Chi segue da lunga data la sua opera, sa bene che Takeshi Kitano è un novello Ulisse nipponico dal “multiforme ingegno”: meglio conosciuto in Italia come attore e regista, egli in realtà ha amato accettare la sfida che ogni musa artistica gli ha posto davanti. Attore, regista, presentatore, ballerino di tip tap, musicista, pittore (alcune sue creazioni sono visibili nel film “Hana-bi”) e tanto altro ancora. «Non sono il migliore in alcuna delle cose che faccio - dirà in un’intervista, - ma nessuno è migliore di me nel farne così tante.» Non poteva mancare scrittura al suo curriculum.
Poche pennellate della sua vasta tela letteraria sono arrivate nel nostro Paese, come l’acerbo ed autobiografico “Asakusa Kid” (1988, Mondadori 2002) e il più ambizioso e romanzesco “Nascita di un guru” (1990, Mondadori 2006). Né i suoi saggi, né le sue poesie, né i molti altri suoi romanzi hanno finora trovato spazio sugli scaffali delle librerie italiane: va quindi ringraziata di cuore la casa editrice romana Castelvecchi per aver voluto aggiungere una ulteriore ottima pennellata all’affresco letterario kitaniano.
“Boy”, pubblicato originariamente a Tokyo nel 1987, è in realtà una raccolta di tre racconti brevi di Kitano (“Il campione dal kimono imbottito”, “Il nido di stelle” e “Okamesan”) accomunati dalla scelta narrativa: è sempre il protagonista a raccontare in prima persona eventi della propria gioventù, di quand’era appunto “ragazzo”.
Lo stile è a volte grezzo e quasi esclusivamente aneddotico, ma si sente una forte tensione dell’autore verso una maggiore letterarietà. All’interno del gradevole racconto di meri fatti, dietro l’angolo può spuntare una definizione che ci colpisce, un periodo puramente letterario che coglie inaspettato il lettore. Può essere i vari modi di definire la pioggia, nel primo racconto, o lo spazio stellato come album di famiglia che ci porta i ricordi dei cari perduti, nel secondo, o l’addio ad un’esperienza indimenticabile nel terzo.
Sono storie di confini, di limiti valicati: protagonisti sono dei bambini che diventano ragazzi, ma non è un «percorso glorioso del prendere forma» (come dice Hesse), perché in realtà non si acquista la maturità bensì si perde l’innocenza. Si cresce quando si scopre che esistono cose brutte intorno a noi, che quello che credevamo vero era solo illusione, che chi ci è vicino ci ha mentito su molte cose perché non vuole accettare la verità: ed è proprio quando si capisce che la verità merita di essere mascherata da una bugia che si inizia a diventare adulti.
Tutto questo lo si ritrova nella trattazione leggera e scorrevole di un Kitano molto delicato ma incisivo, che costruisce storie brevi ma ricche e che va dritto al cuore del lettore.
Il fan di Kitano spera che gli eventi raccontati dall’autore siano estratti dalla sua giovinezza, storie autobiografiche che servirebbero a conoscere meglio sia l’uomo che l’artista. Probabilmente invece sono semplici racconti, in cui egli - come ogni altro autore - fonde esperienza personale con la fantasia e l’immaginazione.
Una lettura caldamente consigliata anche a chi non conosca, o non apprezzi, l’attività registica dell’autore.
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