Pietrafredda, uUn romanzo che mi ha regalato nel corso di quest’anno grandissime soddisfazioni e un tassello della mia spy story che fonde noir-avventura e ricordi di vita reale.Vi ripropongo una scelta tra le interviste e le recensioni più lusinghiere, ringraziando amici, colleghi e giornalisti che hanno letto il libro...

CLAUDIO ASCIUTI SU PULP

Alle volte bisogna svelare l’arcano, anche se non si vorrebbe: non il nome del colpevole, ma quello del protagonista, qui celato nelle ultime pagine. Il desiderio di vendetta che ha spinto l’io narrante a tornare in una non dimenticata Parigi, Muovendosi fra immigrati magrebini, gangster serbi, ex poliziotti che giocano la loro ( eterna) partita per il controllo del territorio, si è placato. Risse, sparatorie, agguati e attentati che fino ad allora si sono alternati nello spazio di palestre e night club equivoci, strade vuote e balie disabitate, ora sono solo ricordi. La sparatoria finale chiude il meccanismo del romanzo ma non risolve il problema del protagonista, di cui finalmente sappiamo il nome:Chance Renard, ovvero il Professionista. È lui che racconta in presa diretta, al presente storico, in prima persona, la sua guerra solitaria. La creazione più famosa di Stefano Di marino, protagonista di un ciclo che dura da quattordici anni, personaggio così iscritto nell’immaginario da meritarsi un omaggio di “Segretissimo” in cui diversi scrittori si cimentavano nel compito di raccontarne le avventure secondo i loro modi e la loro poetica, si interroga alla fine sul senso della vendetta. L’ex legionario dal cuore di ‘pietra fredda’, vero e proprio ‘ronin’ dei nostri tempi, che secondo i ritmi e gli spazi della spy story si è spostato in tutto l’ecumene, oltreché nel tempo, combattendo secondo uno specifico codice d’onore. Quasi un Mike Hammer in cerca della sua Velda, dopo tanti anni è giunto a vendicare la morte della sua Lana. L’ultimo(ma non definitivo) romanzo del ciclo, a un punto d’incrocio fra il polar francese e l’hard boiled californiano, con tutto il suo “ male di vivere” e la sua impossibilità far tornare i conti. Obbligatorio per tutti quelli che pensano che ci siano altri modi italiani di affrontare il noir che non il detective extraparlamentare e il commissario buono.

MARILÙ OLIVA SU THRILLER MAGAZINE

É freddo come una pietra il cuore del protagonista di questo romanzo, gelato dopo l’uccisione della sua Lana e consumato dal livore. La vendetta rimane l’unica meta per Pietrafredda, ex legionario, un guerriero nel senso più alto del termine, un uomo che ha in bocca tutto l’amaro del mondo ma ciononostante sa attingere alla risacca di grandezza d’animo che gli appartiene. Fracassa in faccia le bottiglie ai suoi nemici eppure tratta con garbo le prostitute, rispetta i valori dell’amicizia, è di poche parole ma risolutive: «Se hai una lama, devi dimostrare di saperla usare» (p.34)

Stefano Di Marino, conosciuto anche con lo pseudonimo di Stephen Gunn, (non solo ha scritto “Il Professionista”, una delle più fortunate serie italiane di spionaggio pubblicata su “Segretissimo” e ristampata in TEA, ma ha pubblicato anche con Mondadori e Piemme) ha firmato quest’ultimo gioiello Perdisapop, a conferma che la collana lascia sì spazio alle voci esordienti ma le alterna a quelle già affermate. “Pietrafredda” risente in positivo della penna di un autore di action/adventure thriller sotto diversi aspetti, primi fra tutti la suspense della narrazione, il continuum tensivo e la ricchezza di personaggi: lottatori, guerrieri, prostitute, killer all’inseguimento, poliziotti in incognita, informatori, donne che portano il velo e donne che li hanno tolti quasi tutti, i loro veli. Ma l’estrazione della narrativa d’azione trapela anche dall’atmosfera di combattimento che aleggia in ogni capitolo: sudore, allenamenti, arti marziali e boxe s’incrociano con codici d’onore, cazzotti, lividi, strette di mano.

