- Mi manda tua moglie.

L’uomo lo guardò, forse per la prima volta. Poi schizzò in piedi – era una montagna d’uomo - e lo afferrò: per un attimo Morosini ebbe paura.

- Bice! Come sta? E i figlioli? Credono anch’essi... credono...

Non riuscì a dirla, quella cosa tremenda, e fece un gesto vago con la mano, come a dire “voi mi capite”.

- No. Mi han detto che non è possibile.

- E voi? Voi ci credete?

- Io lo chiedo a te.

No! - ruggì l’uomo stringendogli il braccio, con una voce che fece eco nel silenzio del carcere - No per... non mi fate bestemmiare, che ho bisogno dell’aiuto di Dio! Avvocato, io non so nulla. Ero sceso in città, maledetto me, come tutti, per protestare. Eravamo eccitati certo, gridavamo, sì. Ci è venuto incontro un cordone di gendarmi e di soldati e ci siam guardati negli occhi. Ma loro stavano fermi e così noi abbiamo continuato a camminare e a gridare: ma sapesse lei che paura si aveva tutti! Ci siamo finiti quasi a contatto, piano piano: io ero in testa e da dietro ci spingevano: così praticamente noi si gridava e si guardavano dritti negli occhi, i gendarmi, a un palmo dal naso: e loro fermi lì, impassibili, come pioli, coi fucili a tenerci a distanza. Poi forse han suonato la tromba, non so, ma c’era troppa confusione per capirlo, e in quel momento c’è stata un'esplosione: mi rimbombano ancora le orecchie! E quello che avevo lì davanti, quel pover’uomo contro cui stavo urlando le peggio cose, mezzo girato all’indietro, non so perché, è diventato bianco come un cencio lavato, ha aperto le labbra come per una preghiera ed è crollato a terra. Io così, d’istinto, l’ho preso al volo, l’ho abbracciato: era un gendarme, ma pure un cristiano, no? M’è morto col capo sulla spalla...e ‘un ho fatto in tempo a dir amen che mi son sentito chiappare da mille mani: piglialo! All’assassino! A me! Capite? A Beppe Nannini di Bivigliano!

L’uomo si strinse la testa tra le mani, grandi come badili.

- Era tua la pistola?

- Scherzate? Non ho i denari per mangiare e mi compro una pistola?

- Non ho mica detto che l’hai comprata.

- Sentite, io le uniche pistole che ho visto da vicino erano quelle del signor tenente quand’ero soldato. Ma voi non mi credete, lo vedo. Povero me.

- Smettila di far così, Nannini: e fatti coraggio. La causa è difficile, non te lo nego: ma ci batteremo. Ma dimmi una cosa, prima d’andar via: lo conoscevi quel gendarme?

- Mai visto, che riposi in pace.

- M’hai detto che ha aperto le labbra. Hai sentito qualcosa?

- A pensarci bene, ora che me lo dite, ha sussurrato una parola: “Lea”. L’ho sentita perché afferrandolo la sua testa era vicino all’orecchio. Forse la moglie.

- Era scapolo.

- La madre allora, o la sorella.

- Già. Devo dire qualcosa a tua moglie, quando la vedo? Ti serve nulla?

L’uomo scosse la mano, con gli occhi pieni di lacrime, e si riaccucciò nel suo cantuccio.

Da quel giorno l’avvocato Terenzio Morosini cominciò a lavorare come un matto. Consultava manuali di medicina legale, andava e veniva dalla Questura, controllava i codici: si dava da fare, cercava di capire. Il suo amico in Questura invece non capiva: guarda che non c’è nulla da fare, gli diceva, una cosa più lampante di quella! E con la corte marziale, poi... La vittima s’era girata col busto, un attimo prima dello sparo, i suoi commilitoni lo dicevano e anche l’imputato lo confermava: quindi la pallottola l’aveva presa nel fianco invece che nel petto, e gli aveva spaccato il cuore. L’imputato era davanti a lui, a contatto: non aveva potuto scappare per via del pigia pigia e gli avevan ritrovato la pistola fumante in tasca. L’unica cosa che poteva fare il suo avvocato, gli consigliava il funzionario, era tentare la carta dell’infermità mentale. E infatti Morosini consultava famosi alienisti e cercava di strappar loro almeno la promessa di visitare il carcerato: ma sotto sotto c’era qualcosa che non gli tornava. Perché non poteva fare a meno di scordarselo, quell’uomo disperato in carcere, di rivedere i suoi occhi, di risentire quella stretta al braccio: e quando nel cuor della notte si svegliava in un lago di sudore e non riusciva a prendere sonno al pensiero dell’uomo chiuso alle Murate, si metteva a passeggiare e a fumare, aspettando schiumante d’angoscia che Santa Croce battesse le ore: e concludeva che no, ci doveva essere un’altra spiegazione. Ma quale? Ma dove?

Si ritrovava a giorno fatto, stanchissimo, sudato fradicio e furibondo con se stesso, con gli uomini, col Dio in cui diceva di non credere, per quella situazione, per quel caso che non riusciva più a dominare.