È impossibile dimenticare la sensazione di una canna di pistola in bocca, l'odore, la percezione attraverso il palato della polvere da sparo bruciata, colpi tirati verso una massa di corpi talmente fitti da far sembrare impossibile riuscire a non colpire nessuno.
Forse è solo perchè la paura è più forte della rabbia di uccidere, allora non ha senso mirare ad un uomo solo, come se un uomo da solo fosse quello che è, una persona, invece sparare nel mucchio concede l'alibi di sparare ad un nemico sconosciuto, ad una entità che ha perso la sua dimensione di dolore, speranza, futuro, emozioni. Non stavo sparando ad un altro, stavo sparando ad un’idea, ad un ideale diverso dal mio, che ideali non ne avevo.
Poi, dopo, quando il fumo è svanito verso l'alto, e l'adrenalina e la paura ed il coraggio della paura sono usciti da te con la piscia, con il senso di freddo, l’odore acre non è più nell'aria, ma tu te lo senti ancora nei polmoni ad ad ogni respiro che esce, non che entra, ne risenti forte la puzza e arde ancora quel misto di benzina bruciata e lacrimogeni, di vernice che si stacca dalla lamiera delle automobili, liquefacendosi, formando un fiume nero con la plastica e l'acqua, e tutto ciò che bruciare, in fiamme rosse e nere, come ti immagini che sia il fuoco di un inferno, uno dei tanti inferni che esistono. Solo che eravamo noi, che stavamo giocando a fare i diavoli, creandoci un nostro personale inferno, decidendo chi mandarci.
Tanto la sera avevamo una madre da guardare negli occhi, mentre ci serviva la nostra cena, a noi che eravamo ancora vivi per mangiarla. La minestra calda con le bolle d'olio a galleggiare sopra, e noi a romperle, anzi, io, non noi, a romperle con il cucchiaio, per vedere l'effetto del formaggio fuso, che forma le sue minuscole palline, fino a scendere sul fondo della scodella in piccoli coaguli filanti da grattare con il bordo del cucchiaio, da gustare alla fine. Alla fine, le cose più buone arrivano sempre, alla fine.
Io ce l'avevo, una madre da guardare, mentre mia madre, bassa ed un po’ grassa, dal grande seno sformato da cinque figli nati e due persi, dalla vita distrutta e ricostruita ogni volta, poteva guardarmi, mentre io ero tornato a casa, a mangiare la sua minestra ed a giocare con il mio cucchiaio.
Un'altra madre no.
Così diceva la televisione, nel telegiornale della sera, tutto dedicato a quello che è successo, a quella battaglia, in cui c’eri. Allora pensi, capisci , che forse sei stato tu.
Allora nel mucchio dei nemici c'era uno come te.
Che bella sensazione, la pistola in tasca. Niente a che vedere con i telefonini, che uno cerca di averlo sempre più piccolo, più leggero. La pistola è un prolungamento del tuo cazzo, la pistola la devi sentire che ti pesa, grande, dura.
Puoi solo uscire di casa, perchè quel che devi provare a fare non puoi farlo lì, non davanti a tua madre e neanche chiuso nel cesso di casa. Perchè quel che deve succedere, che succeda dove nessuno ti può vedere, fermare. Dove dovranno capire, dovranno porsi domande sul perchè l’hai fatto, tu che avevi tutto.
Camminare e camminare, fino a che il cemento e l'asfalto finiscono, dove inizia una terra di nessuno di frigoriferi e lavatrici sfondati, di cessi di maiolica, una volta bianchi, ormai dello stesso colore del fango dove stanno affondando, di profilattici viscidi di fuori, pieni di seme d'uomo dentro, che muore. Sento lontano il fiume, lo sento e non lo vedo, ne sento l'odore e ne sento l'umidità sui capelli, minutissime perline di vapore che si condensano sui miei capelli, sulla mia rada barba ispida. dove si cristallizzano in gocce fine come polvere, polvere d'acqua.
Camminare, fino ad arrivare in quel punto in cui non è più terra su cui poggiare i piedi, su cui sostenersi, e non è ancora acqua in cui affondare ed affogare ricordi, paure, vigliaccheria; dove capire che chi spara può uccidere.
Fermarsi, in quel punto, dove non è nulla, dove non si è nulla.
Togliere dalla tasca la pistola e sentirla nella mano, sentirne il calore catturato dal contatto con i vestiti ed il corpo, sentire il peso di un oggetto che non ha nessuno scopo, se non quello di essere un meccanico oggetto di sottrazione. Come svanisce presto il calore, come tutto diventa presto gelido, a contrastare con il tepore di una pelle che fa rabbia ad essere così calda, una mano ancora liscia. Chissà com'è, adesso, la mano dell'altro, del nemico. Immagino il suo colore, colore della cera. Sicuramente è fredda, ed ogni particolare stacca nitido, peli leggeri sul dorso, righe sottilissime su ogni piega delle falangi, chissà che linea della vita aveva disegnata sul palmo della mano, quell'uomo?
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