Le descrizioni dei bassifondi parigini sono accenni di vita che palpita attraverso un dialogo, un colpo di scena, una fotografia, una sequenza filmica. É una Parigi reietta l’ambientazione di questo romanzo, una Parigi fatta di banlieues, palestre, localini pittoreschi, night club ma fatta anche di sapori, odori, cibi da ogni parte del mondo. Il cosmopolitismo di fondo non è forzato ma rispecchia la realtà di una metropoli abituata da ormai un secolo a fare i conti con la multietnicità e Di Marino la padroneggia come solo può fare chi la conosce bene, come lui stesso ha dichiarato: «È una città dove ho trascorso momenti importanti, ci vado spesso, poi c’è tutta un cultura che, per aspetti differenti, mi ha molto influenzato. Più di venti anni fa ho cominciato ad andarci perché era là che si praticavano gli sport da combattimento come li concepivo io. Boxe Thai, Full Contact, BF Savate, interdisciplinarietà.» Va infine sottolineato l’espediente linguistico dello slang, del lessico esotico e della parlata gergale che s’intonano con naturalezza a un narrato intenso e costringono a leggere senza interruzioni. Elemento, questo, specifico dei BabeleSuite in generale e dei libri riusciti in particolare.

LUCA GIUDICI SU RECENSORE

Pietrafredda è una sceneggiatura. Il passaggio dalla narrazione al visivo è immediato. Difatti l’autore, Stefano Di Marino, oltre che un pluridecorato autore di noir e thriller, è un esperto cinefilo. Chance Renard, personaggio – ma potrei dire spiritual guidance - di Pietrafredda, parla in prima persona, in totale sintonia – di modi e di intenti - con l’autore stesso. Di Marino scrive la storia de Il professionista (nom de plume di Chance Renard) da circa quindici anni, e Pietrafredda è la chiave di volta, il fulcro di un’opera, il senso di questo lavoro. In poco più di cento pagine Di Marino taglia trasversalmente tutta la sua vita, con un‘opera di pulizia mentale senza pari. Pietrafredda è ascetico, monastico. Non lo si comprende se lo si interpreta come un thriller. Il padre fuggito di Chance Renard lo ritroviamo in un vecchio fumetto di Magnus, ovvero Unknown, Lo Sconosciuto. Negli anni settanta Lo sconosciuto ha smazzato le carte dei vari James Bond e di tutti gli agenti segreti in giacca e cravatta, anticomunisti e figli del dio denaro (con in più quantitativi industriali di alcool e di figa). Unknown è un nipote di Sandokan e di Corto Maltese: è un pirata bastardo, cinico e senza ideali, ma che a fatica sopporta le ingiustizie, quando queste sono figlie di scorrettezze, del mancato rispetto di certe regole, che comunque, anche tra uomini senza dio, bisogna rispettare. Chance Renard è un’erede di questa stirpe. La sua Parigi è la Malesia di Sandokan, ed anche lui si circonda di amici e compadres: uomini in fuga, a volte inseguiti, persone il cui passato sarebbe meglio non conoscere. Ed è in questo ambiente maudits che Chance Renard insegue la sua vendetta, nei confronti di chi ha ucciso la sua donna. Storia banale, certamente non nuova, ma Di Marino la svolge con un tale pulizia interiore che ogni parola lancia scintille, nel suo stato, come un diamante grezzo. Lo studio delle arti marziali è una ricerca spirituale, e la pulizia interiore è un modo – potremmo dire – per personalizzare l’editing. Ogni parola è quella giusta al posto giusto. Non una di più, non una di meno. Così come il movimento in un kata. Così come le azioni di Chance Renard, al posto giusto nel momento giusto. O almeno, quello dovrebbe essere il senso dell’agire, ma quella di Chance Renard è meditazione senza oggetto, un agire senza scopo, perché in fondo anche la vendetta è una scusa, una scusa per continuare ad essere se stessi, per continuare ad essere vivi.

