Vi interessano i misteri della Storia?

Vi piace l’archeologia? Sia quella “vera” che le avventurose versioni della fiction?

Il thriller è tra i vostri generi favoriti?

Subite in modo particolare il fascino del mix di questi elementi?

La risposta, ad una o più di queste domande, è “sì”?

Beh, allora in questi ultimi anni sicuramente avete giovato di un periodo favorevole: fatta la dovuta cernita volta ad escludere i più puerili, sconclusionati e mal scritti cloni dei più famosi bestseller, di occasioni per divertirvi con validi autori e testi godibili, talvolta persino sorprendenti, non vi dovrebbero essere mancate.

Ebbene, cavalcando l’ultima ondata di scrittori che hanno operato in quest’area della narrativa, vi presento oggi uno che è partito con il piede giusto. Sto parlando di Daniel Lavin, autore di The Last Ember (nell’edizione italiana: I Sette Fuochi del Tempio), un intrigante romanzo di debutto, che sa catturare l’attenzione.

E’ un piacere quindi ospitare Daniel Levin e il suo libro sulle nostre pagine web. Benvenuto su ThrillerMagazine!

Grazie a voi per l’ospitalità.

E’ d’uso partire con la biografia dell’autore. Non vado fuori canone, e inizio quindi chiedendole proprio di introdurre sé stesso ai nostri lettori.

Mi sono laureato in Civiltà Greca e Romana all’Università del Michigan, per poi specializzarmi alla Harvard Law School. Ho lavorato nell’ufficio del Presidente della Corte Suprema d’Israele, poi ho ricevuto una borsa di studio per l’Accademia Americana a Roma.  Ora vivo a New York. Sto lavorando al mio secondo romanzo.

Qualcosa in più sul suo periodo a Roma?

Gran parte dei Sette Fuochi del Tempio l’ho scritto nel periodo in cui vivevo in un attico del 17° secolo, a Campo de’ Fiori. Era il più romantico degli appartamenti. Non c’era il riscaldamento, e digitavo tenendomi addosso giacca e guanti. Lo amavo, quel posto. Quando ritornai a Roma, l’estate seguente, in borsa di studio all’Accademia Americana a Roma, ho vissuto al Gianicolo per tre mesi. Molto più caldo, sì, ma il ricordo di Campo dei Fiori è più profondo.

Ci racconti a grandi linee la trama dei Sette Fuochi del Tempio.

E’ un coinvolgente thriller internazionale dove l’archeologia è politica, dove la storia si dimostra assai più fragile di quanto pensiamo. La trama coinvolge un giovane avvocato che si ritrova a volare a Roma nel cuore della notte per poter difendere in un’aula la collezione privata di un cliente, che rischia di perdere la proprietà un prezioso manufatto. Ma l’avvocato fa una scoperta che lo costringe ad una corsa per la sopravvivenza, che lo porta dai labirinti sotto al Colosseo ai tunnel dell’era pre-biblica di Gerusalemme, fino a rivelare una vasta cospirazione di revisionismo storico che coinvolge il suo stesso cliente.

 

Nel libro, la Storia è approcciata sia con grande passione che con profondo rispetto. Il romanzo poggia solidamente su molta ricerca ma anche su esperienze personali, giusto? 

Ho speso due anni tra ricerca e scrittura. Poi, un altro anno con l’editore per rifinire il manoscritto, che in origine era enorme.

Ho avuto l’idea iniziale per I Sette Fuochi del Tempio mentre mi trovavo all’estero, come avvocato.

Stavo lavorando su un caso a Gerusalemme quando ho scoperto che il WAQF islamico, la “Fondazione per il patrimonio e le fondazioni pie” che tuttora controlla il Monte del Tempio, aveva sgombrato in discarica 20,000 tonnellate di detriti ricchi di materiale archeologico per cancellare ogni evidenza del passato giudaico-cristiano. Pensai che ne avrei potuto ricavare un grande romanzo. Le ricerche mi hanno portato fino alla stanza dei libri rari dell’Accademia America a Roma, nel labirinto sotto al Colosso, e poi sotto lo stesso Monte del Tempio.

Questo è il suo primo romanzo pubblicato. Ha scritto qualcosa prima, e tuttora inedito?

Solo rapporti legali! Di cui alcuni persino più lunghi del mio romanzo. 

