Un tipo tranquillo Mario Rossi, contabile. Al contrario del commissario Bordelli, vive da quando è nato dentro la gelatina del tran tran quotidiano. Vive con la moglie Gisella - “Lella” come un “separato in casa”, a cui è comunque legato dalla propria insicurezza e dalla nebulosa aspettativa di un cambiamento; i figli ormai grandi, maschio e femmina, sono via da casa e gli telefonano ogni tanto dalla lontananza della loro “altra vita”.

Mario, insomma, non ha nulla della testardaggine con cui Bordelli, ormai mitico fra i lettori di gialli, accompagna febbrile le sue ossessioni e i suoi  incubi (e questa febbre l'abbiamo misurata di recente con Morte a Firenze, con l'uscita di scena, clamorosa ed inaspettata, delle dimissioni del commissario fiorentino).

La differenza è questa: la rivalsa di Bordelli è frontale e la sua rinuncia ci appare lucida e logica per fronteggiare quello che genericamente viene definito “Potere”; quella di Mario Rossi è come una vena carsica quasi inesistente di malumori, tormenti e rivalse diretti contro tutti e tutto: quindi contro nulla e nessuno.

L'imprevista morte della moglie lo porta così a tentare di cambiare vita e d'entrare, quasi senza accorgersene, dentro una “storia nera”. Chiariamo subito. La morte di Gisella è avvenuta per cause naturali (trombosi), ma l'immagine e le circostanze con cui Mario scopre il cadavere evidenzia nel lettore che il contabile appartiene alla categoria di chi vede anche nella morte naturale il sospetto di un “delitto”.

Cambia città, va a Roma senza sapere né il perché né per quanto; alberga in una pensione a Trastevere e già nella prima uscita notturna si trova dentro un mondo ambiguo e pericoloso, così diverso da quello fiorentino del suo pendolarismo quotidiano casa-lavoro. Incontrando  il sottomondo romano, è testimone di una violenza bestiale, ma non interviene; segue con lo sguardo di un voyeur indifferente (mi si passi l'ossimoro) tante picccole ambiguità di minime storie criminali. Finché non conosce una ragazza bionda e bella...

Da questo momento il contabile Rossi si inoltra dentro il labirinto che dal malessere lo porta all'angoscia, e da cui non esce più.

 

Il libro si legge d'un fiato, senza che Marco Vichi abbia bisogna di ricorrere agli “effetti speciali”, in primis il personaggio irremovibile del professionista, a cui il giallo e noir nostrani ci hanno abituati. Che non sia così lo dimostra bene lo scrittore fiorentino con Un tipo tranquillo, facendo partecipare e soffrire il lettore ad ogni imprevisto della caduta giù negli oscuri sotterranei di una “vita normale”.