MATTEO STRUKUL SU SUGARPULP

Stefano Di Marino è fra i pochi autori italiani, insieme a Sergio aka “Alan D.” Altieri e Valerio Evangelisti, a proporre un’efficace esplorazione del romanzo d’avventura, e poi anche del noir, dell’action thriller, rileggendoli evidentemente in chiave moderna. C’è nei suoi libri un attento lavoro sul ritmo e l’intreccio, un’attenzione a trama e ordito della storia che marca di pari passo un altrettanto efficace dosaggio di pause e impennate, rallentamenti e accelerazioni narrative che rappresentano un’originale proposta per il lettore. Il quale beneficia così, nel frullare delle pagine, d’un montaggio di sequenze a dir poco trascinante.

“Pietrafredda” non fa affatto eccezione a questo stile rapido, compatto, incalzante, anzi ne costituisce piuttosto la summa, ma, sia ben chiaro, senza coincidere per ciò stesso con la semplice esasperazione o amplificazione di un marchio narrativo collaudato. Una formula che affonda le radici in decine e decine di romanzi scritti a proprio nome o sotto pseudonimo, come quello di Stephen Gunn, con cui Di Marino ha firmato le ipercinetiche avventure del suo personaggio più famoso e che lo ha consacrato al successo editoriale: Chance Renard, il Professionista.

Insomma, in “Pietrafredda” assistiamo ad una scrittura brillante, asciutta, costruita sull’azione, che peraltro non rischia in alcun modo di abiurare l’omogeneità e il virtuosismo letterario.

A partire da un’ambientazione suggestiva come le Banlieu parigine, Stefano Di Marino compone un microcosmo criminale che parte sparato e riesce a far germogliare come un fiore velenoso una storia che mantiene un ritmo selvaggio per centoventi pagine. Nessuna pausa, nessun calo. Il che già di per sé ha dello straordinario.

Ma poi ci sono fatti, colpi di scena, vicoli ciechi, inseguimenti, sparatorie a go go e il tutto viene gestito con naturalezza disarmante ancor prima che con maestria, con talento puro e non solo con esperienza.

Una lettura fulminante, senza sbavature, che propone ancora una volta Chance Renard in un’avventura del tutto a sé e che combina atmosfere che paiono vomitate da una sequenza de “L’odio” di Mathieu Kassovitz e innestate come ali d’angelo sulla schiena di una storia in odore di Peckimpah, roba da rimanere in corsa con “Voglio la testa di Garcia” o “The Getaway”.

Prendendo il tema classico della vendetta per amore, Stefano di Marino affresca una progressione rabbiosa che porta Renard a mettersi come un lupo sanguinario sulle tracce del suo nemico e contemporaneamente a guardarsi le spalle da un killer leggendario assoldato per farlo fuori.

Un triangolo mortale che cresce furiosamente, un capitolo dopo l’altro, fino ad esplodere in una bolla di violenza che rischierà di annullare tutti. Da leggere con il fiato mozzato fino alla fine.

Compratelo. Se non lo avete fatto, correte in libreria. Veloce come uno sparo, “Pietrafredda” vi terrà incollati alla storia, ennesimo caso di un romanzo breve e sfolgorante come nella miglior tradizione per Perdisa Pop, casa editrice che, anche grazie alla collana “Babelesuite”, diretta da Luigi Bernardi, sta diventando una di quelle di riferimento per le letture che interessano qui a Sugarpulp.

Libro per l’estate. Se usassimo le stelle nei giudizi darei cinque su cinque.

MATTEO DI GIULIO SU IL RE- CENSORE

Stefano Di Marino è un professionista, al pari dei suoi rocciosi protagonisti. In Pietrafredda si mette di nuovo in discussione, al servizio del suo pubblico affezionato, forgiando per uno dei suoi eroi duri e puri un nuovo corso di indagine. E’ uno sconosciuto, ha un passato di violenze, è cattivo, ma ha perso le cose che più amava: la donna e i sogni (di redenzione). Il reduce torna a Parigi e affronta di petto i fantasmi. La malavita lo accoglie come un figliol prodigo, anche se la redenzione va di pari passo, in questo caso, con le mani sporche di sangue.

