E' settembre. L'estate non è ancora finita, ma le ferie sono ormai un ricordo. Noi puntuali continuiamo i nostri appuntamenti nel salotto letterario virtuale, ospitando un nuovo autore alla sua prima volta editoriale. Questo mese è la volta di Alessandro Cartoni che esordisce con Io sono la nemesi (libri/10194), grazie alla vittoria di un concorso indetto da PerroneLab.
Il volume è molto particolare, contiene tre storie che si inseriscono in un unico progetto grazie ad assonanze e richiami e proprio per questo questa intervista sarà impostata in maniera analoga, lasciando spazio all'autore di partire da alcuni spunti per riflettere, raccontare e incuriosire i lettori.
Cominciamo con qualcosa di semplice: prova a fare un breve riassunto delle tre storie raccontate.
Allora, nella prima, Un dolore qualsiasi il protagonista, paralizzato dalla frustrazione per un lavoro che non ama e dalla vita di provincia, una vita, si intenda, da morti viventi, di colpo si innamora di una donna rimasta ferita in un incidente d'auto… E' questo l'evento che lo risveglia e lo spinge a cercare un altrove.
La seconda, che dà il titolo al volume, è interamente ambientata in un villaggio turistico che funziona in fondo come un lager d'alto bordo. Il protagonista vi passa attraverso come un estraneo… Questa esperienza lo metterà a dura prova, ma soprattutto gli dimostrerà, quasi svevianamente, che la coscienza della propria "malattia", è un antidoto alla presunta "salute" degli altri.
La terza, Cognati, è una storia più famigliare e direi intima, tocca il vecchio tema dell'amore non consumato tra due cognati che pensano di detestarsi, ma che si ritrovano al capezzale del capofamiglia. La morte, dunque può anche unire o rivelare quello che la vita ordinaria nasconde.
E del libro in generale?
Tre storie che vorrebbero costruire una specie di melodia unica, fatta di ritmi, dissonanze e consonanze, e che trova la sua unità nel punto di vista dei tre protagonisti, un punto di vista estraneo, ostile, ma anche differente e divergente dalla realtà. L'unità dovrebbe essere data dal fatto che lo sguardo sul mondo, o se vuoi la voce che parla, ora è espressa in prima, poi in seconda e infine in terza persona. Prima dice "io", poi "tu", poi "loro". Un problema di forma che però è anche di contenuto.
E ora proviamo a cercare analogie e differenze. Siccome le tre storie hanno punti in comune, ma allo stesso tempo si distanziano molto una dall'altra, analizziamo per ogni aspetto gli uni e gli altri per i tre racconti.
Il protagonista.
Tendenzialmente, in tutte e tre le narrazioni, si rivela come fuori di testa, ipocondriaco e malato nell'anima, ma mai del tutto soccombente. A suo modo è capace di sognare e agire. Impara a contare sulla propria debolezza. Il suo motto è lo stesso di Herzog: "Se io sono matto per me va benissimo!". Aggiungerei alla questione delle differenze che mentre nella prima storia il protagonista cerca un'altra vita e a causa di questo incappa in un maldestro omicidio, per la seconda la Nemesi si configura come giustizia che è nelle cose e che gli uomini hanno solo il compito di rivelare. La Nemesi qui è in fondo una "guarigione" del protagonista come in Duma Key di King. Nell'ultima il senso della Nemesi è ambiguo: da una parte l'equilibrio è ristabilito perché dalla morte (del vecchio) nasce il germe dell'amore, dall'altra quest'amore è di fatto impossibile (socialmente non accettabile) e la Nemesi, attraverso il caso, si incarica di negarlo.
Le donne.
Croci e delizie. Costituiscono l'orizzonte emotivo dei protagonisti (l'immagine stessa della vita), ma poi si rivelano nei fatti, invadenti, bizzose, spesso emotivamente fragili, incapaci di affrontare il passaggio del tempo e spesso vittime degli stereotipi sociali di massa. Tuttavia, a onor del vero, alla leggera misoginia delle prime due storie fa da controcanto il coraggio di Alice (il secondo personaggio) nell'ultima storia, quella cognata che per amore agisce e libera (perché è forte), come una moderna "accabadora" (non me ne voglia la Murgia)
L'ambientazione.
Assolutamente scevra da "colore locale". Tutto quello che viene narrato da un lato vorrebbe essere realistico, dall'altro però anche abbastanza indeterminato da valere come "exemplum", quindi offrire anche un termine metaforico. Ovviamente questa è una pia speranza, al lettore decidere se ci sono riuscito. La seconda questione che pone il testo credo, sia quella del riconoscimento "dello spirito del tempo" come recita anche la quarta di copertina, il tentativo cioè di descrivere «l'evo berlusconiano» in cui tutti siamo immersi con i corpi e con le anime. Un tempo oscuro che rende l'io sempre più fragile e i meccanismi di dominio sempre più pervasivi.
Il genere.
Un po' a metà tra racconto psicologico, noir e narrazione esistenzialista se mi si passa il termine che ha una ascendenza illustre ma, a parte Michel Huellebecq (uno dei miei numi tutelari come sai), pochi seguaci.
Le scelte stilistiche e riferimenti culturali.
Molto umilmente il riferimento forte è sicuramente al Camus de Lo Straniero che rimane per me, il paradigma di riferimento in senso stilistico (quella lingua quasi al grado zero) e di contenuto: lo sbandamento individuale di fronte a una realtà del tutto assurda. Poi ci sono i narratori americani che amo per la concisione, il ritmo e la capacità di porci di fronte alla natura in modo selvaggio e stupito al tempo stesso. Più arduo dire se quella lezione si è poi deposita nella "Nemesi".
E ora giochiamo all'"aut-aut": scegli una delle due opzioni in relazione al libro e spiega il perchè. Romanzo o racconti?
Né l'uno né l'altro, piuttosto storie lunghe che creano risonanze e contraddizioni ma che rimangono in rapporto anche per negazione o sottrazione e che costruiscono perciò un tutto, un insieme che tende a tenersi. Direi più come le parti di un organismo che come i pezzi di una macchina.
Di genere o non di genere?
Il genere per me è un pretesto, un luogo conosciuto, conoscibile, che offre occasioni, rimandi, personaggi, situazioni, ma che viene anche "svuotato" a misura dei problemi e delle ossessioni che interessano l'autore.
Attuale o universale?
Universale, però, come indicava Calvino parlando del classico, nel senso che pone l' "attualità" come rumore di fondo. Il presente c'è ma la narrazione non si esaurisce in esso.
Analisi o denuncia?
Una buona analisi (la letteratura serve sopratutto a questo) è sempre parte di una vera interpretazione del reale che come tale è sempre denuncia. Guai però a fare della letteratura uno strumento della denuncia. O peggio della ideologia. La letteratura crea mondi e perciò dà senso all'esistenza, solo conservando la sua autonomia (e la sua «inutilità») dal mondo può continuare a esercitare la sua funzione liberatoria.
Eroi o vittime?
Scambio simbolico tra vittime ed eroi, nel senso che se non si è vittima, cioè se non si beve fino in fondo l'amaro calice della disfatta (se non ci si incarna nel corpo del capro) non si può essere nemmeno eroi. Non a caso gli eroi nel mondo antico abitavano tra gli uomini, gli dei no.
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