Arriva in edicola il terzo episodio di una delle più celebri saghe del cinema marziale asiatico, quella cioè dedicata al medico-eroe popolare Wong Fei-hung e portata sullo schermo dalla coppia regista (Tsui Hark) - attore (Jet Li). “Bruce Lee e il grande cinema delle arti marziali”, serie targata Gazzetta dello Sport e Stefano Di Marino, presenta “Once Upon a Time in China 3” (Wong Fei Hung ji saam: Si wong jaang ba, 1993), pellicola che nelle intenzioni chiudeva un’ideale trilogia dedicata al personaggio: in realtà la saga era solo a metà!
Siamo ai primissimi e sanguinosi anni del Novecento cinese, dove protagonista è la massiccia invasione straniera che sta lentamente - ma regolarmente - calpestando i valori e le tradizioni di un antico paese. L’Imperatrice della morente Dinastia Qing decide di mostrare agli stranieri il fascino e la forza delle arti marziali cinesi, così organizza un torneo nazionale fra tutti i migliori combattenti e “lion dancers” (quelli cioè che eseguono antiche danze all’interno di un’enorme maschera rappresentante la testa di un leone): il vincitore sarà nominato “Re Leone”.
Intanto a Pechino arriva Wong Fei-hung (Jet Li) in visita al padre, occasione nella quale dovrebbe decidersi a informarlo delle intenzioni di sposare l’amata 13ª zia Siu-kwan (Rosamund Kwan). Questa è da sempre stregata dalle “magie” occidentali, tanto che accetta di buon grado una cinepresa dal diplomatico russo Tomanovskij, scatenando le gelosie (non solo amorose) di Wong.
Malgrado l’alta qualità del prodotto e del cast tecnico-artistico, questo film non può che considerarsi inferiore rispetto ai suoi due sfolgoranti predecessori, ma lo stesso superiore ai tre titoli successivi. La differenza più significativa è che in questo terzo film alle coreografie marziali troviamo l’attore-stuntman Yuen Bun al posto di Yuen Woo-ping: sembra perdersi l’equilibrio fra l’uso massiccio dei cavi nei combattimenti, tipico del wuxiapian, e tecniche con almeno una parvenza di “realtà”, tipico del gongfupian. Wong Fei-hung acquista sempre più le doti di un supereroe, ma d’altronde non è un eroe popolare per caso: rappresenta anche la magia della marzialità, oltre che l’aspetto storico.
Proprio l’aspetto storico è stata la grande trovata di questa trilogia (per ora) di film: in ogni storia vengono presi gli aspetti più tradizionali della cultura cinese e messi di fronte al progresso galoppante delle invenzioni occidentali. In questo film non colpisce tanto la macchina a vapore quanto la cinepresa e lo stupore che Wong Fei-hung e i suoi allievi proveranno a rivedere le proprie tecniche su grande schermo... in una scena deliziosa che è quasi un’autocitazione del cinema di Hong Kong in generale.
Il film è stato distribuito in una copia inglese con il titolo “The Invincible Shaolin”, con alcuni tagli, ma per fortuna l’edizione italiana è basata su l’originale di Hong Kong (anche se comunque non priva di tagli, come la scena in cui Jet Li prende a calci le zampe di un cavallo: si vede il colpo ma la sequenza della caduta dell’animale è assente): pare poi che esista una versione taiwanese più lunga di circa 15 minuti.
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