Prima di spirare, l’imperatore Tito sentenziò “Ho fatto un solo errore.” Questa è Storia. Partendo da queste parole, lei ha immagina una sorta di cospirazione spionistica alla corte di Tito. E la figura storica di Flavio Giuseppe assume i connotati di un “agente doppio” ante litteram. Corretto?

Sì, è giusto. 

Nel libro, tre linee narrative indipendenti convergono in unico punto finale. Avrebbe potuto essere carino sviluppare persino un quarto vettore di trama, ambientato nei tempi antichi, che descrivesse quanto accaduto a Flavio Giuseppe. Ha forse avuto la tentazione di raccontare anche quegli eventi?

Ne ho avuto la tentazione, sì. Ma ho preferito invece concentrarmi sulla rilevanza che le antichità hanno sul mondo moderno. Intatti, c’è prologo in bozza con Flavio Giuseppe nel Colosseo pronto per essere sbranato a morte, ma l’abbiamo eliminata. Nella sua essenza, I Sette Fuochi del Tempio parla di quanto la Storie sia fragile, e indifferente che si tratti degli scavi islamici sotto il Monte del Tempio, o la negazione della Shoah da parte di Achmanedinejad, ci sono persone che cercano di spegnere “l’ultima brace” (The Last Ember, appunto – n.d.r.). Questo è un problema moderno, ed è quello su cui volevo focalizzarmi. Tutti i grandi scrittori di thriller nei loro romanzi conducono la narrazione ad un singolo punto. Volevo che i miei lettori percepissero la vacillante natura della continuità storica nel mondo reale.  

Prendiamo lo spunto del corpo della donna conservato nel liquido all’interno della colonna. Ai tempi di Roma antica, alcuni corpi venivano sommersi in misture di miele, ambra e altri oli per preservarli. Ciò che veramente ha colpito la mia immaginazione è stato leggere un testo del XV secolo in cui si riporta le testimonianze di alcuni scalpellini che casualmente scoprirono una tomba, al cui interno, galleggiante in un liquido composto da oli, giaceva il corpo di una fanciulla della Roma antica, perfettamente conservato. Quanto a lungo sarebbe potuto rimanerci, in quello stato di conservazione?

Volevo dimostrare al lettore quanto vicino il mondo antico ci sia, in realtà. I Sette Fuochi del Tempio non ci parla di un mondo di marmi spezzati e ossa ridotte in cenere. Ma di un mondo con la carne ancora viva, attaccata allo scheletro.

Scavi illegali e mercato nero delle antichità sono un grosso problema, vero?

Ho sempre trovato affascinante la questione morale del commercio delle antichità. Vediamo questi antichi artefatti nei musei, scintillanti nelle vetrine, ma alcuni sono immerse nel sangue del commercio.

Mentre ero a Roma, era in corso in un'Aula di tribunale in centro città una causa contro l'ex curatrice del Museo Getty, che vanta una delle più belle collezioni di antichità del mondo. Ho seguito il processo e ascoltato le argomentazioni di apertura del procuratore, che spiegava perché molti dei manufatti musei devono essere restituiti. Aspetti affascinanti per me, come scrittore e avvocato. E’ andata a finire che nel romanzo ho ripreso molta dell’atmosfera di quell’aula italiana.

Cosa l’ha divertita di più nello scrivere questo romanzo? 

Basti dire che la ricerca mi ha posto in condizioni decisamente “strette”, letteralmente.  Schiacciato lungo alcuni condotti sotterranei che sono stati scavati sotto il Monte del tempio, lontano dagli accessi consentiti ai turisti. Non raccomanderei di fare altrettanto. In superficie c’era l’estate, ma in quelle gallerie faceva così freddo che potevi vedere la condensa del tuo alito. Inoltre, anche le scene sotto i tunnel del Colosseo sono basate sull'esperienza reale.

Qual è il miglior complimento che ha ricevuto dai lettori? 

Il miglior complimento? Che I Sette Fuochi del Tempio ha cambiato il loro modo di vedere la Storia.

L’ultima domanda. Ho letto che attualmente sta lavorando su una nuova avventura per Jonathan Marcus. 

Sì! Jonathan Marcus non può ancora prendere fiato. Ancora una volta, il mondo antico e quello contemporaneo entreranno in conflitto, e lui ci si ritroverà in mezzo…