Come mai un ex Primo ministro britannico è andato ad identificare il cadavere di un tizio qualunque, affogato per essere caduto da un traghetto? «Michael McAra lo stava aiutando a scrivere le sue memorie.»
Così si apre “Il Ghost Writer” (The Ghost), thriller del 2007 di Robert Harris, autore britannico che ha firmato anche il fedele adattamento cinematografico del 2010 diretto da Roman Polanski, dal titolo “L’uomo nell’ombra”.
Adam Lang è stato un Primo ministro “alla moda” per le cui memorie l’editore Marty Rhinehart è disposto a pagare ben dieci milioni di dollari. Visto che il libro non stava rispettando la scadenza imposta dei due anni di lavorazione, al Primo ministro venne data in prestito una villa isolata e un aiutante, McAra, per finire senza distrazioni le memorie: la morte forse autoindotta di McAra ha bloccato tutto. «È stato un incidente, quindi?» chiede il protagonista in merito alla misteriosa morte di McAra. «Incidente? Suicidio? Chi può dirlo? - è la risposta indifferente del suo agente - Ma che importanza ha? È stato il libro a ucciderlo.»
Questo dialogo (ripreso in forma pressoché identica dal film) ammanta di mistero una vicenda che invece di misterioso non ha quasi nulla... se non il nome del protagonista! Essendo tutto narrato in prima persona, non c’è mai bisogno di usare un nome proprio, e l’io narrante si presenta in un’unica occasione: quando per la prima volta incontra Adam Lang lo saluta dicendo di essere il suo ghostwriter... «I’m your ghost». Il gioco di parole rappresentato da questa frase (intraducibile in italiano, lingua nella quale ancora non esiste un nome per tale figura professionale, se non un termine politically incorrect come “negro”) viene tradotto nella versione filmica con «Sono la sua ombra», probabilmente all’unico scopo di giustificare il titolo italiano del film: nel romanzo si è scelto invece di usare l’espressione «Sono il suo fantasma» per giustificare la consequenziale battuta di Adam Lang (soppressa nel film): «Particolarmente indovinata come battuta, considerando che sostituisci uno che è morto.»
Al protagonista (“The Ghost”, come viene identificato il personaggio nei crediti del film) viene chiesto di subentrare al defunto McAra nell’aiutare Adam Lang a completare il suo libro di memorie: in realtà quello che gli si richiede è di prendere l’improponibile guazzabuglio scritto dall’ex Primo ministro e riscriverlo in una forma che possa essere presentata in libreria, guadagnando per questo non solo un lauto compenso, ma anche la citazione del proprio nome fra i “collaboratori”. «Le memorie dei politici sono il buco nero dell’editoria - afferma però sprezzante il protagonista. - Il nome davanti al tendone potrà anche essere grosso, ma tutti sanno che una volta entrati assisteranno al solito vecchio e stanco show: e chi è disposto a spendere venticinque dollari per un vecchio e stanco show?» La risposta è ugualmente cinica: «Chi se ne frega, tanto in ogni caso nessuno si leggerà tutta quella roba. Prima andremo in libreria, più venderemo.»
Accettato l’incarico e letto il prezioso manoscritto di Lang, tenuto sotto strettissima sorveglianza («Il libro contiene del materiale potenzialmente riservato, la cui diffusione deve essere ancora approvata dal Cabinet Office») e che non è stato fatto vedere neanche all’editore, si rende conto che è un disastro completo. «È una stronzata pallosissima! - è il suo colorito commento. - A questo punto è ai loro azionisti che non vogliono farlo vedere, per questo lo tengono sotto chiave!»
Attraverso il suo ingrato lavoro, il ghostwriter (il cui motto è «non dettare ma facilitare») ci fa conoscere l’essenza del lavoro dell’ex Primo ministro. «Di tanto in tanto Lang si permetteva qualche emozione privata (“Non vi dico la felicità che ho provato per la nascita del nostro terzo figlio”) o qualche osservazione personale (“Il presidente americano era molto più alto di quanto pensassi”) o, ancora, qualche brusco commento (“Da ministro degli Esteri, Richard Rycart mi ha dato spesso l’impressione di sostenere davanti alla Gran Bretagna più le ragioni dei paesi stranieri che non il contrario”), ma non di frequente e non con particolare efficacia. E sua moglie, dov’era? Veniva appena ricordata.» Insomma, un lavoro editorialmente inetto... E se non fosse stato pensato per l’editoria?