La novella che Di Marino elabora, oggi senza pseudonimo a fare da scudo, va oltre il suo stile asciutto da spy-story-teller; al contrario ne sublima l’animo di narratore popolare in un contesto romantico che, a prescindere dalla violenza, rasenta il pathos. L’eroe senza nome è, come nei miti greci, un agone che combatte per tutti. In questo è sicuramente un personaggio cinematografico, che nella misura dell’onore trova la propria ragion d’essere. Di Marino, si sa, professa il suo amore per la settima arte sin dai suoi esordi – Commando ombra era dedicato a Walter Hill – e si vede: c’è in Pietrafredda tanto cinema d’azione (post)moderno, di latitudini differenti, sia Johnnie To e John Woo che, molto marcato, Jean-Pierre Melville.

Una novella al sapore di vendetta, un cuore vivo che pulsa e sanguina, uno stile che fa della nostalgia la propria cifra stilistica, uno sfondo europeo che funziona sin dall’incipit. E tanta azione. Quando si mette in moto, il protagonista sfodera un arsenale balistico impressionante, la morte diventa uno spettro da abbattere a colpi di pistola e le remore un orpello morale che non può fermare il giusto corso delle cose. C’è della filosofia, che forse a qualcuno sembrerà spicciola perché non è sottointesa ma sbattuta in prima pagina. Eppure è proprio lì, nel suo essere un piccolo grande romanzo di guerra e pace, dove Pietrafredda sa centrare. Con freddezza, spiritualità, poche parole; e senza fare nomi.

ALESSANDRA ANZIVINO SU MILANONERA

Il Professionista ha 14 anni di esperienza e ha sempre centrato il suo obiettivo.

Anche stavolta Stefano di Marino segue le orme del suo personaggio e confeziona un romanzo breve per Perdisa Editore che appassionerà nuovi lettori e li instraderà con entusiasmo verso il genere dell’Action Thriller.

“…un pazzo che si piange addosso, schiavo dei suoi ricordi, non lo vuole nessuno come compagno di battaglia” questa la lucida analisi che fa il protagonista di Pietrafredda.

Il Professionista vuole vendicare la morte della sua donna, Lana, e sceglie di farlo colpendo il suo nemico nel suo rifugio, una Parigi diversa: un intricato dedalo di periferie degradate e locali equivoci messi a ferro e fuoco per stanare colui che ha gli ha tolto il bene più prezioso.

Da solo sarebbe un’impresa impossibile da portare a termine, il romanzo, compiuto e indipendente dalla saga che Di Marino ha costruito in questi anni, si articola su due piani: il meticoloso succedersi di atti dimostrativi che mettano il suo nemico in ginocchio e la formazione di un commando che possa sferrare l’attacco finale.

Nessuna concessione all’autocommiserazione da parte del Professionista, Lana non tornerà a vivere sulla scorta dell’eliminazione di chi ha voluto la sua morte, Lana vive nel coraggio di affrontare con coraggio e lucida follia ogni giorno che patisce la sua assenza.

Ogni pallottola ha un senso in questo romanzo, e le sparatorie e gli inseguimenti danno un ritmo vorticoso che è anche un raffinato viaggio nell’animo tormentato del protagonista.

La descrizione di Parigi è molto più di una semplice ambientazione restituisce il profumo di una Parigi corrotta e nerissima molto lontana dai clichè da cartolina che spesso ci vengono propinati.

Una città che ribolle di rabbia e tensioni sociali pronte ad esplodere e a travolgere il passeggio tranquillo dei quartieri alti.

Decisiva nella riuscita del progetto omicida sarà proprio una mescolanza di sparigliati e improbabili protagonisti di questa Parigi inconsueta coesi da una comune tensione emotiva di ribellione e vendetta, al Professionista spetta il ruolo di coordinatore, lui così avvezzo al programmare l’eliminazione del nemico, questa volta con un motivo in più.

Stefano di Marino è un grande affabulatore, imprime uno stile secco ma appassionato al suo racconto e dona un crescendo di emozioni al lettore, accompagnandolo con incalzante entusiasmo verso il suo personalissimo viaggio nel ventre di una città molto conosciuta in superficie ma tutta da scoprire nei suoi lati più oscuri.

