bambino. E hanno avuto i’ coraggio di di’ che avean cominciato prima loro.

- Sì, perché nun s’eran dispersi alla tromba del Delegato. Ma che possono, avvocato?

- Possono, possono pur troppo. Se lo ritiene opportuno, e lo ritiene sempre, il delegato intima di sciogliersi, poi fa suonare la tromba ai soldati. Al terzo squillo caricano.

- Ma non avevan fatto nulla! Gridavan per pane e lavoro, eran padri di famiglia, e povere donne coi figlioli!

- L’ho saputo, sì. E’ per questo che siete qui? Perché a quanto ne so non c’è nulla da fare, se non indignarsi. Vince la forza bruta, per ora.

- No avvocato no: noi non siamo sestesi, si vien più da fuori, su da Bivigliano. Siamo i parenti del Nannini.

- Quello che ieri ha ammazzato un poliziotto?

- Non è stato lui, avvocato! Non dica così, non ci creda anche lei, sennò me l’ammazzano il mio Beppe!

La donna era scoppiata a piangere e a disperarsi, e c’era voluto del bello e del buono per calmarla e per farsi raccontare la storia. Gli dissero che Beppe non era una testa calda, credesse: aveva due bambini ed era sempre stato un bravo lavoratore, nei campi. Era sceso con gli altri a Firenze, per farsi sentire, per urlare quant’era disperato e affamato, come gli altri: ma non avrebbe ammazzato una mosca, non era possibile. Quando alla moglie avevan detto quel che era successo, tutti in paese avevan pensato ad un errore.

- Non può esser stato lui, avvocato! Lo salvi, per carità. Ha due figlioli...

E così Morosini era uscito di casa, pieno di pensieri foschi e battaglieri. Figurarsi se lo salvava, quel disgraziato. Anche non fosse stato lui la sentenza era già scritta, bastava veder la Nazione, il quotidiano della città, che aveva il potere di mandarlo in bestia ogni volta che lo apriva. I moti sediziosi che rivoltavano il paese: l’orda di rivoluzionari senza Dio che aveva montato la testa ai contadini: il branco di criminali che era piombato in città: i prodi militari e poliziotti che agli ordini del Signor Delegato Cordioli eran scesi in campo per affrontarli e difendere Dio, la legge, l’ordine e la proprietà: l’ordine di sciogliersi, il cordone dei militari che faceva da scudo alla folla, la vile rivoltellata, il povero sergente Ciapetti rantolante in terra e i suoi colleghi che acciuffavano l’assassino: il mostro, l’omicida, Nannini Giuseppe detto Beppe: un uomo fosco, cupo, pericoloso, forse col vizio del bere. Ce n’era d’avanzo per impiccarlo senza processo, altro che salvarlo. E d’altronde cosa avrebbe potuto dire lui, Morosini, a quella gente, a quelle donne?

- Farò tutto quello che posso - aveva risposto, con una gran pena dentro al cuore. E quelle se ne erano andate ringraziando, baciandogli le mani. Morosini scosse la testa e riprese il passo verso la Questura, a Palazzo Riccardi.

Lo conoscevano, e passò senza tante storie, salutando con un cenno il piantone: aprì la porta ed entrò con l’aria cupa nell’ufficio del vicequestore, che era amico suo da vent’anni.

- Olà, Terenzio. Qual buon vento? Non dirmelo: vento di tempesta che ti si legge in faccia.

- Che sai dirmi della faccenda del Nannini?

- Oh, misericordia! E ti pareva che l’arruffapopolo non si metteva di mezzo!

- Fai meno lo spiritoso, che sennò dico a tua moglie di quella famosa sera che si andò dalla Rosina.

- Cedo alla violenza, ma se vuoi un consiglio tientene alla larga: me ne sto occupando io e, credimi, non c’è niente da fare. Con la corte marziale, poi! Il Nannini è come se fosse bell’e giustiziato.

Morosini si mise a sedere calmo calmo e sfoderò un sigaro toscano: bello lungo. Il funzionario pensò che la cosa era complicata.

- Ha confessato?

- Macché. Quando l’hanno acciuffato si è dibattuto come un pazzo, poi si è chiuso in un mutismo assoluto: neanche le sente, le domande. Credo faccia il finto tonto per farsi passar per matto: ma non attacca.

- Sicché non ha confessato.

- E allora? Lo han preso sul fatto, con la pistola fumante ancora in tasca... Lo so che ti han detto che è un brav’uomo, risulta anche a noi: che vuoi che ti dica, l’agitazione, la folla... ha fatto una sciocchezza.

- Ci posso parlare?

- Accomodati. E’ già alle Murate, ti faccio accompagnare. Tanto io non ho bisogno di vederlo.

Beppe Nannini se ne stava in un angolo della cella, accovacciato per terra, a guardare il vuoto. L’avvocato sentì uno strano disagio a guardarlo, mentre la porta di ferro si chiudeva cigolando dietro di lui, un malessere diverso dal solito: quell’uomo provava un’angoscia che si trasmetteva.

- Sono il tuo avvocato, Nannini.

Silenzio.