Da manicomio…
Dico la verità, sono rimasto un po' stordito dopo la lettura di Schegge di Sebastian Fitzek, elliot 2010, per cui la recensione sarà breve ed essenziale per non ricadere in confusione.
Vento gelido a Berlino nel mese di novembre, "notte ghiacciata quanto buia", pioggia e in seguito anche neve a rendere il tutto più drammatico. Marc Lucas, avvocato e assistente sociale (salva pure una ragazzetta tossicodipendente dal suicidio), si presenta dal prof. Niclas Haberland (psichiatra) per "sapere" cosa gli sia successo. Dalla fine inizia la storia di questo personaggio sensitivo. Tormentato dal rimorso di avere provocato la morte della moglie incinta con un incidente di auto, si fa convincere dal prof. Bleibtreu a tentare un esperimento psichiatrico per la cancellazione dei traumi e di tutti i terribili ricordi del passato. Ma l'esperimento sembra non dare gli effetti sperati e il nostro si trova incasinato in una serie incredibile di eventi tra cui il fatto stesso di non essere riconosciuto (tanto per dirne una e non svelare ulteriori particolari). Nello stesso tempo è costretto a prendere pillole per curare una ferita causata dal vecchio incidente.
Altro personaggio principale il fratello Ben (Benjamin) dimesso dall'ospedale psichiatrico, ancor più sensitivo di lui invischiato con l'infame Valka. Inutile delineare un quadro complessivo del romanzo fatto, appunto, di schegge, di passaggi veloci che cambiano di continuo la prospettiva del lettore. In mezzo ci butto un dannato collezionista di occhi, l’incontro con Emma, anch'essa del "programma" di Bleibtreu, una sceneggiatura della moglie che praticamente anticipa i fatti (possibile?), una fotografia, una targa, dubbi, assilli, ricordi, paura, scontri, supposizioni, esiste o non esiste?, la moglie è morta o non è morta?, si tratta di realtà o di pura illusione?.
Capitoletti brevi, ritmo veloce e martellante, scene che si materializzano e svaniscono come in un sogno, sorprese continue con definitivo colpo finale che stende il povero lettore.
Da manicomio.
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