discorso prende la piega politico-sociale che aveva decretato il successo di “Dalla Cina con furore”: nella Seoul occupata dai giapponesi, Angela Mao si ritrova ad impersonare la versione femminile del Chen di Bruce Lee! Combatte i
L’anno successivo quasi lo stesso cast torna a dare vita ad un plot molto simile: “When Taekwondo Strikes” (conosciuto anche come “Sting of the Dragon Masters”).
Malgrado in questo periodo esploda la mania del gongfupian (film cioè dove si combatte esclusivamente a mani nude, o al massimo all’arma bianca, usando stili marziali codificati), le “donne forti” vengono subito
Il Pinky Violence di ambientazione moderna però non usa molta marzialità: in fondo sono storie di degrado urbano. Altro discorso per le storie di ambientazione storica, che possono invece considerarsi chanbara, il genere tipicamente giapponese di film che mostra combattimenti con la spada.
Una scena che non si dimentica facilmente, così come non deve averla dimenticata il regista cinese Robert Tai quando, nel 1986, la fa ripetere (ma solo per pochi secondi) ad Alice Tseng nel film “Ninja: the Final Duel”.
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