Ho sempre adorato nel genere exploitation i film sui carceri femminili. Voi, no? Non si tratta di sadismo, alla fine si sa sempre che è fiction. Gli Snuff non mi interessano. Però l’idea delle ‘ femmine in gabbia’ mi ha sempre solleticato. Forse mi sono rimasti in testa alcuni film che andavo a vedere ‘ per rilassarmi’ negli anni ’80 prima degli esami. Uno di questi non  lo ricordavo neppure e, rivedendolo per caso in DVD, mi si è accesa una lampadina. Non mi sembra che il titolo in sala fosse quello ma la storia con Laura Gemser me la ricordavo perfettamente e di certo aveva attecchito nel mio inconscio. Tanto che anni dopo, alla quarta avventura del Professionista, FUGA DA EL DIABLO, infilai Sylviette in una situazione simile. Le somiglianze tra la mia protagonista e la Gemser son esteriori. La vicenda segue un suo filo e omaggia un po’ tutto il genere. Mi fa piacere riproporvi una sequenza di ‘ combattimento femminile’ nelle docce del carcere che mi piacque molto quando la scrissi.

Da ‘Fuga da El Diablo’ (prima edizione Segretissimo e poi ristampata in TEA- c Stephen Gunn-1996)

 

“Dal bocchettone della doccia l’acqua usciva color ruggine. Sylviette la trovava comunque deliziosa. Aveva trascorso la notte a rigirarsi nella branda, spossata da un caldo appiccicoso che l’ansia aveva reso ancora più insopportabile. Aveva dormito solo per brevi periodi con il continuo assillo di una visita a sorpresa di una delle Guerriere della Loca. Sylviette era ben decisa a difendere la propria indipendenza, ma l’immagine della disgraziata condannata a morire da un’iniezione infetta la tormentava. Aveva approfittato della relativa calma che regnava la mattina presto per concedersi una doccia. Non aveva ricevuto visite sgradite durante la notte, ma questo non significava che la Loca avesse rinunciato ai suoi propositi. Sylviette conosceva la legge non scritta delle carceri. Se la Loca lasciava che si diffondesse la voce di un’insubordinazione, la sua autorità avrebbe cominciato a vacillare. Prima o poi avrebbe cercato di fargliela pagare. Così, suo malgrado, era arrivata a una conclusione. Da sola non poteva fare a cornate con l’intera gang della Loca. Doveva cercare aiuto. E questo significava accettare la proposta di Perez. In quei giorni si erano evitate appositamente. Sylviette per orgoglio, Perez perché probabilmente aveva deciso di lasciarla bollire nel suo brodo sinché non fosse giunta all’inevitabile conclusione. Sì, decise Sylviette cercando un relativo refrigerio sotto l’acqua, quella mattina durante la colazione sarebbe andata a mettersi sotto la protezione di Perez.

Purché servisse a qualcosa.

“ Non sei venuta all’appuntamento, querida.”

La voce rimbombò nello spazio angusto delle docce. Sylviette ebbe la sensazione che uno scorpione di ghiaccio venisse a lambirle la schiena.

Oh, Cristo...

Si volse per fronteggiare la nuova venuta maledicendosi per non aver pensato a portare con sé almeno la spazzola di legno che costituiva la sua unica arma di difesa. Era là nuda e disarmata, chiusa in uno spazio dove sarebbe potuto accaderle di tutto senza che nessuno se ne accorgesse.

Il viso di Asuncìon Gonzales era atteggiato in una smorfia di compatimento.

“ Non è che avrai creduto di potertela cavare, vero?”  domandò con una sfumatura di scherno. “Nessuno mi dice di no.”

Gli occhi di Sylviette inquadrarono le tre figure che bloccavano l’entrata delle docce. C’era tutta la corte della Loca, venuta a godersi lo spettacolo. La culturista, la negra grassa come un lottatore di Sumo e la piccola svedese che sembrava la più cattiva. Una bella compagnia. La Loca assentì con uno sorriso cattivo quando si accorse che Sylviette aveva inquadrato bene la situazione. “Non fare la difficile, querida.”

