Cara Paola, innanzitutto benvenuta su ThrillerMagazine! J
Grazie!
Aprire un’intervista chiedendo all’autore di turno di partire dalla sua biografia non brilla certo per originalità. Spesso però è un passaggio oggettivamente importante. Come nel tuo caso, direi. Mi riferisco in particolare alle tue esperienze all’estero, che ritengo abbiano influito in modo significativo sulla tua natura di narratrice…
Sì le esperienze all’estero hanno chiaramente influenzato le ambientazioni e le suggestioni dei miei romanzi. Detto questo però non vorrei che ci si stupisse più di tanto se autori italiani decidono di ambientare le loro storie all’estero o di inserire come protagonisti dei loro racconti degli stranieri, la verità è che il mondo è più piccolo oggi. Che sia in modo reale o virtuale, per nostri spostamenti o per interazione con persone di altre nazioni che vivono in mezzo a noi, sta di fatto che siamo tutti più internazionali, che lo vogliamo o no.
Per me, ovviamente questo è un gran bene.
Quando hai iniziato a scrivere?
Al liceo. Mi piaceva scrivere racconti brevissimi sulle cose che mi succedevano, ritratti di amici e professori. Non facevo mai leggere nulla a nessuno però, troppo timida. Sono andata avanti così per anni.
L’esordio professionale nel romanzo avviene con “Miniature”, pubblicato nel 2007. Di cosa parla?
“Miniature” è un thriller puro. Racconta la denuncia di un intrigo nel mondo farmaceutico da parte di tre personaggi, due uomini e una donna. La donna è una killer, malata però. La storia si svolge in pochi giorni e è alquanto secca e scura.
Come sei arrivata alla Fanucci?
“Miniature” è stato scritto nel 2002 ed è rimasto dentro il famoso cassetto per quattro anni. Nel frattempo però avevo cominciato a pubblicare qualche racconto on-line facendomi un piccolo pubblico di affezionati. Tra questi c’era un amico che mi chiese di fargli leggere qualcosa di più lungo. Gli inviai “Miniature”. Lui ne rimase colpito e lo suggerì ad un’agente letteraria la quale decise di rappresentarmi. Dopo due mesi firmai con la Fanucci.
“Miniature” ha avuto una bella accoglienza. E’ stato pubblicato anche in Spagna e in Germania.
Sì. In Spagna è uscito con il titolo “Miniaturas” e in Germania uscirà a giorni col titolo di “Letal”.
Il tuo lavoro ultimo lavoro è “I fiori di Hong Kong”, distribuito la scorsa primavera. Cambio di scenario. Dall’Europa alla Cina. Anche in questo caso, chiedo a te di sintetizzare ai lettori trama e anima del romanzo.
Un giovane funzionario di banca italiano, Giorgio Sarli, viene ucciso ad Hong Kong e il fratello maggiore, Vittorio, si reca nella metropoli orientale per il riconoscimento del cadavere e per seguire le indagini. Vittorio resterà ad Hong Kong più del previsto perlustrando, fuori tempo massimo, la vita del fratello in quel luogo lontano. C’è un’indagine, c’è un commissario, Leung, e ci sono personaggi vari che entrano ed escono dalla storia per dare un contributo alla ricerca della verità, la quale arriverà alla fine, ma forse non la giustizia.
Nel libro, il ritratto di Hong Kong emerge da vari singoli particolari, a volte piccoli, non da grandi descrizioni. Una scelta molto felice, portata avanti con efficacia…
Non volevo uscire fuori dall’ambito delle mere suggestioni, delle percezioni quasi. La città è vista sia con gli occhi di un occidentale di passaggio, che con quelli di un nativo che però ha assistito a tali e tanti cambiamenti da sentirsi, a volte, egli stesso un estraneo.
Come viaggiatrice, cosa ti ha colpito di più di Hong Kong?
Come tutte le grandi metropoli moderne Hong Kong è un luogo in perenne movimento, in preda ad una stratificazione urbanistica e di culture, ma quello che la rende affascinante e unica, ai miei occhi, è la bellezza paesaggistica della baia, il carattere tropicale ed europeo allo stesso tempo e poi i colori e gli odori di certi quartieri che ti rimangono addosso per un po’ di giorni anche dopo che sei ripartito.
Parliamo un po’ di personaggi, ora. C’è Vittorio Sarli, il protagonista, e soprattutto il commissario Leung, la figura per me più interessante del romanzo. Leung è tratteggiato con estrema empatia, e attraverso di lui filtri molti dei significati del libro, che si accompagnano allo scorrere della trama.