DARIO PM GERACI SU SETTERIGHE IN NERO

Qui non dobbiamo soffermarci sul “cosa sia” “Pietrafredda” quanto sul “cosa ci sia dentro” quest’ultimo. Innanzitutto poniamo l’oggetto “romanzo” al di fuori della produzione autoriale di Stefano Di Marino, prima penna italiana per prolificità, e concentriamoci sulla struttura a-strutturata del racconto. Di Marino, nella sua lunga carriera, può essere considerato uno degli alfieri della narrativa italiana d’avventura e azione, corrente letteraria di fondamentale importanza per la cultura pop-olare italiana dalle origine ai primi del ‘900 circa. Diviso tra notevolissimi prodotti nel campo dello spionaggio “seriale” e vere e proprie “gemme” pubblicate da numerose altre case editrici, ha, nell’ultimo periodo, deciso come un grande burattinaio di tirare a sé tutti i fili della decennale produzione, attuando un lento ma inesorabile processo di “unificazione” che solo la Storia saprà suggellare come merita. Perché parlare quindi in questo caso di struttura a-strutturata per un autore che ha fatto dei punti fermi la sua forza? “Pietrafredda” (Perdisa – Babele suite) non è ascrivibile al filone letterario puramente “revanscista” come si tenderebbe a credere, piuttosto pone le sue radici nel filone cavalleresco francese figlio di Chrétien de Troyes, con punte di lirismo assolute dirette discendenti del Tasso. No cari Signori, qui non si sta esagerando, non si sta attuando una bieca manovra di “fuoco amico”. Tutt’altro; ci troviamo probabilmente innanzi ad una delle punte più alte della produzione di Di Marino e della narrativa italiana recente “tout-court”. Aggiungo alcuni dettagli che chiariranno la mia posizione. Personalmente, non mi ritengo parte della schiera “critica” che ama incensare o addirittura equiparare la letteratura commerciale a quella propriamente detta. Si, lo so che questo mio punto di vista risulterà ai più antipatico e impopolare, indi per cui non mi dilungherò in dissertazioni mirate a convincere o peggio influenzare la maggioranza ostile a questa prospettiva. Vi saranno altri attimi, altre sedi per farlo, al momento mi rifaccio al titolo di una vecchia opera di Erri De Luca che recitava nell’intestazione: “Non ora, non qui”. Ciò detto, e mi scuso per la digressione, potrete Voi ben capire quanto il sottoscritto “tenga” in considerazione certi criteri valutativi e “pretenda” dall’autore un certo approccio all’opera. Quando parlo di approccio, intendo l’approccio formale, estetico, non forzatamente contenutistico. Ebbene, mi considero un amante del bello, del puro, del Dionisiaco, tutti parametri che “Pietrafredda” centra in pieno, pur mantenendo una sottile ma esasperante venatura plumbea che a conti fatti non può che farlo, giustamente, rientrare nel soffocante e ormai saturo contenitore del noir. Che poi, Signori, parliamo chiaro, chi scrive Noir in Italia? Siamo proprio sicuri che questo “jeter” da parte della critica (anche altolocata) nel pentolone del Nero Italiano, sia proprio? Occorre riconsiderare la questione, anche per rispetto di un pubblico che si trova subissato da prodotti “deontologicamente” lontani galassie da un etichetta che, a furia di “forzare” abbiamo finito per rompere. In conclusione, tornando al Noir, quello vero, quelle delle origini, quello sincero quello di “Pietrafredda”, possiamo ben dire che, con suddetta “operetta” (nell’accezione lirica del termine, ben inteso) non altro poi che un racconto ben mascherato da romanzo da una abile et lungimirante casa editrice, ci troviamo di fronte ad un “sorpasso” epocale; un sorpasso che “il genere” (italiano) deve necessariamente ergere a totem assoluto e con atteggiamento futurista, utilizzare per ricostruirvi sulle sue fondamenta un nuovo, brillante, futuro. L’attimo è propizio, basta spingere la punta del proprio dito qualche scaffale più in là in libreria, nel reparto “Narrativa contemporanea”. La constatazione desolante dei fatti Vi lascerà stupefatti…

LUCA CONTI SUL SUO BLOG

Amate il noir? Allora non potete permettervi di ignorare questo libro, 118 densissime pagine di uno dei più brillanti narratori italiani, Stefano Di Marino. In questo piccolo capolavoro si viaggia su un altro pianeta, rispetto a un buon 95% della produzione “di genere” nostrana (e uso il termine tra virgolette proprio perché Stefano rivendica orgogliosamente la sua connotazione artigianale, il non volersi negare alcuna esperienza, entrando e uscendo a piacimento dall’action thriller, la spy story, il noir, l’avventura pura e semplice e così via).

