Semiriuscito apologo su come il mondo sarebbe meglio senza trafficanti d’armi che seminano guerre e raccolgono altrettanto, sotto forma di vite solitarie e rapporti umani prossimi allo zero. C’è chi a proposito di questo L’esplosivo piano di Bazil di Jean-Pierre Junet (Il favoloso mondo di Amelie) ha parlato di un’estetica paragonabile a quella di Chaplin e di Jacques Tati. Del primo se ne trovano cenni nel nullatente Bazil (una sorta di Charlot moderno…) con il quale la vita, sotto forma di eventi riconducibili alle armi, è stata tutt’altro che benigna prima rendendolo orfano di padre deceduto per lo scoppio di una mina, poi conficcandogli una pallottola nel cervello durante una sparatoria tra bande rivali.

Del secondo, forzando anche qui un poco la mano, nella messa in scena molto elaborata, ricca di dettagli e strani oggetti (Play TimeTempo di divertimento, si direbbe, anche perché chi ne ha parlato non ha citato e allora tocca farlo a noi …).

Il problema principale del film ci sembra essere quello di una difettosa continuità nel ritmo, nella mancanza di amalgama tra le poetiche prima citate.

Scene riuscite (l’improvvisa agnizione di Bazil di fronte ai due edifici che ospitano le società di armi) si incastrano a fatica con altre che quanto a riuscita lo sono molto meno, la parte comica, affidata per lo più al Bazil del titolo (Dany Boon, già co-protagonista di Giù al Nord) non fa ridere e la parte drammatica coinvolge poco.

Intendiamoci: chi vuole se lo vada a vedere perché mai fidarsi di una “rece”…