"La Francia, Mademoiselle, è quel Paese dove ci sono migliaia di formaggi diversi e milioni di teste di cazzo tutte uguali", dice l'edicolante Papelard a Linda Bastiglia, giornalista in trasferta catartica a Parigi. Monsieur dimentica di dire però che oltralpe ci sono anche un sacco di casini, grossi almeno come una quarantina di arrondissement. Ed è proprio in un paio di questa specie - very very big troubles - che si caccia la signorina Bastiglia in Chi dà il nome agli uragani: un serial killer che semina panico nella metrò di Paris gettando la gente sotto i treni e una nuova occupazione della Sorbona. Dopo il Grande Maggio, il Terribile Novembre.
Questa è una storia ambientata in un "castello di specchi" - Parigi, certo, ma anche le esistenze frammentante dei personaggi - in cui i fantasmi vengono "moltiplicati mille volte". Parafrasando Arthur Schnitzler, uno che di intrighi della mente se ne intendeva, potremo sottotitolare questo romanzo come Doppio incubo. Tutto è doppio e ambiguo: l'amore, la morte, perfino il grigio metropolitano.
Per la seconda volta (nel 2007 c'era stato Invece Linda) la nostra Bastiglia - nomen omen - è diretta dalla malefica regia di Laura Campiglio: inquadrature affilate e piano sequenza interiori, bianco e nero e colori alternati, come in un Casablanca in rossa salsa serial killer. I maestri del polar francese come Malet e Manchette per una volta se ne rimangono buoni buoni, lasciando tirare la Campiglio dritta per la sua strada, che alla seconda prova non delude. Chi dà il nome agli uragani è un punto di vista interessante su Parigi, focalizzato su uno psicodramma sentimentale e delle identità.
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