Forse ricordate, in una delle scene iniziali dell’adattamento cinematografico di Sol Levante di Chrichton il gangster Koryuki Togawa che si diletta, circondato dai suoi guardiaspalle e in compagnia dell’annoiata hostess occidentale di turno, a cantare in un locale di karaoke di Japantown a Los Angeles. Sullo schermo scorrono immagini che paiono tratte da uno spaghetti western italiano particolarmente violento ma che, in realtà sono interpretate da attori giapponesi. Era un omaggio, comprensibile per pochi esperti di cultura pop giapponese, ai western della Nikkasu Akushon realizzati negli anni 50-60 in Hokkaido. Scimmiottature improbabili di film americani ricreate in uno scenario che, vagamente, poteva ricordare quello del sud ovest americano.

O almeno ne era una riproduzione quanto l’Almerica di Leone o l’Abruzzo di Tonino Valeri lo erano del mito del West.

Il cowboy con gli occhi a mandorla, il ribelle senza causa spregiudicato e idolo del rock, il gangster urbano. Sono tre figure archetipe del cinema nipponico d’evasione degli anni a metà del secolo passato e il simbolo della fortuna della Nikkasu, società di produzione cui venne presto affiancato il nome Akushon che- come capita sempre più spesso nella cultura giapponese vedi gli esempi Ringu da Ring e Idoru da Idol in senso  musicale – traduceva  secondo la traslitterazione del katakana la parola inglese “action”, azione.

Per comprendere meglio il fenomeno, riproposto recentemente con un’interessante rassegna al Far East film Festival di Udine tra il 24 e il 30 aprile 2005, occorre inquadrare storicamente l’atmosfera di quegli anni e, ovviamente, addentrarci nei vicoli oscuri della Yakuza.

Gli anni 50 segnano l’inizio per il Giappone reduce dalla sconfitta della Seconda guerra mondiale, di un periodo di sconvolgimenti e di rinnovamento.

Un processo traumatico attraverso il paese ha dovuto fare i conti con la rovina cui era stato portato dai gruppi di zaibatsu (le grandi società commerciali di estrema destra legate alla Yakuza), la tragedia della bomba atomica, la fame, il mercato nero e, soprattutto l’occupazione americana che, in cambio di aiuti sostanziosi aveva eletto i nemici del conflitto a nuovi alleati nella guerra fredda contro il Comunismo. È un’epoca che sancisce un lento cammino verso quella prosperità economica che porterà alle soglie degli anni 70 il paese a potenza mondiale ma sono anche anni caratterizzati da quel giajin kumpurresku, il complesso d’inferiorità verso gli occidentali che spingerà il paese, soprattutto nei suoi strati sociali più miseri a un invidioso tentativo di imitazione dell’Occidente, un amore-odio che anche oggi è evidente nella cultura locale e che, se pure ha permesso una modernizzazione del paese, ha sempre avuto in sé il seme del fallimento, dell’impossibilità di eguagliare un modello amato quanto detestato.

Sono  anni in cui il governo si stabilizza in forti coalizioni conservatrici, “alleate” dell’America ma anche sostenute dalla destra legata alla malavita. 

La produttività aumenta a discapito dei diritti civili, le zaibatsu rinascono associandosi in potentissimi keiretsu e, nelle grandi città di Osaka, Kobe e Tokyo prosperano i sindacati del crimine, Tosei Kai, e Yamaguchi Gumi, organizzazioni con facciate pubbliche ma affari tentacolari nei bassifondi. E, ovviamente nei corridoi di palazzo dove nasce la nuova Yakuza dei “Colletti bianchi”. È anche l’epoca della rinascita del cinema giapponese d’autore, quello di Kurosawa, di Mizoghuchi, di Ozu così acclamato nei festival occidentali ma, per la verità non apprezzatissimo dai giovani e dalle masse in Giappone. Qui entra in scena la Nikkasu, società, nata sin dai tempi del muto (ricordiamo che la cinematografia giapponese è una delle più antiche del mondo) ma che in quest’epoca trova la formula, o meglio differenti formule per compiacere i gusti del pubblico.

Il mondo è stregato dal ritmo ribelle che viene dall’America, il Rock and Roll con i suoi eroi senza causa, ragazzi ribelli, abili coi pugni le la chitarra, che stregano le ragazze con lo sguardo assassino, le camice sgargianti e le macchine – o le moto - veloci. 

