Notte. Pioggia scrosciante, fango. Una stradina di campagna deserta. E una donna, tremante e intimidita, che si affretta verso casa. Poi un’ombra che esce con un balzo dalle tenebre… Una situazione tutt’altro che nuova o sorprendente nel cinema di genere (per non parlare della letteratura), ma che acquista accenti di dolente credibilità nelle immagini di Memories of murder (Salin eui chueok, Corea del Sud, 2003) di Bong Joon-ho, una delle pellicole più interessanti presenti sugli schermi del settimo FEFF (Far East Film Festival) di Udine svoltosi dal 22 al 29 aprile. La dolente credibilità delle vicende vere, rafforzata dall’esito che i fatti hanno avuto nella realtà. Tra il 1986 e il 1991, in una piccola città non lontana da Seul, un feroce assassino stupra e uccide dieci donne, con metodi sempre simili e al tempo stesso via via più efferati. Niente indizi, niente testimoni, i delitti hanno luogo di sera, in condizioni di pioggia battente… Solo i cadaveri, legati e spesso "firmati" con macabri simboli (come i nove pezzi di pesca lasciati all’interno delle parti intime di una delle vittime). È il primo serial killer definito come tale della storia della Corea; le indagini messe in atto, pur con mezzi tecnici inadeguati, mettono sottosopra tutta la zona. Ma senza risultato. L’assassino non è mai stato scoperto… Su uno sfondo di proteste studentesche e sindacali, che spesso distolgono le forze di polizia che occorrerebbero per braccare l’assassino, il film rende benissimo l’atmosfera di angoscia opprimente della vicenda, raccontando le indagini di due investigatori dai metodi e dai modi opposti. Park Doo-man è lo sbirro "di campagna", tutt’altro che stupido, ma ancora convinto che appendere un sospetto per i piedi è il modo migliore per farlo confessare, mentre Seo Tae-yoon viene da Seul ed è un sostenitore dell’analisi della scena del crimine e della ricerca documentale (“I documenti non mentono mai”). Con una serie di colpi di scena e un duro lavoro, punteggiato da contrasti spesso molto aspri tra i due cops, si arriva a isolare un sospetto che ha molti caratteri in comune con il profilo dell’assassino, ma per fargli gli esami del DNA bisogna mandare i campioni negli Stati Uniti. E quando gli esiti arriveranno, in una scena ad alta drammaticità, il poliziotto "buono" estrarrà la pistola, pronto a varcare una frontiera da cui si è sempre tenuto lontano… Giustizia, memoria, verità, temi importanti e "pesanti", in un gioco di specchi che produce un film bellissimo e amaro, con un finale necessariamente "aperto" che prende alla gola. Non è forse un caso che il film sia stato tra i campioni d’incasso coreani del 2003, in testa al box office per settimane.
Anche se aperto a tutti i generi del cinema orientale, il FEFF (una realtà sempre più importante e nota a livello europeo, con una presenza di pubblico sempre più massiccia) è un appuntamento importante per gli appassionati del cinema poliziesco e d’azione, vista l’importanza di tali generi nella produzione di paesi come Corea, Giappone, Cina (e in particolare Hong Kong), senza dimenticare la Thailandia o le emergenti Filippine.
Il rapporto con la realtà, comunque, rimane forte anche in altre pellicole dell’edizione 2005: come il malinconico Lady Joker, (id., Giappone, 2004) di Hirayama Hideyuki, giallo dai risvolti sociali, in cui un gruppo di paria, a vario titolo, della società giapponese, si vendicano del potere delle corporation attraverso il sequestro di un alto dirigente, mettendo nei guai l’intera compagnia (anche qui il fatto di cronaca che ha fornito lo spunto, avvenuto nel 1984, non è mai stato chiarito); o l’interessante, per quanto imperfetto, Zee-Oui (id., Thailandia, 2004) di Nida Sudasna e Buranee Rachaiboon, agghiacciante storia di un misero immigrante cinese che diventa serial-killer di bambini nella Thailandia subito dopo la Seconda guerra mondiale. E anche in film puramente di fiction come gli hongkonghesi Crazy n’the City (2005)
e One nite in Mongkok (2004), affiora più la vita quotidiana in quartieri affollati e difficili (nel primo vista con gli occhi di due agenti di strada, intenti più che altro ad aiutare vecchiette e turisti; nel secondo attraverso la caccia serrata a un killer venuto dalla Cina, in realtà un povero diavolo, con un finale tragico che fa venire in mente il bellissimo Expect the unexpected, del 1998) che non la roboante, gioiosa spettacolarità degli action di Hong Kong del periodo d’oro (ai quali si richiama invece esplicitamente Explosive city, 2004, di Sam Leong).
Per finire invece con una fuga dalla realtà (o no?) affidiamoci ai colori sgargianti (con prevalenza di rosso…) del bellissimo Lady Snowblood, film giapponese del 1973, di Fujita Toshiya, storia di una donna che si vendica a fil di spada di una banda di malviventi, a proposito del quale cito solo il commentino che lo accompagnava nel programma degli spettacoli: “Where do you think Tarantino started from?”. Ovvero, in cauda venenum, Kill Bill, meno le parti superflue… Arrivederci a Udine 2006.
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