Come sosteneva qualche tempo fa Massimiliano Scarnà1, esiste un modello imprescindibile che tutti i narratori horror, contemporaneo e/o d'altri tempi, non possono esimersi dal seguire, consapevolmente o meno. S'intitola Cappuccetto Rosso.
“Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm”, sottolinea Scarnà, “sembra una favola per bambini, ma è l'archetipo della narrativa del terrore, dal momento che contiene tutti gli elementi per spaventare lo spettatore/lettore/ascoltatore.” Che sono, senza stare a riassumere la fiaba più famosa del mondo, la vittima innocente, il bosco, il lupo, il cannibalismo, la paura, la maschera del male e altro ancora: niente male per una favola che tutti abbiamo ascoltato o “visto” da piccoli.
Insomma, le fiabe – con le quali tutti siamo stati svezzati – sono nere, perverse e, per estensione semantica, “horror”. Perché non ci sta solo Cappuccetto Rosso, ma anche Biancaneve, La Bella e la Bestia, Barbablù e altre ancora (per limitarci alle più famose), prodotte da autori che, senza farne mistero, scrivevano più per gli adulti che per i bambini (anche perché ci dovevano campare...), rielaborando le trasmissioni orali di antichi riti d'iniziazione (Cappuccetto Rosso non è che una versione del rituale dell'abbandono nel bosco, un archetipo tornato al gotico moderno grazie a La bambina che amava Tom Gordon di Stephen King), ben saldamente gestiti dal mondo dei “grandi”. In realtà sono state – e lo sono ancora – le convenzioni a relegare le favole all'esclusivo uso dell'infante. E soltanto gli sforzi di accorti studiosi (uno per tutti, Bruno Bettelheim con Il mondo incantato) hanno aperto gli occhi di genitori ed educatori sulla delicata complessità del tema. Soprattutto sull'utilizzo educativo della fiaba che, per sua natura, deve essere 'ricollocata' in una dimensione trasfigurata e fantastica in grado di teatralizzare la realtà, senza mai sostituirsi a essa.
E' innegabile che alcune fondamentali figure del gotico e dell'horror discendano in buona parte dalle fiabe. Lupi, orchi, uomini neri, streghe e spettri che ritornano affollano sia gli universi delle storie per bambini che molti recenti prodotti cinematografici. Ed è normale dato che la matrice di queste figure risale all'infanzia dell'umanità ed è la stessa sia per l'horror che per la favolistica. Ma il sistema di convenzioni messo in campo da sociologia e pedagogia ha sempre fatto in modo di tenere ben distinti i due settori.
Un'interessante contaminazione “al contrario” la offre Nicoletta Santini con il suo libro La Mummiona e altre storie. Nicoletta è scrittrice e pittrice, e suoi sono i coloratissimi disegni che accompagnano le simpatiche avventure della gatta Panino Panino, irresistibile personaggio sulla carta destinato a un esclusivo consumo infantile. Ma non è in realtà così: non lo è, a parer nostro, in linea di principio perché è sempre sorprendente e salutare l'andare a titillare il bambino che dorme in ogni adulto. Ma non lo è nel caso specifico dei tre esilaranti racconti che compendiano il volume (La Mummiona, Panino Panino contro Drakulon de Drakulone, Il ritorno dei gatti zombi: perché, sotto la forma di favole moderne assai dinamicamente “dialogate”, ci sta un intelligente inserimento di figure classiche del gotico contemporaneo che, diventando le stesse protagoniste a tutto tondo in chiave satirica, riesce paradossalmente a deprivare la sostanza fiabesca della sua ambiguità orrorifica e a teatralizzare, secondo un'ottica alla Bettelheim, il genere horror a uso del fanciullo. E' un approccio “alto”, quello della Santini, quasi metalinguistico, con un linguaggio immediato che arriva al cuore prima che al cervello; ma che l'intenzione “meta” ci sia tutta ce lo conferma un gustosissimo passaggio che riproduciamo integralmente.
- E' vero! - esclamò Rocco – Visto che la scrittrice non può scrivere per il motivo che sappiamo... “chi” sta scrivendo la storia che in questo stiamo vivendo?
- Stefanella King... sua sorella! - rispose Topo Leonardo.
- No!... Un'altra imbrattafogli che...
- Che è così tosta, da far tremare di paura persino gli editori le sue truculente storie! Sapeste quanti ne ho visti di quelli che si facevano la pipì addosso, mentre sfogliavano i suoi manoscritti! Tantissimi hanno fatto in fretta e furia le valigie, e sono andati a vivere su un'isola deserta!
Già, prendiamo ovviamente le debite distanze. Ma quel che ci viene raccontato qui in un gustoso accenno per niente contraffatto (Stefanella King...) ha un piacevole gusto di déjà vu, percepibile solo da noi adulti avvezzi all'horror “adulto”: qualcosa che rimanda ai libri di Sutter Cane (Il seme della follia di John Carpenter) e alle “metà oscure” di Stefanello, pardòn, Stephen King. Ovvio che i piccoli non lo sanno e avranno forse tutto il tempo di scoprirlo. Però un intelligente battesimo nel fiume del genere passa anche attraverso la trasfigurazione dell'horror in un contesto delicato, frizzante, dove lo humour si sostituisce alla paura, non dimenticando di comunicare al lettore-bambino che della paura si ha bisogno per crescere. Da segnalare anche i colorati ed efficaci acquarelli “surreali” che illustrano le avventure della gatta e dei suoi amici, alcuni dei quali in chiave decisamente horror.
In quest'operazione “pensata” a favore di bambini agli occhi dei quali le favole classiche hanno perso di fascino per colpa soprattutto della televisione, l'opera della Santini ricorda molto le narrative per l'infanzia di due altri grandissimi autori inglesi, Roald Dahl e Philip Ridley. Tanto il primo, defunto nel 1990, che il secondo, attivissimo su più fronti (cinema, teatro e letteratura), annoverano tra i loro tanti canali produttivi uno specifico filone di deliziosi racconti per bambini in cui l'horror viene teatralizzato, e nei confronti del quale il bimbo-lettore riesce a prendere le congrue misure “emotive”.
Se le tenere favole di Ridley (Kasper nella città splendente, Magia a Winegar Street, Dakota dalle bianche dimore, Zip e il carrello magico, per citare le più famose in Italia) ci presentano piccoli guerrieri in universi urbani, spesso fatiscenti, da cui occorre affrancarsi per poter crescere (bambini che lottano contro posti e tempi sbagliati), quelle immortali di Dahl appaiono più dirette e, nell'intenzione dello scrittore, più “formative”, così che il gusto per l'horror e le situazioni “nere” possa caratterizzare celeberrimi racconti poi trasposti sullo schermo (Chi ha paura delle streghe?, Matilda sei mitica, James e la pesca gigante, La fabbrica di cioccolato e altri titoli ancora). Non a caso il più efficace corrispettivo filmico di Dahl e di Ridley si chiama Tim Burton.
1 Massimiliano Scarnà, Cappuccetto Rosso Sangue, in “HorrorMania” n° 13, anno II, Master Editore, Milano, 2005.
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