Sylviette decise nel giro di pochi secondi. A quell’ora le recluse potevano muoversi liberamente per andare ai bagni. Probabilmente la Loca e le sue compagne le avevano fatto la posta aspettando di bloccarla da sola. Le altre carcerate si tenevano a distanza. Nessuna voleva essere coinvolta in un regolamento di conti di quel tipo. Inutile chiedere aiuto. Poteva contare solo su se stessa.

“ Su, non ti dispiacerà, dopotutto.”  Asuncìon protese il braccio andando a sfiorarle il seno sinistro con la mano a coppa. Il tocco delle sue dita era viscido e sudaticcio.

Sylviette poteva sentire il fiato eccitato della messicana.

“ Stai lontana da me, vacca!” esclamò spingendola via con forza.

Asuncìon fu colta di sorpresa da quella reazione. Scivolò all’indietro perdendo l’equilibrio su una pozza d’acqua. Sylviette la vide cadere a gambe levate sul pavimento. Ci fu un terribile momento durante il quale tutte le attrici sulla scena compirono movimenti appena accennati, come per cercare una posizione adatta per iniziare la lotta, ormai inevitabile.“Hija de Puta Madre!” esclamò la Loca rialzandosi dolorante. Aveva picchiato il coccige sulle piastrelle. Negli occhi le sfavillava una luce omicida. Il viso tatuato si contorse in una smorfia. “ E va bene. Visto che vuoi fare la dura, ti daremo una lezione. Rompetele tutte le ossa. Poi verrà a leccarmi strisciando!”

Sylviette squadrò le tre recluse che avanzavano lentamente verso di lei, chiudendole ogni via di fuga. Almeno non erano armate. Evidentemente pensavano che, per darle una lezione, sarebbero stati sufficienti calci e pugni. Un corpo come il suo era merce pregiata e la Loca non aveva intenzione di rovinarla prima di servirsene.

Essere nuda le dava un ulteriore svantaggio psicologico, ma Sylviette allontanò dalla mente ogni considerazione negativa. Dopo l’ansia di quella notte, l’azione arrivava come una liberazione. Non si fermò a considerare ciò che sarebbe avvenuto in futuro. Doveva concentrarsi solo sulla sopravvivenza immediata.

Aveva imparato a battersi in una bidonville, perfezionando un sistema di combattimento poco ortodosso ma efficace. Da ragazzina aveva appreso la Capoeira, un misto di danza e lotta importato dagli schiavi in tutto il Sud America. Un precedente soggiorno in prigione le aveva svelato i segreti del Jailhouse Rock, un metodo di lotta fatto di colpi proibiti su qualsiasi ring ma estremamente efficaci in situazioni come quella. Spazio angusto e numero soverchiante di avversarle.

Non appena vide le tre Guerriere farsi avanti per bloccarla in un angolo, Sylviette accennò un passo verso destra. Si muoveva come su un palcoscenico di danza, molleggiando il corpo completamente decontratto. La ginga, il passo ballato della Capoeira, era molto più simile alle movenze del Samba che al procedere di un pugile, ma altrettanto efficace. Quando ebbe la sensazione di aver attirato l’attenzione delle sue avversarie fingendo di andare a destra, eseguì un rapidissimo spostamento del peso da un piede all’altro, gettandosi nella direzione opposta.

Si piegò verso il pavimento trovando un appoggio asciutto per i palmi delle mani sui quali trasferì interamente il peso del corpo. Eseguì una ruota, un movimento acrobatico che sicuramente le sue avversarie non si aspettavano. Confuse, le tre carcerate la videro piroettare senza comprendere il senso della manovra. A metà del salto diede un colpo di reni, scalciando da un’angolazione imparabile. Sentì il tallone colpire con violenza il setto nasale della grassona, che rotolò indietro urlando.