Questo romanzo breve mi ha ricordato moltissimo un altro piccolo capolavoro di lunghezza quasi analoga, il sottovalutato Drive di James Sallis, e chi conosce la mia smisurata stima per il buon James saprà anche che, per quanto mi riguarda, non si tratta di una lode da poco. Anzi, direi proprio che Pietrafredda, rispetto a Drive, è l’altra faccia della medaglia: una storia che presenta molte analogie e vista, in questo caso, da una prospettiva completamente europea. Ma la tensione (anche, e soprattutto, morale) che anima i due libri è pressoché la stessa.

Insomma, davanti a un autore che ha già al suo attivo una produzione smisurata, non ha senso dire che è nato uno scrittore. Ma, con Pietrafredda, un bravo autore si è trasformato in uno scrittore coi fiocchi.

E per concludere l’intervista di Barbara Baraldi su Sick Girl

Il cuore come una pietra fredda: intervista a Stefano di Marino

Cento sigari. Mille shot di vodka. Diecimila caffè. Mi sono guardato allo specchio e ho visto un uomo disperato.“Non posso più scappare. Parto”. Pietrafredda è un romanzo sulla vendetta, sul passato che non dimentica, soprattutto quando nel passato vive una donna impossibile da dimenticare. Questo è il nuovo romanzo di Stefano di Marino, un romanzo da leggere tutto d’un fiato.

Ciao Stefano, è un grande piacere averti ospite sul magazine di Sick Girl.

Per cominciare ti vorrei chiedere cosa significa portare avanti negli anni un personaggio come Chance Renard, il Professionista. Se non sbaglio il primo romanzo risale a 14 anni fa e sono più di venti le storie che lo vedono protagonista. Quanto è cambiato Chance in questi anni? E quanto sei cambiato tu con lui?

SDM: Un piacere prima di tutto essere ospite di Sick Girl. Chance renard in qualche modo sono io. Nel senso che un personaggio seriale che ti accompagna per tanti anni finisce per succhiarti un po’ l’anima. Ovviamente lui vive in un mondo immaginario nel qualche convivono tantissime suggestioni fantastiche e diversi spunti che invece fanno parte della vita mia. Però trasfigurati perché ritengo che non si debba mai scrivere direttamente di se stessi. Il filtro della fantasia aiuta a tenere un certo distacco...e diciamolo a costruire storie più interessanti per il lettore. Certo in quindici anni e più di 30 storie tra romanzi, racconti,reportage in forma narrativa, il personaggio è cambiato. Un po’ invecchiato ma lo spirito è rimasto quello delle prime avventure. “Non perdetevi d’animo perché se lo farete loro avranno vinto e voi sarete morti” vale adesso come allora. Anche se oggi le storie sono un po’ più cupe, un po’ più realistiche se vogliamo.

Leggendo “Petrafredda” (PerdisaPop) si capisce che è una storia che hai partorito visceralmente, a cui tieni particolarmente, o sbaglio?

SDM: Eh, sì. Non solo perché si svolge in quella Parigi delle banlieue che conosco molto bene e visito ogni anno. Contrariamente a diverse altre mie avventure più impostate sull’azione è una storia d’amore. A modo mio naturalmente. Violenta ma anche malinconica. Lo vedete questo soldato di tutti che, alla fine, si considera un po’ una puttana al servizio di chi lo paga che arriva a una certa età (non vecchio ma insomma...non esattamente un ragazzino) e si innamora di una spogliarellista con la metà dei suoi anni. Non sa se veramente lei lo ha amato, ma gli piace crederlo. E quando lei muore si sente preso da una rabbia sorda, feroce, che distrugge tutto. E, cosa più pericolosa di tutte, comincia a fare dei consuntivi a ripensare, spesso con disperata malinconia. E capisce che la sua vita è così, deve reagire perche a lei vederlo piangersi addosso non sarebbe piaciuto. Sono state le pagine più entusiasmanti da scrivere ma anche le più difficili. Ora, la fiction e la realtà sono sempre diverse... però un po’ di me, delle mie vicende personali..sì lo ammetto ci sono. Se leggete la dedica magri potete avere un’idea. Solo un’idea perché i fatti veri restano privati come è giusto che sia.

