Adesso arriva la parte migliore del ritorno a casa. Devono imbarcarmi sul motoscafo: dove abitavo io, non ci si arriva per la terra ferma.

Ho vinto il viaggio premio, quello lungo, alla lotteria di san Cristoforo. Galleggio sui canali che s’intrecciano tra cielo e mare, beccheggio e dondolo abbandonato al mio destino. Quant’è bella Venezia, vista dall’acqua. E’ una bella giornata di sole; è tutto un frusciare di chiglie sulle onde increspate dal vento. Gondole e vaporetti che straripano di reflex giapponesi. Frotte di turisti a piedi, sui ponti e nelle piazzette, a caccia delle meraviglie più nascoste. Stormi di piccioni planano a caccia di teste accaldate sulle quali cagare a volontà. Porta fortuna!

Da bambino sognavo spesso di trasformarmi in un grosso, pasciuto colombo, pieno di rabbia e merda da scaricare addosso a tutti quanti. Non potevo mai immaginare, che i piccioni avrebbero inzaccherato di guano la cassa destinata al sottoscritto. Non importa. Mi godo l’ultimo sole, la brezza che risale il canale sino a piazza San Marco. Io nutro la mia morte. Alimentandola con le ultime meraviglie di una città da fiaba. Oramai prossima al suicidio.

Nuovamente sulla terra ferma. Il pontile di attracco è proprio di fronte al portone di casa. Salgo insieme a loro, agli affossatori comunali, loro che non sanno quanto io sia davvero morto. Mia madre ha liberato la mia vecchia stanza. Ha preparato tutto: i fiori, i ceri, il drappo viola sopra la conchiglia porta-bara. Via le viti! Via il coperchio! Sono stato sempre qui con voi. Non vi ho mai lasciato.

Passando nell’ingresso, ho visto i piattini con le tartine al caviale e le bottiglie di Cristal. Sicuramente è stata un’idea di Lara. Lei è cosciente che stanno per dare l’ultimo saluto a un re. Un re si festeggia in pompa magna, soprattutto quando è morto. Potessi farmi un goccio... c’è anche una bottiglia di Dimple invecchiato. Adoro quel whisky. Dopo mi farei un pippotto, anzi, mi tirerei dieci pezzi di coca. Striscia dopo striscia, a getto continuo. Bicchiere dopo bicchiere. Parlerei tutta la notte, riderei e scoperei sino a sfinirmi. Perché sono morto? Perché proprio adesso che avrei svoltato per sempre? Destino bastardo!

Guardo attorno, nella mia vecchia stanza. Rammento quando, da piccolo, mia madre accorreva alle mie urla, nei frequenti incubi notturni. Mi rassicurava carezzandomi, tenendomi la mano e baciandomi sulla fronte. Lo faceva ogni malaugurata notte, così mi calmavo e le urla si soffocavano nella gola, spegnendosi assieme alla maledetta filastrocca che accompagnava la mia infanzia. Quanto vorrei essere ancora vivo e avere gli incubi notturni.

C’è tanta gente a casa. Una processione infinita di parenti e finti amici leccaculo. Ho contato centoventisette facce di merda, che si sono avvicendate a un palmo dal mio viso, smoccolando e piangendo sul colletto della mia bella giacca di lino. E’ fresco il lino, mi fa star bene. Non mi fa sudare.

Non vedo l’ora che se ne vadano. Chiedo soltanto di salutare mia madre come si deve, in santa pace. Poi le affiderò mia figlia, a lei e alla mia compagna. Perché Lara è ancora la mia donna, lo sarà per sempre.

Finalmente vanno tutti via. Si sono spazzolati un catering da mille coperti e bevuti una trentina di bottiglie.

“Gode il povero per disgrazia”. Mi diceva sempre mia nonna.

E sia! Godete pezzenti, paga Baccaredda boy. Anche da morto.

- Lara, tu e la ragazza potete andare a dormire da zia Luciana. – E’ mia madre a parlare. – Non voglio che mia nipote stia qui questa notte. Ti sarei grata se le stessi accanto. Resto io con mio figlio. Ci vediamo domattina. –

- Nemmeno per sogno signora Teresa. Rimango io con Valentino. Lei vada dalla zia con la ragazza. Non accetto discussioni. Vada a riposare. –

Grande Lara! Così si comporta una donna. Adesso posso dire di amarti. Mi sento un verme per come mi sono comportato con te. Ti ho anche tradito, parecchie volte. Non sono mai stato capace di mettere il morso al mio uccello. Non ci riesco, è più forte di me. Persino adesso che sono morto, mi farei tutte le donne della città. Giovani e vecchie, belle e brutte, grasse e zoppe. Credo sia una tara ereditaria, dalla parte di mio padre.

Mi sento stanco, stanco morto. Credo che questo limbo si stia esaurendo. Non mi sento un cazzo bene. Vorrei vomitare. Ho bisogno di dormire... devo riposare. Che cazzo sto dicendo? Sto impazzendo! Può impazzire un morto?