Partiamo dal tuo nome. Sappiamo che la lettera G. è abbreviazione di qualcosa che non vuoi raccontare. Ma noi proviamo lo stesso a chiedertelo: cosa significa?
Ma che curiosi… La risposta è nel romanzo. È un nome che tornerà spesso, legato a qualcosa che ha a che fare con l’Apocalisse. Si vede che i miei genitori ci hanno preso, a loro tempo.
Il tuo rapporto con l’horror è intenso e duraturo: oltre ad aver pubblicato a tema diversi racconti, hai realizzato il primo sito web italiano dedicato, Horror.it, nonché i mensili Horror Mania e Thriller Mania. Secondo te quali sono le radici di questa passione?
Da quando ho memoria, ho sempre avuto una grande passione per le storie ad alta tensione dai gusti forti. Il mio cartone animato preferito, quando ero piccolo, era BEM. Amavo le storie oscure, con fantasmi, scheletri e mostri. Ho sempre trovato che le storie di questo tipo siano più intense, più vivide nella mia immaginazione. In queste storie è sempre questione di vita o di morte. Non potrei chiedere di meglio.
Come è nata la storia de “Il Diacono”?
L’idea alla base del romanzo mi è venuta 25 anni fa, su una spiaggia romagnola sotto un temporale che pestava duro, con tuoni e fulmini. Il resto è venuto con gli anni. Ho presto scoperto che l’horror che preferivo era quello a base di Apocalisse e demoni, quindi non è stato difficile coniugare le mie passioni con l’idea che mi folgorò su quella spiaggia.
L’eterna lotta tra bene e male conferisce al romanzo un sapore epico. Ma secondo te cos’è il male?
È la fazione opposta, è quello che vediamo con la coda dell’occhio, che percepiamo come bisbiglio nel cuore della notte. È la cosa che trasforma una madre in un’assassina, un marito in un bruto, un figlio in un killer. Oggi si ricorre sempre a mille giustificazioni: raptus di follia, infermità mentale, la società, la televisione… Eppure il male esiste, è dentro di noi, aspetta solo il momento giusto per saltare fuori. Siamo bene e male insieme, tutti noi. Due facce della stessa lucida moneta d’argento.
Come hai architettato la struttura e in quanto tempo hai scritto questo romanzo di quasi cinquecento pagine?
La struttura è venuta in maniera quasi naturale, mentre scrivevo. Avevo la necessità di dire molte cose, per spiegare chi fossero i miei protagonisti e collocarli in una realtà ben precisa, molte informazioni da dare e così poco tempo… Così per evitare di annoiare il lettore con troppe pagine di spiegazioni, ho usato un intreccio complesso. Solo andando avanti nella lettura, quindi, scopriremo il perché di alcuni eventi, i retroscena. Diciamo che li ho scoperti io stesso, mentre scrivevo, come se stessi facendo un’indagine piuttosto che inventando una storia.
Riguardo al tempo impiegato per scriverlo, ci ho messo circa due anni, compreso il tempo necessario per le ricerche e la documentazione. Se non dovessi lavorare per vivere, probabilmente ci avrei messo molto di meno, ma scrivere la notte a volte è terribilmente frustrante. Però ne sono uscito vivo e tanto mi basta.
Come hai ideato il personaggio del Diacono?
Ho messo insieme l’idea che ebbi 25 anni fa con la mia passione per il Medioevo e i monasteri. In ogni zona d’Italia ed Europa in cui vado, cerco sempre i monasteri più vicini e vado a visitarli. Sono frammenti di un’epoca perduta che restano integri ancora oggi. Quando ho intuito che le due cose dovevano fondersi insieme, ho capito che finalmente potevo iniziare a considerare la storia degna di essere raccontata.
Se incontrassi Il Diacono, cosa ti direbbe?
Che diavolo hai da guardare?
E tu, cosa gli risponderesti?
Niente. Ha un tale caratteraccio…
Quali sono i requisiti che pretendi dalla tua scrittura?
Cerco di metterla al servizio della storia. Ogni frase che scrivo deve venire dalla testa di uno dei miei personaggi. Se stona, se sembra messa lì apposta, anche se bella, la taglio senza pensarci due volte. Taglio tantissimo in fase di revisione, mi dà un’enorme soddisfazione. Cancello, asciugo, cerco di usare una parola laddove ce ne sono tre, e mi sforzo perché quella parola evochi la sensazione e l’emozione giusta, anche il suono che ha è importante. E poi cerco sempre di tenere alto il ritmo: è una faticaccia, ma mi entusiasma, quindi non posso farne a meno.
Non è sempre facile e non sempre gli sforzi pagano, ma ci provo.
Cosa ti fa paura?
Il dolore che possono provare le persone che amo.
Ci saluti con una citazione?
Se Dio avesse voluto fare di noi dei santi, ci avrebbe dato la benedizione delle stimmate. Invece ha voluto che fossimo il suo braccio sinistro, ed è questa la ragione per cui agiremo, rapidi ed efficaci, senza vacillare mai. A qualsiasi prezzo. Questo è il nostro compito, questo è quello che fa l’Ordine, fin dalla notte dei tempi.
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