La vicenda si sposta dall’Italia, dove avevi ambientato le ultime avventure di Chance, a Parigi, tuo (e suo) vecchio amore. Una sorta di chiusura del cerchio?

SDM: A Parigi sono stato molte volte a seguire la mia grande passione. Gli sport da combattimento. Kick, Thai,Savate, Free Fight, da lì ho poi scoperto una realtà multi etnica dove italiani, olandesi, francesi, magrebini, vietnamiti e thai stavano insieme a darsele di santa ragione ma come un’unica famiglia. In effetti i malavitosi di Pietrafredda sono tutti miei vecchi amici del milieu. Roger, per esempio, è Roger Paschy. Un tipo incredibile. Negli anni 80 andammo per uno stage di Thai. Ci ospitava a casa sua facendoci pagare l’alloggio e le lezioni lavorando nella grande discoteca di proprietà della sua famiglia. Ricordo un amico spagnolo, Pablo. Grassottello, non molto marziale ma simpaticissimo. Ora, le figlie di Roger allora erano delle magnifiche diciannovenni(gemelle)franco vietnamite. Ci giravano intorno mezze nude. Io lo dicevo che non era il caso... Pablo invece si butta a capofitto. Sangue latino... Insomma quando una sera ci fanno vedere i filmini del matrimonio di una terza sorella con un campione di Thai(Diesel Noi, una leggenda)...sembrava il matrimonio del Padrino. E Roger cominciava a guardarci con un’aria strana. Abbiamo capito che lo stage era finito... la riscoperta dell’Europa e dell’Italia non sono una chiusura di un cerchio ma un anello che s’inserisce in un altro. Vedremo quale sarà il prossimo. Per il momento dopo aver raccontato per anni le storie del mio amatissimo Sudest asiatico mi sento a mio agio in casa mia...

Storie crude, sangue e nessuna pietà. Ma anche storie di amicizia con barlumi d’amore come lampi nella notte.

SDM: Sono il succo della vita e del romanzo noir così come lo concepisco io. Alla fine la storia d’amore e d’amicizia acquista una sua valenza romantica se è venata di tristezza, sec’è un lato oscuro nei personaggi. Un po’ è la convenzione del genere, un po’ è anche il mio carattere. È una formula narrativa che ho affinato con gli anni e in cui mi sento particolarmente a mio agio. Se fosse per me, di storie così ne scriverei una al giorno. Mi vengono naturalmente.

Vanti una carriera di tutto rispetto nel panorama letterario italiano, hai scritto tanto, con passione. Quanto sei tu a scegliere le storie e quanto sono loro a scegliere te?

SDM: Mi piacerebbe aver sentito tutte le storie che ho scritto come è stato per Pietrafredda. In realtà se si vuol vivere di editoria8non di sola scrittura perché è abbastanza impossibile) a volte si accettano lavori anche concordati. Come dicevo il narratore professionista è un po’ come il protagonista dei miei romanzi. Lavora per chi lo paga....Scherzi a parte, non credo ci sia da vergognarsi. Certo che è un piacere poter disporrei totale libertà nella scelta delle storie. A volte ci son odei compromessi che non si possono accettare. Se scrivi una storia che proprio non è nelle tue corde lo senti tu e alla fine lo sente anche il lettore e malgrado ogni intervento di marketing il libro non funziona. Io ho scelto di essere un narratore pulp anche se spesso esco anche il libreria. Però mi piace il tascabile, la libertà che ti dà di trattare l’argomento che ti pare senza troppe preoccupazioni di essere politicamente corretto, di piacere l pubblico che guarda i reality e vuole i best seller. Insomma, come diceva Erwin Torres(Carlitos’ way,il libro intendo) un vita a modo mio. Purtroppo tutto si paga. Oggi imperano delle logiche di pallottoliere. Il libro buono sembra solo quello che vende a un pubblico di non lettori che vuole cose facili, di moda. Eh be’, sono un po’ vecchio per cambiare...per me un libro buono è quello che senti.