Ishihara Yujiro, giovane belloccio e prestante è il primo grande eroe di quest’epoca. In una serie di film che in qualche modo anticipano e imitano i film di Elvis Preasley - grandissimo mito anche oggi in Giappone, basti ricordare un film di qualche anno fa American Yakuza, girato sullo stile  “Tarantino” in cui due killer della Yakuza arrivano a Memphis e uno di essi si mette in testa che il RE sia vivo… -  e di James Dean.  Ma il modello di giovane ribelle particolarmente provocatorio in una società ancora molto conservatrice di Yujiro, la produzione Nikkasu non si limita ai “musicarelli”- un termine che ci riporta in quegli stessi anni a tante pellicole interpretate con lo stesso spirito dai cantanti nostrani per il medesimo pubblico! - ma sviluppa una produzione forse meno formalmente perfetta ma graditissima alle platee nel western, nel film di Yakuza che in breve diventa il vero e proprio cavallo di battaglia della società di produzione. Per tutti gli anni  60 la Nikkasu Akushon produrrà film che oggi definiremo “noir” ispirati a modelli americani ma anche francesi, con uno spirito che riporta in ambito moderno le storie di samurai che, in quello stesso periodo raccolgono grandi successi con le imprese di Zatoichi, lo spadaccino cieco, recentemente rivisitato da Kitano. I film della Nikkasu rappresentano ambienti urbani, night club, strade sferzate dalla pioggia e, soprattutto puntano su eroi ribelli giovani, dotati di capacità di sopravvivenza quasi sovrumane.

Il genere si trasforma, nel giro di pochissimi anni in un vero e proprio filone che sforna decine di pellicole ogni anno. Molte delle quali girate in fretta, cariche di stereotipi, di gangster che bevono whisky  e fumano sigarette americane mentre in sottofondo cantanti con gli occhi a mandorla intonano motivetti occidentali.

Sembrano completamente banditi gli scorci neorealistici di Cane randagio di Kurosawa, i paesaggi bucolici. Si preferisce un sottofondo urbano dove il lusso, le macchine hanno sempre qualcosa di artificioso, capace di far sognare il popolino ma che, rivisto oggi, tra quelle scenografie in bianco e nero, non può che evocare  quartieri degradati, dove si vive ancora al mercato nero e, alla fine, non ci si può permettere più di un sakè e una ciotola di riso.

Siamo ancora in un’epoca di Yakuza idealizzati, di onore e Giri, obbligazioni, esasperati ma, a metà degli anni  60, arrivano dall’occidente nuovi stimoli e anche il cinema gangsteristico si fa più adulto.

La stessa Nikkasu abbandona i finti western e i  musicarelli preferendo concentrarsi sui muudo ashukon o mood action, film noir veri e propri dove la spavalderia di solo qualche anno prima pare mutata, virata ancor più al nero, consapevole dei problemi del paese.

E gli eroi spavaldi e inverosimili dei primi film Nikkasu si ritrovano sempre più spesso soli, con un bicchiere e una sigaretta - rigorosamente di marche straniere – tra le mani. Ma le luci di night si fanno più fioche, i visi delle cantanti più disperati e, sebbene in forma  ancora idealizzata, il codice d’onore della malavita si presenta nella sua forma meno romantica.

Il tradimento, la solitudine, la violenza cominciano a diventare tratti caratteristici se non predominanti dei personaggi di questi film.

Ed è proprio in quest’epoca che nascono alcuni veri talenti cinematografici come Hasebe Yoshiharu e Sejun Suzuki del quale abbiamo parlato diffusamente quando abbiamo affrontato il cinema Yakuza più adulto e realistico, quello che fa capo a Fukasaku. Suzuki, ancora vivo e attivo, tanto da essere presente a Cannes con un film coprodotto con la Cina Princess Racoon nel quale dirige la “diva” Zhang ZiYi (Tigre e Dragone, La foresta dei pugnali volanti, Hero). Suzuki, per anni bistrattato dalla critica, è un vero maestro del filone  Yakuza.

Oltre al celbre Tokyo Drifter di cui abbiamo parlato in un’altra puntata, ricordiamo molti altri suoi film ambientati nel mondo della malavita.

Uno in particolare La Jeunesse de la bete lo recuperai in Francia  qualche anno fa e mi colpì moltissimo.

Gli elementi erano i soliti, il gangster, la vendetta della morte di un amico, la ritorsione di un perfido gangster, ma c’era un romanticismo, una potenza assenti in altri prodotti Nikkasu. In effetti Suzuki lavorò molti anni per la società di produzione nipponica realizzando film romantici e noir alcuni dei quali sono oggi disponibili sul mercato francese in curatissime collezioni in DVD facilmente ordinabili tramite http://www.amazon.fr.

Di lì a poco però l’idillio tra Suzuki e la Nikkasu s’interrompe con il film Branded to Kill.

I criteri troppo commerciali della società di produzione ormai stavano stretti al regista che aveva intravisto un futuro più nero e realistico per  il genere. In poco tempo la Nikkasu sarebbe diventata un fenomeno del passato, incapace di rinnovarsi e di far spazio al nuovo cinema d’azione nipponico, più violento e realistico. Sono gli anni 70, epoca in cui il  Giappone sta acquisendo uno status politico economico nuovo e più arrogante. Okinawa, finalmente riprende la sua indipendenza… e si scatena una guerra ferocissima tra gang Yakuza dove si combatte senza codice d’onore, proprio come racconterà Kinji Fukusaku in Guerre des Gangs a Okinawa.