Pazza da uccidere è un romanzo del 1972 di Jean-Patrick Manchette, maestro indiscusso del poliziesco francese, che Einaudi ripropone in questa efficace traduzione di Luigi Bernardi, dopo che il testo era già uscito a puntate sul Corriere della Sera nell'estate del 2004. Pazza da uccidere è un ottimo esempio di come il giallo tradizionale sfoci nel noir: la storia ha infatti a che fare con la criminalità e con il lato oscuro dei personaggi, ma senza che compaia mai un poliziotto o un investigatore che sia uno, almeno tra i personaggi principali. Anzi, la stessa protagonista nutre una vera e propria fobia verso la forza pubblica. Forse per la sua infanzia difficile. Dopotutto Julie ha trascorso gli ultimi cinque anni della propria vita sottoposta a cure psichiatriche. Ora le si offre la possibilità di un riscatto, perché il ricco Hartog ha l'abitudine di assumere persone svantaggiate e vuole proprio lei come baby sitter del nipote Peter, pestifero bambino destinato a ereditare una grande fortuna. Ma il destino (o forse qualcuno con un piano molto astuto) ha in serbo ben altri progetti per la bambinaia e il suo protetto: sulla loro strada c'è infatti Thompson, un pericoloso killer professionista con un incarico che riguarda proprio un bambino. Certo i cattivi di turno impareranno a proprie spese che non si scherza con queste vittime, perché tenendo fede al titolo, Julie è si "pazza da uccidere" nel senso "una malata di mente che deve essere uccisa", ma si svelerà anche come "talmente pazza da..."
Il thriller è scritto con il consueto stile asciutto ed essenziale che abbiamo imparato a conoscere dall'autore di Fatale e Posizione di tiro: scorrevole, scorrevolissimo, con scene d'azione al fulmicotone e duelli memorabili tra una schiera di malvagi da una parte e l'improbabile duo formato da un bambino e dalla sua baby sitter dall'altra. Convince un pelo meno l'impianto generale della storia e un colpo di scena abbastanza prevedibile; ma siamo comunque a livelli letterari molto alti, anche se leggermente inferiori rispetto ad altre prove dello stesso autore. In sintesi un buon noir carico di tensione e un ottimo biglietto da visita per il poliziesco francese in generale e per Manchette in particolare: non a caso nel 1972 vinse il "Grand Prix de la littérature policière" proprio per questo Ô dingos, ô châteaux! (ribattezzato Folle à tuer, cioè appunto "Pazza da uccidere" dopo l'adattamento cinematografico di Yves Boisset nel 1975).
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