Sylviette era già in piedi. Non doveva perdere l’iniziativa. Piroettando su se stessa, distese la gamba mulinando un colpo nel vuoto. Una finta per coprire il vero attacco. Era giunta a distanza giusta per poter inchiodare la culturista. Sferrò un calcio frontale al ventre di Sharon Duarte, che reagì troppo lentamente per poter parare. La pianta del piede di Sylviette affondò negli addominali dell’avversaria.

Sharon Duarte si lasciò sfuggire un gemito strabuzzando gli occhi. Nonostante il dolore riuscì ad afferrarle la gamba. Lanciò un grido selvaggio, certa di averla colta impreparata. Sylviette ebbe la fugace visione della svedese che caricava a testa bassa.

Saltò eseguendo una piroetta su se stessa. Con le mani saldamente avvinghiate sulla sua gamba Sharon non poté far nulla per evitare il calcio circolare sferrato con il piede libero. Ricevette una botta in pieno volto. Rumore di ossa rotte. Uno schizzo di sangue andò a imbrattare il muro piastrellato.

Sylviette aveva i polmoni in fiamme. Recuperò a fatica l’equilibrio cercando l’ultima avversaria. Come aveva previsto, Marie, la svedese, era la più pericolosa. La caricò come una furia. Sylviette si sentì percossa da una ginocchiata al petto che le mozzò il respiro. Scivolando contro la parete batté la nuca. L’altra le era già addosso. Distanza ravvicinata, inutile tentare un colpo di Capoeira. Evidentemente Marie conosceva pure lei il Jailhouse Rock. L’aveva chiusa in un angolo e la martellava con gomiti e ginocchia aprendo varchi pericolosi nella sua difesa. Per un attimo Sylviette si sentì mancare le forze. Con le dita tese la svedese le aveva inferto un colpo doloroso al fegato.L’adrenalina infuse a Sylviette l’energia necessaria per reagire. Per qualche attimo le due donne lottarono scambiandosi colpi feroci quasi alla cieca. Sylviette perdeva sangue da un labbro. Le sue dita sfiorarono i capelli ispidi dell’altra. Afferrò il cranio dell’avversaria spingendolo con violenza contro la parete. Marie andò a cozzare violentemente contro uno dei rubinetti delle docce. Lo zigomo si fratturò con un rumore osceno mentre la donna si afflosciava con un gemito.

Sylviette aveva lo sguardo confuso, respirava a fatica. Quasi non vide Sharon Duarte, sanguinante e furibonda, che tornava all’assalto. La culturista le assestò un violentissimo calcio sui muscoli della coscia. Con un urlo di dolore, Sylviette si accasciò. La donna le fu subito addosso, imbrattandola col proprio sangue. L’avambraccio ipertrofico si serrò intorno al collo comprimendole la carotide.

Sylviette annaspò: quella pazza le avrebbe spezzato il collo! Con disperazione si avvinghiò all’avversaria come meglio poteva. Le sue dita si serrarono sul suo mignolo. Non aveva che un briciolo di energia, poteva disporre solo di una possibilità. Con la vista già annebbiata torse con violenza il dito della nemica ricavandone un rumore secco. Istantaneamente Sharon lasciò la presa rotolando via.

Sylviette non aveva la forza di trovare una posizione difensiva efficace. Si trascinò vicino al muro. Aveva l’impressione di essere stata presa a martellate su tutto il corpo. Le tempie pulsavano selvaggiamente. Ebbe appena l’opportunità di chiedersi come avrebbe potuto reagire a un nuovo assalto. Fu investita da un getto d’acqua gelida che le mozzò il respiro. Sospinta in un angolo le passò davanti agli occhi una confusa visione dei secondini che facevano irruzione nelle docce. Due di essi reggevano la pompa per l’acqua aperta al massimo della potenza. Sylviette respirava convulsamente. Si sentiva percossa da una pioggia di spilli gelati. Non appena la doccia cessò un guardiano si gettò su di lei mulinando un manganello. Lei abbozzò un debole gesto di difesa. Il tubo di gomma la raggiunse con violenza. Rotolò sul pavimento e perse i sensi.”