La domanda nasce non solo dal fatto che nelle intenzioni «quella di Adam Lang sarà la prima ricostruzione, da parte di un leader, della guerra che l’Occidente sta combattendo contro il terrorismo» (quindi un evento storico-politico più che editoriale), ma anche perché il protagonista scoprirà che l’impostazione del manoscritto così confusionario è in realtà ben studiata: è un codice cifrato la cui soluzione sarà il (blando) colpo di scena finale della storia.
Alla fine, delle “Memorie di Adam Lang” conosciamo solo l’incipit: «È per amore che sono entrato in politica. Non amore per un particolare partito o una particolare ideologia, ma per una donna venuta a bussare alla mia porta in una piovosa domenica pomeriggio...» Dopo il terribile lavoro svolto dal protagonista, dopo i rischi e gli imbrogli che ha dovuto subire, sul libro non c’è traccia del suo nome. «Questo libro non sarebbe esistito senza la dedizione, l’appoggio, la saggezza e l’amicizia dello scomparso Michael McAra - c’è scritto fra i ringraziamenti, - che ha collaborato con me dalla prima all’ultima pagina. Grazie, Mike... di tutto.» Questo è il destino di un ghostwriter: essere un fantasma...
Non riveliamo altro della storia se non sottolineare il fatto che il film tratto segue in maniera quasi pedissequa il testo di Harris, tranne essere più debole nel finale. Mentre nel romanzo l’assenza di vero thrilling non guasta, l’ossessiva pretesa della pellicola di creare situazioni tese dove non c’è alcun motivo perché ve ne siano crea fastidio e confusione nello spettatore, spostando l’attenzione dalla vera protagonista della storia: l’ombra, sia lo scrittore-ombra che la moglie-ombra...
Nel romanzo di Harris incontriamo altri pseudobiblia. Il protagonista infatti nella sezione “Biografie e memorie” di una biblioteca trova: “Adam Lang, uno statista dei nostri tempi” e “Bugie scelte di Adam Lang”, «ed entrambe le opere erano dello stesso autore», mentre sappiamo che egli ha pubblicato una biografia di un mago intitolata “Veni, Segai, Vici” (I Came, I Sawed, I Conquered). Mentre nel film è questa biografia che fa guadagnare al protagonista il lavoro su Lang, nel romanzo è grazie alle memorie di Christy Costello: «Una rockstar le cui memorie intime erano state il mio primo bestseller: alcol, droga, ragazze, un incidente stradale quasi mortale, gli interventi chirurgici e, infine, la riabilitazione e la redenzione tra le braccia di una buona donna. C’era tutto, in quel libro: potevi regalarlo per Natale a tuo figlio adolescente e sciamannato o alla tua pia nonna e li avresti fatti felici entrambi allo stesso modo.» Conosciamo anche una canzone di questo Costello, Una volta nella vita, riportata nel libro: «Una volta nella vita / Devi avere tutto, / Ma non saprai mai d’averlo avuto / Fino a quando non lo perderai.»
Conosciamo anche due pseudo-autori, sebbene non vengano citati i nomi, attraverso l’accorata lamentela del loro editore: «I nostri due romanzieri che vendono di più, l’attrice tettona e l’ex militare psicopatico, non hanno mai scritto due righe, lo sapevi?» Meno male che ci sono i ghostwriter...
Chiudiamo con un curioso parallelo. L’Adam Lang del romanzo di Harris strizza molto l’occhio a quel Tony Blair che proprio all’uscita del libro finiva la carriera di Primo Ministro. Nel finale del film si intravvede in più punti la copertina delle memorie di Lang, e questa assomiglia molto alla copertina delle memorie da Primo Ministro di Tony Blair (“Un viaggio”), da poco in libreria anche in Italia, per la Rizzoli. Ovviamente non stiamo dicendo che la vicenda de “Il Ghost Writer” sia veramente legata a Blair, ma è solo una conferma ulteriore che “fantasmi” e pseudobiblia non sono solo giochi letterari...
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