Tre caratteristiche per poter essere scrittore oggi in Italia.

SDM: Passione perché senza la passione non si è niente. Né scrittori né altro. Perseveranza perché è una maratona e non i cento metri. Continuare a scrivere ed essere pubblicati negli anni è il premio. Non il successo di un singolo libro che poi passa e nessuno si ricorda più chi sei. Capacità di assaporare la soddisfazione quando si presenta e di fare il muso duro di fronte alle frustrazioni che sono tante, tantissime. Se uno non si sente di affrontarle è meglio che torni a casa. Non è il suo lavoro.

Non hai mai nascosto che Chance Renard sia sorta di tuo alter ego romanzato. Quanto ti ha aiutato questo a continuare negli anni una serie così longeva?

SDM: Come dicevo c’è una sorta di transfert ideale. Entrambi eravamo ragazzi che seguivano un sogno. Io di diventare narratore, lui avventuriero. Una volta che ci siamo riusciti abbiamo capito che non sapevamo fare altro e il mondo che ci eravamo scelti era più oscuro di quello che pensavamo da bambini. Però è andata meglio a me che a lui. Io non sono costretto a far fuori nessuno tutti i santi giorni. Alla fine è la vita che ci siamo scelti...

Il tema della vendetta torna spesso nei tuoi romanzi…

SDM: Sì, ma è un riflesso. Serve a mettere in moto l’azione a scatenare passioni. Il vero fulcro è il tradimento. Dell’amicizia, dell’amore. L’amarezza di aver investito sentimenti su una persona e scoprire che in realtà questa persona ti ha sempre considerato una cosa dappoco che si può gettare quando no n serve più. Questo fa male davvero. Poi i nun racconto tutto diventa più drammatico, la gente muore. Però secondo me è il nocciolo di questo sentimento che tutti hanno sperimentato che crea un ponte tra chi legge e magari fa una vita tranquillissima ma non priva di amarezze e il personaggio che è sempre sopra le righe, un po’ spaccone perché così sono fatti gli eroi dei sogni. Una bella psicoterapia per ch iscrive e chi legge, direi.

Sei amante dei viaggi: Europa, Oriente. Viaggiare è per te uno dei modi di inseguire l’ispirazione? Vivere i luoghi per scriverli?

SDM: Sì, io ho sempre viaggiato moltissima, con la macchina fotografica con lo sguardo attento. La mia prima passione è stata l’Asia. Ho sempre raccolto moltissima documentazione iconografica. Quando mi metto a scrivere faccio prima un cast dei personaggi. Possono essere facce di attori ma anche personaggi incontrati per caso, amici. Diventano interpreti, perdono qualcosa di loro per acquistare qualcosa di mio. Poi locali, luoghi... prima devo vederli. Magari poi li mescolo, li adatto, ci inserisco un commento musicale come in Pietrafredda dove ogni personaggio ogni situazione ha un po’ la sua colonna sonora. La scrittura avviene per accumulazione di emozioni...

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri più prossimi?

SDM: Ah, per la verità in questi giorni mi è venuta in mente una storia che sarebbe un bel seguito per Pietrafredda. C’è lo stesso personaggio e un legame con la vicenda ma si svolge tutto in Italia. È sempre un noir ma ha che fare con la magia. C’è un labile confine tra realtà e fantastico. Più la sensazione di qualcosa o qualcuno che ti infesta. Ne esce un’avventura cupa, nei vicoli di Genova.Voglio finirlo in fretta poi si vedrà. Poi ho un lungo romanzo di tipo thriller sovrannaturale ambientato a Venezia ma devo riguardarlo bene e capire a che editore proporlo. Non c’è fretta.

E come sempre per finire l’intervista: puoi dirci qualcosa di sick?

SDM: Non guardarti alle spalle. Il tuo vizio cammina con te. Non credo vorresti guardalo negli occhi: )

Non sei riuscito a trovarlo in libreria... è ancora disponibile su IBS e nel catalogo Perdisa

http://www.albertoperdisa.com/Catalogo/Perdisa-pop/Babele-Suite/PIETRAFREDDA.aspx