Sangue di mezz’inverno di Mons Kallentoft, Nord 2010.
Malin Fors, detective della polizia di Linköping (Svezia), trentatre anni, “figura snella, atletica e vigorosa”, “capelli biondi tagliati a paggetto”, sopracciglia dritte, occhi color fiordaliso, naso corto e un po’ all’insù. Divorziata vive con la figlia Tove tredicenne, bravissima a scuola (legge pure Austen e Ibsen), l’ex marito Jame trasferito in Bosnia. Indossati jeans, camicetta bianca, maglia nera, stivali caterpillar, giaccone nero in finta piuma, preso il cellulare e la pistola è pronta per entrare in servizio. Suo compagno di lavoro Zacharias “Zeke” Martinsson, quarantacinque anni, testa rasata, corpo piccolo e asciutto, collo lungo, attivo e sicuro di sé. Solito gruppo di poliziotti a fare da contorno per il caso da seguire.
Ed il caso è rappresentato da un uomo obeso che penzola da un ramo di un albero: nudo, ferito, bruciato e congelato (miezzeca!). Trattasi di Bengt Andersson, un povero psicopatico soprannominato “Pallone” che in passato ha tentato di uccidere il padre donnaiolo e violento. Alcuni indiziati: i ragazzi che lo tormentavano, una famiglia terribile e di mezzo c’è pure la possibilità di un sacrificio pagano, una specie di stregoneria norrena per cui le vittime venivano appese agli alberi.
Non manca il solito giornalista in contrasto con Malin (e dunque salterà sul letto insieme a lei), l’analista anamopatologa (corpo elegante con movimenti ineleganti) e perfino il morto che segue e commenta la vicenda (ma non è certo una novità).
Al centro la Nostra con i suoi ricordi (avrebbe voluto rimanere a Stoccolma ma da sola non se la sentiva), la malinconia dell’amore finito a cui sembra in qualche modo aggrapparsi ancora, il rapporto con la figlia e i suoi primi slanci sentimentali, le riflessioni su una società apatica e disinteressata. L’alcol, la solitudine.
Scrittura veloce, incisiva, capitoletti brevi, frasette in corsivo (una marea), amalgama di pensieri, ricordi, descrizioni, notazioni, dolore, violenza, brutalità, stupri. Solito freddo bestia che taglia le gambe.
La mia cocciuta idea è che con cento pagine in meno si può ottenere un risultato migliore. Ma va bene così.
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