- Ero terrorizzata. L’ho rischiato anch’io l’infarto, in questi giorni. Sono morta di paura! –
- Devi fidarti di me. Hai visto? E’ filato tutto liscio. C’è un genio qua dentro, nella mia testolina. Non c’era modo di trovare le tracce di mercurio. Salvo che tu non avessi seguito alla lettera le mie indicazioni. –
- No, no. Ho fatto come mi hai detto. Gli ho somministrato alla precisione le dosi che hai raccomandato. Per due settimane, ogni sera, nel latte e cognac. Quindici gocce, quindici fottute lacrime di mercurio. –
- Sei stata brava. Dobbiamo pazientare ancora poco. Domani ci saranno i funerali, lo seppelliranno e tutto sarà finito. I soldi sono sempre nello stesso posto? –
- Sempre nella casetta di campagna. –
- Perfetto. Fra qualche giorno io darò il preavviso e fra tre mesi lascerò la polizia. Dobbiamo pazientare e non dare nell’occhio. I soldi non si toccano sino a quel momento. Intesi? –
- Dio! Ancora tre mesi? Io non resisto per tutto questo tempo. Sento che crollo, crollerò prima o poi. –
- Non te lo devi permettere. Non adesso! Cerca di non fare cazzate. –
- Lasciami, mi fai male. –
- Hai capito quello che ho detto? –
- Lasciami! Non ti azzardare più a mettermi le mani addosso.
- Sennò che fai, mi denunci? –
- Vaffanculo pezzo di merda! Domani io andrò a prendermi i miei soldi e tanti saluti. –
- Cha cazzo fai tu? –
- Ti pianto stronzo! –
Il viso dello sbirro si fa viola. La colpisce alla tempia sinistra, con un pugno prepotente. Lei chiude gli occhi, barcolla e perde l’equilibrio. Sbatte la testa contro lo spigolo della bara in radica di noce. Violentemente, che quasi mi ribalta a terra. Non si lamenta, non si muove. Sanguina a bocca aperta e occhi serrati. Ti vedo Lara. Mi stai guardando, e sai che anch’io ti guardo. Lo stupore ti scava il viso, sei fredda, il volto si contrae in una smorfia dolorosa.
Hai capito d’essere morta. Come me. Non puoi toccarmi, non puoi parlarmi. Riesci a sentire il mio disprezzo, questo sì. Dura lo spazio di un istante.
Osserviamo lo sbirro andare nella stanza da letto, deve sbrigarsi a cancellare le tracce dell’amplesso. E’ nervoso: sbircia fuori dalla finestra, sul pianerottolo delle scale. Torna da noi, ti solleva il capo e scosta i tuoi capelli dalla fronte. Capisce che hai sbattuto sullo stesso punto dove ti ha sferrato il colpo. Allora ti lascia andare sul pavimento, sorride, si liscia il mento appuntito. Indietreggia, osserva a lungo la scena, ripercorre ogni frazione. Valuta qualunque eventualità. Sembra che possa andare: rompe il tacco sinistro delle tue scarpe nere acquistate per la cerimonia. Penseranno che sei inciampata e hai battuto il capo sulla bara. Eri stanca, provata, gli occhi colmi di lacrime. Una giovane donna prossima al collasso da stress. Una disgrazia nella tragedia. Così la morte è servita, finalmente.
Io sono stanco, troppo stanco per oppormi. Non ho più la forza d’imprecare. Che vada come deve andare, tanto sono morto. Lui esce e chiude la porta, senza voltarsi. Lo so che sta ridendo. Quel suo fottuto ghigno sempre stampato sulla faccia. Maledetto sbirro! Quindici piccole gocce di mercurio: una per ogni milione che ho rapinato. Una fortuna per uno sbirro del cazzo. Una sciagura per un rapinatore troppo romantico.
Anche a me scappa da ridere: il mio avvocato non vedrà un soldo. Rido a crepapelle, immaginando la sua faccia da topo occhialuto, fare quell’espressione contrariata. La bocca sottile che s’incurva per la seccatura. Il genio forense, l’angelo togato del male, rimarrà a becco asciutto, questa volta.
In quanto a te, Lara: vai a farti fottere! Ti ho cancellato dalla mia memoria. Io sono morto, io non posso avere ricordi.
Si è fatto tardi. Spero solo di addormentarmi senza incubi, nella mia vecchia cameretta di bambino.
Libero, finalmente, da quella filastrocca che mi ha tormentato una vita intera.
- Sveglio, sveglio. Sono sveglio! No, non stavo per dormire. Ogni volta che chiudo gli occhi, io sogno di morire. -
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