Nella tarda estate del 1704 la battaglia di Höchstädt ha messo in ginocchio la Francia e arrestato l’avanzata bavarese: austriaci e prussiani, fra i vincitori, si danno al saccheggio nella città di Monaco di Baviera. Un ufficiale di nome Trawsendorff si ritrova nella Bayerische Staatsbibliothek, la Biblioteca Nazionale Bavarese, e cercando qualcosa di prezioso da portar via si imbatte in un pacchetto di pergamene raccolto con un cordone di seta gialla: ad occhio sembrano vecchi manoscritti di un certo valore, così l’ufficiale se li intasca e li porta via. Passa il tempo e Trawsendorff cerca di vendere al miglior offerente quello che è sicuro essere un piccolo tesoro. Finalmente nel 1706 trova un libraio disposto a sborsare i 500 risdalleri richiesti, si reca a Francoforte sul Meno per trattare ma nella sua bottega farà un incontro che cambierà la storia della bibliografia.
Il libraio Frecht infatti non è solo, ma sta chiacchierando con un amico, che si identifica con la sola sigla J.L.R.L. Questi sente la conversazione intercorsa con il soldato tedesco e la contrattazione riguardo i manoscritti: Frecht cerca di abbassare il prezzo, e Trawsendorff indispettito vuole mandare a monte l’affare. J.L.R.L. intanto ha sbirciato uno dei manoscritti, che porta in calce la scritta «Othoni illustrissimo amico meo carissimo F.I.S.D.» (più avanti verrà spiegato che la dedica si riferisce ad Ottone, divenuto duca di Baviera nel 1230 sotto Federico II, e proprio quest’ultimo si firma in sigla: Fredericus Imperator Salutem Dicit). È anch’egli sicuro trattarsi di un testo molto raro, così insieme all’amico invitano il soldato ad una cameratesca bevuta di vino, finché gli effluvi alcolici non ammorbidiranno l’ufficiale e lo convinceranno a lasciare in visione il manoscritto a J.L.R.L. per alcuni giorni. In cambio quest’ultimo dà la sua parola di gentiluomo che non ricopierà il testo, e un gentiluomo mantiene sempre la parola data: però J.L.R.L. ha promesso di non copiare il testo... non di non tradurlo! Con questo cavillo filosofico l’uomo lavora notte e giorno e quando riconsegnerà il manoscritto a Trawsendorff, nella propria tasca rimarrà la traduzione.
Alla fine l’ufficiale e il libraio si mettono d’accordo sul prezzo: a pagare, tramite Frecht, sarà un principe della casa di Sassonia, venuto a sapere che quei manoscritti sono frutto di un saccheggio della Biblioteca di Monaco. J.L.R.L. ci guadagna il privilegio di avere fra le mani un libro di cui molti parlano ma che pochissimi affermano di aver visto: il Trattato dei tre Impostori.
Come abbiamo visto nel recente speciale su William Shakespeare di questa rubrica, nelle vicende librarie quando una storia è troppo bella per essere vera... è facile che appunto non sia vera!
Quando sul finire del Seicento il letterato Bernard de la Monnoye (1641-1728) scrisse un saggio sul Trattato dei tre Impostori avanzando forti dubbi sull’autenticità delle copie pervenute, lo scrittore e biografo Peter Friedrich Arpe si nascose dietro lo pseudonimo di J.L.R.L. e raccontò in appendice a un’edizione del Traité des trois Imposteurs la storia che abbiamo presentato (scrivendola nel 1712 ma datandola 1716!). La risposta di la Monnoye non si fece certo attendere, e dalle pagine delle Mémoires de littérature (1716) l’autore distrusse ogni singola parola raccontata da J.L.R.L., portando a galla tutte le imprecisioni del racconto e sbugiardandolo senza pietà. Chiuse la sua risposta notando un parallelo con un altro caso bibliofilo: «Il libro dei tre Impostori trovato da un ufficiale tedesco dopo la battaglia di Höchstädt, rassomiglia molto al Petronio completo, trovato nell’assedio di Belgrado da un ufficiale francese.» Ovviamente anche questo sorprendente ritrovamento si scoprì essere una truffa...
Sin dal XVII secolo si hanno voci dell’esistenza di un libro che attacca duramente le tre grandi religioni monoteiste. Fra librai e semplici curiosi si fa un gran parlare - a voce più o meno alta, visto l’argomento scabroso - di un testo intitolato De tribus Impostoribus in cui l’autore, forte dell’anonimato, si scaglia contro i tre grandi profeti Mosè, Gesù e Maometto per svelarne gli inganni e delegittimare ogni religione basata sui loro insegnamenti. Ma per un secolo solo di questo si è trattato: di voci. In realtà nessuno l’ha mai visto, e chi dice d’averlo visto o è poco degno di fiducia oppure sta riportando voci di terze o quarte persone.
«Florimondo de Rémond che asserisce d’aver veduto quel libro, affettò di dire che allora era fanciullo, età idonea a scrivere i racconti delle fate - ci racconta il bibliografo Pierre Gustave Brunet, firmandosi “Filomnesto il giovane” (Philomneste Junior), nel 1864 - egli cita Ramus morto trent’anni prima, e che, conseguentemente, non poteva più convincerlo di menzogna; cita Osius e Génébrard, ma con parole vaghe, senza indicare il passo delle loro opere. Dice che si faceva passar di mano in mano questo libro, che invece si sarebbe dovuto tener sotto chiave.»
