Sono morto! Non sto sognando: io sono morto!
Ho la schiena ghiacciata e gli occhi chiusi. Non riesco a muovermi. Non posso fuggire. Signore onnipotente, ti scongiuro: svegliami! Nudo e freddo, l’acciaio della vasca mortuaria mi paralizza.
Chi sei? Chi siete voi due? Che volete farmi?
Il getto della doccetta mi benedice dalla testa ai piedi, scorre nel colatoio laterale e scappa dentro lo scarico nell’angolo.
Lavano ciò che resta di terreno sul mio corpo. Cancellano l’ultimo respiro sulla mia pelle, cristallizzatosi nei pori sfiancati dalla sofferenza. Perché sono morto? Ero ancora così giovane...
Mi stanno aprendo come un cappone ripieno, appena sfornato. Sono pronto per essere spartito al pranzo di Santo Stefano. Non sento dolore. Non è poi così terribile, farsi squartare da morto.
E’ un incubo: non respiro più, il mio cuore è silenzioso e intirizzito, eppure riesco a vedere tutto quello che mi circonda. Distinguo chiaramente le pareti intorno a me. Conto una a una le piastrelle che rivestono il pavimento scivoloso; fisso il soffitto bianco e scrostato. Riconosco gli strumenti messi in fila sul carrello di fianco al mio corpo. Vedo le seghe, i bisturi, forbici e accette. Ci sono i trapani e i divaricatori. E’ un’autopsia in piena regola.
Scruto i volti dei due figli di puttana in camice verde che si apprestano a fare scempio del mio amato corpicino. Sono entrambi grassi e sporchi. Uno dei due ha i capelli unti e lunghi, l’altro è calvo, con i folti baffi ingialliti dalla nicotina. Hanno le facce annoiate, si muovono svogliati intorno al mio personale macello. Si vede lontano un miglio che non gliene frega un cazzo del sottoscritto. Perché mi trovo qui? Come sono morto? Che ti ho fatto di male, Dio del cielo?
Incidono, tagliano, troncano le costole. Aprono e divergono lo squarcio a forma di plettro che mi hanno praticato sul torace. Rivoltano la pelle e la ammucchiano sotto il mento, la addossano alla mia gola che non può più deglutire.
Infilano le loro mani dentro di me. Cercano, scavano, afferrano e strappano. Osservo il mio muscolo cardiaco esploso, rattrappito, sul palmo della mano di un macellaio. Lo ripone dentro una bacinella. Lo affetteranno e lo daranno per cena ai gatti che popolano il cortile del vecchio ospedale di san Lazzaro.
Lo stomaco! Che cazzo se ne faranno del mio stomaco? Lo rovesciano e lo svuotano. Si affloscia tra le loro dita.
Dio che fetore! Posso sentire gli odori scatenati dalle mie interiora rivoltate come un guanto. Loro ritraggono il viso alle prime zaffate. Si portano le mani sulle mascherine: non è sufficiente il gel spalmato sotto le narici. Avviano l’estrattore per il ricambio dell’aria. Quello più anziano si accende una sigaretta. Anch’io! Voglio fumare anch’io. Ancora una sigaretta, solo una.
Mi rivolgo al creatore: gli chiedo la grazia. Provo a corromperlo, ho abbastanza denaro da comprare chiunque, perché non lui? Io ci tento: prego, prometto e mi pento. Gli offro la mia vita. E’ nelle tue mani, lo incoraggio. Già, ma quale vita? Io sono morto! Com’è successo? Perché è toccato proprio a me? Non avevi altro da fare, Signore del creato? Non potevi posare il tuo sguardo su qualcun altro?
Mi stanno cucendo. Usano del filo grande come una sagola da recupero e un ago che pare uno stiletto. Sarei capace pure io, di cucire in questo modo. Cani! Abbiate rispetto, bastardi!
Spengono la luce al neon e i due ceffi mi sbattono di peso sulla barella. Mi chiudono nel lungo cassetto dei ricordi, lo fanno scorrere sino in fondo. E non cambia nulla: al buio o con la luce, io sono morto. Mi hanno aperto come un libro, martirizzato come un santo di ritorno dalle crociate, e tutto per accertare quanto fossi morto. Bestemmio l’intero vangelo, calcando di proposito ogni imprecazione. Lo faccio perché mi vedo sempre uguale: ancora giovane, ancora sano e forte per continuare a vivere. Il tempo non passa per me, il tempo si è fermato.
Se si trattasse di un caso di morte apparente? Quanti ne accadono! Potrei risvegliarmi, perché no? Che ti costa svegliarmi. Non ci fai una cattiva figura, anzi, un nuovo miracolo ti darebbe maggiore lustro. Sarebbe un evento perfetto, in un momento così travagliato per la fede. Un bel prodigio è quello che ci vuole. Ti giuro che cambierò, non compierò mai più una cattiva azione. Abbandonerò le armi, niente più ammazzamenti. Basta con le rapine, con la droga e le puttane. Mi cercherò un lavoro onesto. Metterò la testa a posto; non è troppo tardi per cambiare. I soldi, vuoi i miei soldi? Vuoi che me ne liberi? Li donerò tutti ai poveri orfanelli, lo giuro, però svegliami.
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