Quentin Tarantino, questo ragazzotto dall’aria un po’ grulla scappato fuori da una videoteca di Brooklyn – why the hell din’t you just stay there, bro? - ha costruito la sua intera carriera su un’unica intuizione: in Pulp Fiction ha voluto sballare l’unità narrativa di tempo e di luogo intrecciando le sue storie “a spirale” e non “ad arco”. Okay, dude, that was kinda cool, so now what? Well, now nothing. Sull’onda troppo lunga di Pulp Fiction, sono dieci anni che - dal fasullo Jackie Brown ai due indegni Kill Bill - il furbastro Quentin va avanti a iniettarci ore e ore di puro valium filmico. Al momento, Quentin contende a M. Night Shaymalan il tapiro d’oro per lo auteur più stramaledettamente sopravvalutato di Hollywood.
Fast-forward to stardate 2005. Dal pulpito della sua arrogante, supponente, insolente condiscendenza, Quentin non perde occasione per farci sapere come abbia sempre amato i fumetti, quanto i fumetti lo abbiano sempre ispirato e bla-bla-bla. Partendo dai DC Comics di vetusta memoria, transitando senza passare dal via per i Manga più grondanti, il nostro è finalmente approdato agli outer limits della vignetta politically incorrect: i Dark Horse Comics.
A Hollywood ogni tanto un qualche produttore che riesce a spremere bene i soldi delle majors gioca a fare il rivoluzionario da paninoteca. Per cui – I mean, is this a great idea or what? - prendiamo l’arte di Frank Miller, il genio Kreativo di Quentin Tarantino e il virtuosismo tecnico di Robert (El Mariachi, From Dusk ‘til Dawn, Desperado) Rodriguez. Dopo di che scaraventiamo il tutto in forno a micro-onde spinto supermax e - you guessed it, man! - Sin City è destinato a diventare la nuova frontiera del cinema d’azione del Terzo Millennio. Right?
Wrong, my man... DEAD wrong!
Vessillo dell’era prossima ventura del digital cinema, la versione filmica di Sin City si apre con un bang!, letteralmente. Un seduttivo giovane mandrillo (Josh Hartnett, truccato da Rodolfo Valentino post-industriale) appare su una terrazza bagnata dalla pioggia a eseguire un lavoretto ancora più bagnato. Benvenuti a Basin City, anzi: Sin City, la città del peccato. Quale universo immaginario e immaginifico creato sulla carta stampata da Frank Miller e trasposto sul grande schermo da Robert Rodriguez, Basin City è un’emorroide metropolitana a un tale stadio di suppurazione terminale da fare apparire Sodoma & Gomorra come Disneyland.
Procediamo oltre con Dwight (Clive Owen), detective privato con un debole per le squinzie sexy – hey, man, what’s wrong with that? Dopo avere dato un paio di colpetti giusti a una camerierina tutto pepe (Brittany Murphy), Dwight si caccia in guai grossi cacciando nella tazza del cesso la testa del putrido Jacky Boy (Benicio del Toro), il quale si rivela essere uno sbirro ancora più putrido. Per vie troppo contorte da precisarsi in questa sede, questo sgarro scatena una guerra tra le battone di Old Town guidate da Gail (Rosario Dawson, sventola nera tutta cuoio, borchie e calze a rete) e poliziotti marci al servizio dell’imperatore cosmico del marciume senatore Roark.
Completiamo il tutto rientrando sulla vicenda di Hartigan e della ragazzina, ormai decisamente cresciutella (Jessica Alba) e più che pronta ad abbandonare l’innocenza.
Un dettaglio apparentemente molto burocratico ma in realtà molto significativo: il credit della regia di Sin City è al cinquanta percento Rodriguez/Miller. Per ottenere ciò, Rodriguez ha rinunciato all’appartenenza al prestigioso e potente Directors’ Guild of America, il sindacato registi. Meaning what, Frankie-boy, you don’t need no stinking union no more?
Esiste un’unica trovata in Sin City: alcune scelte di casting. Qualcuno - escludo Tarantino/Rodriguez, Inc., sarebbe chiedere troppo uso di sinapsi - ha avuto la buona idea di mettere bravi bambini dal viso d’angelo a fare i mostri. Nick Stahl, il buon coatto John Connor di Terminator 3, diventa un orrido mutante dalle orecchie a sventola che dilaga sangue colore dell’orina su tutto quanto. Elija Wood, l’appassionato Padron Frodo del Signore degli Anelli, ha un debole per le mutilazioni con la sega circolare. Josh Hartnett, che ha fatto palpitare generazioni di adolescenti in Pearl Harbor, non esita a sparare point-blank nelle viscere delle meglio pupattole sexy disponibili.
Oltre ciò, in questa grandguignolesKa orgia di arti mozzati a sciabolate, teste di donne decapitate appese alle pareti come trofei di caccia, proiettili che staccano geyser di carne trita dai punti di impatto, pressoché ogni cosa è deja-vu, deja-sentu. Perfino nella struttura narrativa – di nuovo: “a spirale” e non “ad arco” – Sin City è una copia carbone in peggio di Pulp Fiction. In sostanza, superati i primi venti minuti di originalità visuale, a Sin City - proprio come in quella flemmatica e amara canzone di Franco Califano - tutto il resto è noia.
SIN CITY (2005)
Produzione: Dimension Films, Troublemaker Studios
Produttori: Elizabeth Avellan, Frank Miller, Robert Rodriguez, Andrew Rona, Bob Weinstein, Harvey Weinstein, Brad Weston
Regia: Frank Miller, Robert Rodriguez, Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Frank Miller, Robert Rodriguez
Cast: Bruce Willis, Mickey Rourke, Jessica Alba, Clive Owen, Nick Stahl, Powers Boothe, Rutger Hauer, Elijah Wood, Rosario Dawson, Benicio Del Toro, Jaime King, Devon Aoki, Brittany Murphy, Michael Clarke Duncan, Carla Gugino
Fotografia: Robert Rodriguez
Musica: Robert Rodriguez, John Debney, Graeme Revell
Montaggio: Robert Rodriguez
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