Romanzo di chiusura della saga nata quando nel 1994 Valerio Evangelisti pubblicò, sempre per Mondadori, Nicolas Eymerich, inquisitore (col quale ottenne il Premio Urania), Rex tremendae maiestatis ripropone uno dei personaggi più riusciti della letteratura contemporanea, l’inquisitore generale del regno d’Aragona nonché magister di filosofia e teologia Nicolas Eymerich. Acuto servitore-padrone del Sant’Uffizio, implacabile, duro, certissimo della sua scienza, spietato e dotto, l’inquisitore si muove tra il 1372, anno della narrazione, e la sua condizione di bambino, che molto deve al maestro Dalmau Moner.
Presente e passato si intersecano, a grandi distanze, a un futuro proiettato nel quarto millennio: e allora sarà Lilith a portarsi dietro il suo segreto di morte, dopo un difficile allunaggio. Diverse età, diversi spazi: dal nostro satellite a Barcellona a una Sicilia, dove agirà Eymerich, infestata da smisurate creature antropofaghe e contesa da fazioni baronali. Si avverte una spina nel fianco di questo uomo non più giovane, una spina che riguarda il suo rapporto con la fisicità e la dimensione terrena legata al corpo: qualche acciacco, qualche tradimento del corpo, la stanchezza, la denuncia della transitorietà e del tempo che passa.
Oltre la magia dell’inventio, l’autore ricuce con maestria e precisione da erudito una storia oggi trascurata, con i suoi affreschi epocali e le sue gallerie di personaggi, come Pietro IV il Cerimonioso. Sarà lui a rivelare le anomalie nei cieli e nelle terre trinacrie: «Da tempo, nel cielo di Sicilia, i contadini scorgevano oggetti singolari, di forma discoidale. Ogni tanto apparivano luminosi, mentre in altri momenti avevano l’aspetto di manufatti metallici. Velocissimi e con orbite anomale. [...] Improvvisamente sono emersi, da dietro una collina, dei giganti di una statura doppia rispetto alla norma. [...] Pare che i titani emanassero luce. Si dimenavano e urlavano come ossessi».
Ingabbiare l’opera in un genere fantastorico sarebbe riduttivo: il romanzo − in parte storico, ma intrecciato a elementi fantasy e fantascientifici − si sottrae alle etichette o ne comprende diverse. I luoghi sono ricostruiti con acribia, basti pensare alla città di Palermo, con le sue piazze spaziose stridenti rispetto ai tortuosi vicoli, città ventosa e profumata, città poliglotta: quasi cinquantamila abitanti coi loro idiomi che vanno dal volgare siciliano, al volgare toscano, al genovese, all’arabo, al catalano e al greco
L’ignoto, il diabolico, l’alchemico e il misterioso concorrono verso la stessa conclusione, che il lettore non può prevedere. Una cosa è certa. Quando Evangelisti ha dichiarato, a proposito di questo romanzo conclusivo, che «ciò che è complicato è trovare una fine degna di Eymerich», forse ancora non sapeva che sarebbe riuscito nel suo intento. Oggi possiamo dire a gran voce che sì, se voleva un finale stupefacente e degno del grandissimo inquisitore, lo scrittore ha centrato il bersaglio.
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