Un altro dei tanti testimoni, lo scritttore Henricus Ernstius, nel Seicento affermò che durante un soggiorno romano il filosofo Tommaso Campanella gli disse che il libro in questione era opera di un certo Mureto e proveniva dalla Germania: questo è il tono delle testimonianze, dicerie e testimonianze infondate.
«Per secoli di questo libro non esistette che il solo titolo - dice Jean Charles Emmanuel Nodier nelle sue Questions de littérature légale (1812) - ma nessuna penna avrebbe osato vergarlo in un’età, nella quale simile ardimento sarebbe stato troppo pericoloso.» Nodier continua esprimendo forti dubbi sull’esistenza dei Tre Impostori e raccontando di truffe di alcuni editori senza molti scrupoli. Ma come si fa, si interroga egli, a confutare l’esistenza di un libro che è presente in così tanti cataloghi? Di sicuro non ci riesce il Nodier stesso, visto che poi racconta di averne posseduta una copia in gioventù!
Il Trattato dei tre Impostori non è una truffa (o almeno non all’inizio) né un divertissement letterario come tanti altri pseudobiblia di cui abbiamo trattato in questa rubrica: è un’idea fatta titolo. Il XVII secolo si aprì con una particolarità: si ridestò «la libertà del pensiero per sì lunga pezza compressa - nelle parole del già citato Brunet - in conseguenza delle controversie religiose tra cattolici e riformati». Già nel Cinquecento François Rabelais con la sua opera aveva usato argomenti religiosi per farne satire graffianti e... pantagrueliche. Giordano Bruno ed altri iniziarono a sollevare argomentazioni che poi scontarono con la vita: malgrado la censura degli ambienti religiosi, cominciò ad affacciarsi l’esigenza di trasmettere un pensiero alternativo. Scrivere però un libro in cui si affermasse che le basi di quelle religioni così intransigenti erano fallaci forse era impresa troppo ardimentosa e rischiosa... molto meglio far girare la voce che questo libro esistesse già!
Malgrado non ci siano prove schiaccianti, è però più che probabile che per circa un secolo il Trattato dei tre Impostori non sia stato altro che uno pseudobiblion, un libro inesistente il cui solo titolo girò di bocca in bocca senza che mai nessuno abbia dimostrato con certezza di averne posseduta una copia reale.
Questo però fino all’affacciarsi del Settecento, quando probabilmente accadde un fenomeno non infrequente fra gli pseudobiblia: il libro falso divenne reale. Il secolo dell’illuminismo, dei Lumi, della ragione era un territorio fertile perché un libro che attaccasse il cuore delle religioni prendesse vita e si diffondesse a macchia d’olio: niente più linguaggio criptico o metafore del secolo precedente, ma una trattazione lucida e logica... e sono proprio queste qualità che escludono fortemente una datazione anteriore per il libro.
«Il trattato Dei tre Impostori è scritto e pensato secondo il metodo e i principj della nuova filosofia, i quali non prevalsero che verso la metà del secolo XVII - ci dice il già citato la Monnoye - dopo che i Cartesio, i Gassendi, i Bernieri e alcuni altri si spiegarono con ragionamenti più giusti e più chiari, che non abbiano fatto gli antichi filosofi, i quali affettarono misteriosa oscurità, volendo che i loro secreti non s’aprissero che agli iniziati.» L’autore, che scrive nel 1716, alla fine ipotizza che il libro in questione sia quasi contemporaneo, degli inizi cioè del Settecento, com’è anche oggi opinione comune.
«Tutti desiderano conoscere la verità, e tuttavia pochissimi la conoscono, perché i più si credono incapaci di cercarla da soli o preferiscono non darsene pena. Non c’è quindi da stupirsi se il mondo è pieno di opinioni ridicole e vane: per sostenerle, infatti, non c’è niente di meglio che l’ignoranza.» Questo il sorprendente e fulminante incipit del Trattato dei tre Impostori, nella traduzione di Martina Grassi per la recente edizione della Piano B di Prato (con prefazione di Piergiorgio Odifreddi). Spesso la conoscenza della verità passa per la menzogna, e forse chi decise di rendere reale lo pseudobiblion, scrivendo cioè il testo di un libro che in realtà nessuno aveva mai visto, non voleva ingannare bensì far aprire gli occhi dei lettori su una verità... o almeno su ciò che egli considerava verità.
Il successo maggiore di questo autore anonimo fu di attirarsi le ire di Voltaire, che nel 1768 scrisse una lettera a mo’ di poema in versi contro l’«insulso scrittore» (insipide écrivain) del Trattato, in cui lo accusa di essere il quarto Impostore che vuole convincere il mondo dell’assenza di Dio. All’interno di questa lettera-poema c’è una delle più celebri citazioni voltairiane: dobbiamo essere grati al Trattato, perché senza la sua nascita non avremmo avuto la frase di Voltaire! «Se i cieli, spogliati della Sua augusta impronta, / potessero mai cessare di manifestarlo, / se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo.»
«Ma dove va a finire questo ragionamento?» si chiede alla fine l’ignoto autore dei Tre Impostori. Tutto ciò che a lui interessa, e che all’umanità intera dovrebbe interessare, è ricerca della verità e scopo del testo è scuotere le menti dei lettori. «Coloro che amano la verità, senza dubbio vi troveranno una grande consolazione; ed è soltanto a loro che vogliamo piacere, senza preoccuparci di coloro che scambiano i pregiudizi per oracoli infallibili».
Il libro quindi era un dito che indicava la verità: come sempre succede, fece scalpore il dito, non ciò che indicava. Fior di autori “giocarono” con i tre Impostori: ma questa è materia per un prossimo articolo...
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