Continua la presentazione di grandi classici del gongfupian (cinema che mostra combattimenti a mani nude) nella collana da edicola “Bruce Lee e il grande cinema delle arti marziali”, curata da Gazzetta dello Sport e Stefano Di Marino. Il film da ieri nelle edicole è forse fra i minori del prolifico regista Chang Cheh, ma rimane un valente esempio del gusto di un’epoca: stiamo parlando di “Heroes Two - I due eroi” (Fang Shiyu yu Hong Xiguan, 1974). Non di minore importanza è il fatto che il film rappresenta una delle prime pellicole a vantare come protagonista il men che ventenne Fu Sheng, stella nascente di Hong Kong e destinato a grande fama se un incidente automobilistico non lo avesse strappato alla vita appena trentenne.
Siamo nel XVII secolo e i Manciù hanno appena ridotto in cenere il Tempio di Shaolin. Dall’incendio si salva Hung (Chen Kuan-tai) che, combattendo strenuamente, si fa strada fra gli odiati Manciù cercando la libertà. Sulla sua strada incontra Fang Shih-yu (Fu Sheng), suo connazionale che però lo crede un malfattore: grazie al suo fenomenale kung fu vince Hung e questi viene arrestato.
Saputo di aver in pratica consegnato un proprio “fratello” agli odiati Manciù, Fang si dispera: dapprima cerca la morte, poi - insieme ad altri ribelli - si getterà a capofitto nell’impresa di salvare Hung dalla prigione. I due fenomenali lottatori combatteranno fianco fianco contro gli altrettanto formidabili lottatori che i Manciù presenteranno.
Chang Cheh, il grande regista “epico” di Hong Kong, ha le spalle abbastanza forti per poter subire una lieve critica: questo “Heroes Two” è decisamente un prodotto minore, sia dal punto di vista della trama (mai così esigua!) che della resa scenica (drasticamente ridotta all’osso). Tutto il film sembra in realtà una svogliata scusa per mostrare lunghe sequenze di combattimento che mettono a dura prova anche i più
Pesa su tutto l’assenza dell’epos che ha reso celebre il regista-sceneggiatore: al di là di un contrito senso di colpa di Fang per aver fatto sì che Hung fosse finito in mano ai Manciù, non vi è traccia di altri sentimenti, neanche quelli patriottici propri di questo sottofilone del genere. “Heroes Two” infatti appartiene (ed anzi è fra i primi esempi) al genere della “Caduta di Shaolin”, dove gli eventi storici si fondono con la leggenda e con la tradizione popolare. La distruzione dei templi Shaolin portata avanti dai Manciù, che li consideravano covi di ribelli, dà spunto a molti film che mostrano gli ultimi giorni prima della distruzione e la relativa strenua difesa degli allievi. Proprio il sapere che, malgrado tutti gli sforzi, non ci sarà speranza di salvezza, che alla fine quasi tutti gli allievi verranno massacrati, ammanta le azioni dei protagonisti di una valenza sia eroica che tragica. Niente di tutto questo si trova, purtroppo, nel film in questione.
Malgrado tutto, Cheh non rinuncia ad un tuffo nella storia del proprio paese. Il nome Fang Shih-yu del protagonista, che dà anche il titolo originale al film, è un altro modo di scrivere il più celebre nome Fong Sai-yuk. Questi è un eroe del folklore popolare cinese (probabilmente mai esistito nella realtà) che appare originariamente nei racconti fantastici della Dinastia Qing; nato nella provincia di Guangdong da un ricco mercante e da una maestra di arti marziali, è proprio da questa che viene duramente allenato sin da fanciullo.
Con la nascita del cinema, era naturale che Fang Shih-yu/Fong Sai-yuk
Chi segue le uscite di questa collana della Gazzetta dello Sport, ritroverà il personaggio fra tre settimane nel film “I discepoli della 36ª camera” (Pi li shi jie, 1985).
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