Senza parole… così l’11 giugno hanno visto la luce le prime pagine di alcuni quotidiani italiani per protesta contro il ddl intercettazioni, su cui il governo ha chiesto a palazzo Madama, nonostante le proteste dell’opposizione, il voto di fiducia - il 34° dall’inizio dell’anno - ottenendolo con 164 si e 25 no.
Senza parole... così rimarranno ben presto quotidiani e mass media in genere se il ddl intercettazioni, che in base ad una norma transitoria si applicherà anche ai processi in corso, proseguirà la sua corsa verso la promulgazione.
Senza parole rimarranno cittadini e giornalisti, senza alcuna libertà sebbene lo siano già per lo scandalo di un decreto che si spaccia come paladino della privacy, per difendere la quale una legge esiste già, mentre è evidente l’intento intimidatorio nei confronti della stampa e d’ostacolo all’attività d’indagine di pm e polizia come ha sottolineato Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale Magistrati, nel corso di un’intervista a Sky tg 24. Liberticida è stata definita tale norma da Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della Stampa, che ha invitato tutta la categoria a mobilitarsi contro il disegno di legge ed ha annunciato il black-out dell’informazione il 9 luglio contro un provvedimento che priva i cittadini del diritto di sapere ed essere informati e giornalisti ed editori del diritto-dovere di informare. Gli editori hanno fatto sentire la loro voce con un comunicato necrologio e FIEG e FNSI si sono unite nell’appello al Parlamento e a tutte le forze politiche a non introdurre nel nostro ordinamento limitazioni ingiustificate al diritto di cronaca e sanzioni sproporzionate a carico di editori e giornalisti, dal momento che il diritto di cronaca giudiziaria è sancito dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dall’ordine nazionale dei Giornalisti ancora, attraverso un comunicato di Enzo Iacopino, segretario nazionale dell’Ordine, è stato invocato “il dovere della disobbedienza civile davanti a norme che violano il diritto costituzionale dei cittadini di sapere per valutare e compiere scelte consapevoli”.
Le norme, che violano la libertà di stampa e il diritto di cronaca, in realtà “parlano” da sole.
Le intercettazioni saranno possibili solo per i reati puniti con più di 5 anni, e solo per 75 giorni al massimo, con proroghe di 3 giorni, autorizzate dal Gip e ripetibili se necessario. Per i reati più gravi come mafia, terrorismo e omicidio il limite è di 40 giorni, più altri 20 prorogabili. Gli atti delle indagini potranno essere solo riassunti ma non pubblicati tra virgolette. Gli editori trasgressori rischieranno multe da 300.000 euro a 450.000 euro se si tratta di intercettazioni di persone estranee ai fatti. I giornalisti rischiano invece fino a 30 giorni di carcere e fino a 10.000 euro di sanzioni. Le “cimici” saranno consentite al massimo per tre giorni mentre le “talpe” rischieranno da uno a sei anni di carcere e i pm “chiaccheroni” di essere sostituiti dal capo del loro ufficio, mentre anche sui processi in corso dovrà essere applicato il tetto di 75 giorni e le riprese tv dei processi potranno essere autorizzate solo dal presidente della corte d’appello. Le riprese “clandestine” saranno inoltre permesse solo a giornalisti professionisti e pubblicisti mentre gli altri rischieranno il carcere da uno a quattro anni. Se nelle intercettazioni finirà un sacerdote o un vescovo bisognerà invece avvertire rispettivamente diocesi e segreteria di Stato vaticana.
Non rimane che strappare il bavaglio con cui vogliono chiuderci la bocca, reagire, parlare, protestare, gridare, in una parola informare per lasciare senza parole chi vuole zittire la stampa e l’opinione pubblica anzi vuole strumentalizzarla e distorcerla per fini privati, per ridurre in minoranza una maggioranza di governo che vuole scardinare e svuotare l’informazione, che in un paese democratico è un diritto inviolabile di ogni cittadino, perché i misfatti e i delitti presenti e futuri non rimangano nell’oblio e così le loro vittime.
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