Irriverente, dissacrante, geniale, divertente, stupefacente: tanti sono gli aggettivi che si possono affibbiare a “Caino”, l’ultimo romanzo di José Saramago, e sempre qualcuno di migliore se ne potrà trovare. Più semplicemente si può affermare che questa ultima opera del “Voltaire portoghese” (come l’ha definito il settimanale svizzero L’Hebdo), Premio Nobel per la letteratura nel 1998, è “narrativa”: nel più completo ed esteso significato di questa parola.
Dopo un testo fortemente irriverente come il suo “Il Vangelo secondo Gesù”, che molti problemi gli aveva creato in patria - tanto che venne escluso in un primo tempo dal Premio Europa perché, dicevano i detrattori, non rappresentava il popolo portoghese - Saramago passa dal Nuovo al Vecchio Testamento e si diverte a narrare le vicende del suo personalissimo Caino e del suo rapporto tutt’altro che sottomesso nei confronti di un terribile dio (scritto minuscolo come ogni altro nome del romanzo).
Potremmo dividere “Caino” in due parti distinte. La prima vede l’assassino del proprio fratello marchiato dal suo signore (anche in questo caso scritto minuscolo), lasciato a vagare per la terra... e a vivere svariate avventure attraverso i principali avvenimenti del Vecchio Testamento. La seconda parte è una accorata e spietata critica nei confronti di un dio spietato e vendicativo, capriccioso e dispettoso, che si diverte a massacrare i giusti e gli ingiusti - senza alcuna distinzione - per futili motivi. È tanto divertente la prima parte - come quando Caino, Noè e Dio si mettono a litigare sul sistema migliore per costruire l’arca! - quanto terribilmente aspra la seconda - Caino non dimenticherà mai le grida strazianti dei bambini di Sodoma, che benché innocenti sono stati massacrati per le colpe dei padri.
Malgrado il grande sforzo a cui l’autore sottopone il lettore, costretto a dimenarsi in un unico blocco di testo quasi del tutto privo di capoversi e da cui ogni veste grafica è stata abolita - i dialoghi sono tutti “fusi”, quindi non bisogna distrarsi altrimenti non si capisce più chi sta parlando! - “Caino” risulta un’opera gradevolissima e dalla lettura scorrevole: sembra di star leggendo un divertissement letterario, invece ci si trova davanti a un profondo attacco contro il dio veterotestamentario, davanti alle cui “colpe” il crimine di Caino risulta poco più di una mascalzonata.
Dio stesso (che l’autore, ateo, altrove definì «il gran silenzio dell’universo e l’uomo è il grido che dà senso a quel silenzio», frase che piacque anche a molti credenti) scende in campo a discutere con Caino, ma invece di spiegare le proprie ragione si impunta e perde ancora di più il rispetto dell’uomo. «Se il signore non si fida delle persone che credono in lui, allora non vedo perché queste persone debbano fidarsi del signore.»
Le “avventure” del Caino di Saramago non possono non far pensare al Baudolino di Umberto Eco, «mendace per natura». Entrambi i personaggi si ritrovano a vivere storie note senza che esistano prove del loro passaggio... ed entrambi agiscono attivamente per raggiungere il risultato conosciuto dai posteri.
Così come Baudolino spunta nei più importanti eventi storici del XIII secolo europeo, così il Caino di Saramago si ritrova - non certo per sua scelta - a partecipare ai principali avvenimenti veterotestamentari. Lo si ritrova alla costruzione della Torre di Babele, a Sodoma e Gomorra, nel letto di Lilith ad Enoch, nell’arca di Noè ed altro ancora: e in ogni occasione, checché ne dicano i redattori e storici futuri, il suo intervento è stato fondamentale!
L’evento più importante è quello dell’arca di Noè, che chiude il romanzo. L’intervento di Caino sarà fondamentale e assolutamente sorprendente: non possiamo svelare altro per non annacquare il gusto di scoprirlo ai nuovi lettori, ma vale la pena riportare il passo dove l’autore spiega come mai, terminata l’arca, Dio non si presentò alla festa per il varo. «Era occupato con la revisione del sistema idraulico del pianeta, verificando lo stato delle valvole, stringendo qualche madrevite montata male che gocciolava dove non doveva, provando le diverse reti locali di distribuzione, sorvegliando la pressione dei manometri, oltre a un’infinità di altre grandi e piccole incombenze, ciascuna delle quali più importante della precedente e che solo lui, come creatore, ingegnere e gestore dei meccanismi universali, era in condizione di portare a buon fine e confermare con il suo sacro ok.»
Un’ultimissima parola va spesa per la copertina italiana del romanzo, che mostra il bellissimo Agnus Dei dipinto, tra il 1635 e il 1640, dal fiammingo Francisco de Zurbarán. Esattamente nove giorni prima dell’uscita italiana di questo libro, la stessa copertina venne usata da chi scrive per illustrare “L’agnello è stanco” all’interno della rubrica “Le False Scritture” di ThrillerMagazine...
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