Per descrivere Leung ho preso spunto da certi coscienziosi, precisissimi funzionari statali che ho incontrato per lavoro, sempre perfettamente abbigliati, pettinati, sempre devoti al lavoro, puntualissimi. Confesso però, di averci messo dentro qualcosa di mio padre, umbro doc, un uomo pacato e pieno d’immaginazione, un filosofo a modo suo, simpatico e sorprendente. Credo sia venuto fuori un ritratto convincente perché non esiste oriente e occidente, nord o sud, quando si descrive l’animo umano. Vittorio invece è un quarantenne italiano, figlio di una generazione molto più pesante e sofferta di quella del fratello più giovane. Vittorio è un uomo ancora alla ricerca di una sua dimensione e forse, compiendo questo viaggio post-mortem, alla fine trova delle risposte.
I personaggi sono comunque vari: Julia, sicuramente; poi l’assistente Jimmy; il mafioso russo Vavilov; Patty Lin, l’obesa e affamata anche sessualmente padrona del Giardino delle Magnolie; e tutti gli altri...
Sì il romanzo è abbastanza corale alla fine. Il fatto è che mentre scrivevo certi personaggi mi prendevano la mano, volevano più spazio, come Jimmy per esempio, che si è ricavato la sua storia e il suo momento di gloria!
Tra i vari temi che emergono dalla lettura, uno è quello del divario generazionale…
Esatto. C’è il divario generazionale tra Vittorio e Giorgio, due Italie diverse, una più pesante, più complessa e una più facile, più superficiale, quella del “tutto e subito”, televisiva. Ma c’è anche il divario tra Leung e i suoi assistenti e, soprattutto, tra Leung e sua figlia.
I dialoghi sono fondamentali, in questo libro. Alcuni sono veramente esemplari, soprattutto quelli tra Vittorio e Leung. Quanto sono studiati e quanto naturali?
Quando affronto i dialoghi per me è fondamentale la tenuta del linguaggio rispetto alla personalità del carattere. Vittorio è un quarantenne irrisolto, uno che viene dal punk ma è diventato un apprezzato architetto, uno che non è approdato ad una vita sentimentale stabile e che ha sviluppato una visione cinica della realtà. Ecco Vittorio non può che usare un linguaggio asciutto, veloce, duro a volte. Leung invece è un sognatore, un emotivo, un uomo medio nell’accezione migliore, uno che ama Pavarotti, la famiglia, la tradizione ma, nello stesso tempo è aperto, curioso, senza pregiudizi. Per lui ho adottato un modo di parlare gentile, ampio, accurato. I dialoghi tra loro due sono basati su questo bilanciamento. Una volta trovato questo ritmo, sono andati avanti in modo naturale.
C’è nel libro qualche citazione dal cinema di Hong Kong?
“Chinese Box” di Wayne Wang, per le immagini della baia immersa nel grigio e per lo smarrimento del protagonista occidentale.
Ho avuto l’impressione che “Miniature” e “I fiori di Hong Kong” abbiano avuto delle genesi creative alquanto diverse. Cioè che per il primo lo stimolo principale sia venuto dall’affrontare una tematica forte e di denuncia (la spregiudicatezza persino criminale a cui può arrivare la ricerca e il business farmaceutico), sul quale poi hai intessuto una struttura ad intrigo, individuandone nel contempo i protagonisti più adeguati. Nel secondo, invece, credo la volontà nascesse più che altro dallo stimolo dato dall’ambientazione hongkonghese, e da quanto poteva offrire sia in termini di attualità, che di scenari, che di protagonisti…
Sono totalmente fuori rotta, o magari un po’ ci ho azzeccato?
Direi che fra i due romanzi c’è prima di tutto una differenza nella scrittura. Miniature è un thriller classico dove prevale la trama, la costruzione teorica del plot e la scrittura è funzionale a questo. Ne “I Fiori di Hong Kong” l’elemento puramente thriller, l’indagine, si allenta un po’ a favore del sentire, mio e dei personaggi, c’è un maggiore lasciarsi andare alle suggestioni, come dici tu, agli scenari e alle caratteristiche psicologiche dei protagonisti.
Non con la volontà di etichettare laddove non necessario, bensì con l’intento di aiutare il lettore ad orientarsi: se affermassi che “Miniature” si fa veicolare dai ritmi del thriller e che “I fiori di Hong Kong” ha qualcosa del noir contemporaneo, ti ci ritroveresti o no?
Appunto sì, concordo.
“I fiori di Hong Kong” ha una colonna sonora, vero?
“By this river” di Brian Eno.
Mi sono annotato veramente tanti punti del romanzo, durante la lettura. Che ne dici se ne pescassi due a caso, e li leggessimo e commentassimo assieme?
Certo.
A pag. 68, Vittorio ascolta Leung che gli spiega che il fratello risulta essere stato una vittima collaterale in una guerra tra gang rivali. Una verità comoda. Ma falsa.
Interessante è però il commento, sincero, di Leung. “Non è una cattiva notizia, signor Sarli. E’ una buona notizia. La reputazione di suo fratello è salva. Lui è stato una vittima. Innocente. Questo deve dire alla sua famiglia, alla sua povera madre.”
Leung, come dicevo, è quello che potremmo definire, con un’espressione un po’ datata, “un uomo per bene”, un padre di famiglia che in tutta la vicenda dell’omicidio del giovane italiano, non può fare a meno di pensare alla povera mamma italiana che aspetta il ritorno dell’amata salma e della verità. Una delle preoccupazioni maggiori di questo strano, e per certi versi, anacronistico personaggio, è quello di dare a Vittorio una verità buona, una soluzione decorosa e amorevole per la famiglia, in Italia.
A pag. 111, Vittorio si sofferma con lo sguardo sul pianista di un locale.
Scrivi: “Ligio al suo dovere, fermo dietro la sua trincea, il pianista automatico suonava come al solito. Le sue dita snocciolavano note artigiane, e gli occhi vitrei osservavano quel caleidoscopio di fantasmi davanti al loro drink.
Provò pena per quella figurina e per il suo repertorio da sogno occidentale. Chissà quanta dedizione solitaria, quanta fatica, quante illusioni aveva offerto alla musica, e ora questa lo ripagava così, facendolo diventare un carillon. Vittorio avrebbe voluto vederlo spaccare tutto e magari spogliarsi davanti alla gente e fare il bagno nudo in piscina.”
Tornerà, questo pianista. Saranno i suoi occhi, il suo pensiero e le sue dita che offrono un “repertorio ottimista” a chiudere questo stupendo romanzo…
I pianisti di piano bar che si incontrano spesso nei grandi alberghi internazionali mi hanno sempre suscitato queste tristi e strane visioni. Ho voluto inserirlo come osservatore ignorato e impotente di questa storia dove oriente e occidente si confondono più facilmente di quanto non si possa immaginare.
Non ricordo da dove l’ho presa, ma ad un certo punto nel romanzo c’è una definizione agghiacciante, per quanto legata alla vicenda narrata: la morte viene definita come “quel niente pieno di bugie”…
E’ un pensiero di Vittorio che, da una parte non ha certezze di fede e quindi vede la morte come il grande nulla e, dall’altra, sente di non arrivare mai ad alcuna verità. In effetti la ricerca della verità è il grande confine che separa i personaggi in questo romanzo. “Non sarà mica di quelli che cercano la verità?” chiede la grassa signora Lin a Vittorio. E il russo a Leung.
Altra domanda che fa parte del carnet “classico” dell’intervistatore: i tuoi autori o i tuoi libri preferiti?
Ho scoperto che è difficilissimo dare una risposta a questa domanda! Potrei dirti che da ragazzina trovai in casa tutta la raccolta di spy stories di John Le Carré e ne feci un’abbuffata e, adesso che ci penso, credo che il tema “niente è come sembra” che c’è sempre nelle cose che scrivo, venga da questo primo imprinting letterario. Però poi mi sono innamorata di tanti altri autori che mi hanno cambiata e che periodicamente rileggo: da Svevo a Cechov dei racconti, da Parise a Bulgakov.
Ma il lettore vive di fasi e quindi ti dico che per un periodo ho letto molto hard-boiled, soprattutto James Ellroy. E poi la fantascienza di Philip Dick.
Adesso adoro Ammaniti, Murakami Haruki e Paul Auster… ecco già penso ad altri venti, fermami!
Cosa ti diverte di più, quando scrivi?
La totale immersione nella storia. Per tutto il periodo della stesura del romanzo io vivo una vita schizofrenica: quella mia, reale, e la loro, quella dei miei personaggi.
Il tuo prossimo viaggio?
In giro per capitali Europee. C’è sempre molto da scoprire.
Il tuo prossimo romanzo?
Sarà ambientato in Italia.
Paola, siamo in chiusura. Grazie della chiacchierata. E a presto!
Grazie e voi, è stato un grande piacere!
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