Come si è visto nelle pagine di questa rubrica, inventare pseudobiblia, libri falsi, è usanza più comune di quanto si creda; inventare anche gli autori di detti libri falsi è usanza parimenti comune. Usare pseudonimi o nomi d’arte è pratica talmente usata da essere profondamente radicata nella letteratura e spesso obbligatoria, quando per esempio il vero nome dello scrittore non abbia i requisiti di “marketing”: si pensi al grande Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski che, per praticità, scelse di firmarsi Joseph Conrad. Molto più spesso di quanto si pensi gli autori usano più di uno pseudonimo, e durante la carriera capita loro di doversi sbarazzare... di dover “uccidere” ogni tanto un proprio pseudonimo (si pensi a Stephen King e al suo romanzo “La metà oscura”, trattato in un precedente articolo). Sicuramente invece è usanza molto meno comune “far vivere” un alter ego letterario promuovendolo a pseudonimo... soprattutto se a farlo non è l’autore che l’ha inventato! E cosa potrà mai scrivere questo falso autore? Ovvio: un libro falso... sebbene reale!

Ci scusiamo per questa ingarbugliata premessa, ma era l’unico modo per

Kurt Vonnegut
Kurt Vonnegut
far entrare il lettore nello stato d’animo giusto per incontrare il più vero dei falsi autori: Kilgore Trout, l’alter ego che assurse a pseudonimo, e che addirittura prese vita contro la volontà del suo creatore.

 

Il nome di Kilgore Trout nasce nel 1965 fra le pagine del romanzo “Dio la benedica, Mr. Rosewater” (God Bless You, Mr. Rosewater). «“Vorrei solo che Kilgore Trout fosse qui,” disse Eliot, “per potergli stringere la mano e per dirgli che il più grande scrittore vivente oggi è lui”.»: questa è la prima citazione che dà vita al personaggio letterario. L’autore del romanzo, Kurt Vonnegut (1922-2007), amerà citare e far tornare i propri personaggi all’interno della sua ampia produzione letteraria, quindi Trout (“trota” in inglese, scelto pare in omaggio all’amico Theodore Sturgeon, “storione”) apparirà di romanzo in romanzo ogni volta cambiando città di residenza, lavoro e persino età (in alcuni casi è nato nel 1907 e morto nel 1981, in altri è nato nel 1917 e morto nel 2004... dopo che una veggente gli aveva predetto la rielezione di George W. Bush!): quello che non cambia mai è che Trout, malgrado la profonda stima di pochi seguaci e fan, è un più che prolifico autore fallito di fantascienza. «Il mondo gli aveva prestato tanto poca attenzione che lui si credeva morto», avrà a scrivere Vonnegut ne “La colazione dei campioni” (Breakfast of Champions, 1973).

Nella sua “falsa” vita, Trout ha scritto un numero impressionante di “falsi” romanzi e racconti. Vonnegut ha voluto inventare per il proprio personaggio un curriculum impressionante: 117 romanzi e addirittura più di duemila racconti brevi! Questi ultimi hanno però visto la luce solo come riempitivo all’interno di riviste pornografiche («e spesso gli cambiavano i

Prima edizione italiana de "La colazione dei Campioni"
Prima edizione italiana de "La colazione dei Campioni"
titoli. L’uomo di paglia pangalattico, per esempio, divenne Lingua matta.»), e i romanzi, malgrado l’elevato numero, non hanno mai donato un briciolo di notorietà a Trout («nessun editore degno di questo nome aveva mai sentito parlare di lui»). Fa eccezione quando, ci racconta Vonnegut stesso, nel 1979 Kilgore Trout accettò il Premio Nobel per la medicina...

Continuando il gioco letterario, Vonnegut all’interno dei propri romanzi ama citare i libri scritti da Trout. Abbiamo così deliziosi titoli come “L’èra dei mostri speranzosi” (The Era of Hopeful Monsters), citato nel romanzo “Galápagos”; “Il Vangelo dello spazio” (The Gospel from Outer Space), citato in “Mattatoio n. 5”; “Ehi, dico, ma lo senti quest’odore?” (Oh Say Can You Smell?) e “Venere sulla conchiglia” (Venus on the Half-Shell), entrambi in “Dio la benedica, Mr. Rosewater”; “Peste a rotelle” (Plague on Wheels), in “La colazione dei campioni”, e via dicendo. Oltre a romanzi e racconti Trout ha scritto anche un libro di memorie, “I miei dieci anni con il pilota automatico” (My Ten Years on Automatic Pilot) e un dramma teatrale: “Il vecchio rugoso servitore di famiglia” (The Wrinkled Old Family Retainer), citati entrambi in “Cronosisma”. Per chi volesse conoscere anche le trame di questi e tanti altri libri citati nei libri di Vonnegut ed attribuiti a Trout, si invita a visitare il sito MondoBalordo (http://mondobalordo.wordpress.com/kilgore-trout-database/).

Oltre ad alcuni suoi criptici quanto intraducibili versi, «When the tupelo / Goes poop-a-lo / I’ll come back to youp-a-lo», conosciamo anche il divertente epitaffio apposto sulla sua lapide: «La vita non è il modo di trattare un animale» (Life is no way to treat an animal). In realtà ne “La

colazione dei campioni” oltre a modificare il numero dei romanzi Vonnegut riporta anche un altro epitaffio: «L’Accademia Americana delle Arti e delle Scienze volle che sulle sue ceneri venisse eretto un monumento sul cui fronte era incisa una citazione dal suo ultimo romanzo, il duecentonono, incompiuto all’epoca della sua morte. Il monumento si presentava così: “Siamo sani soltanto finché le nostre idee sono umane”».

Quello che abbiamo fin qui illustrato è la normale vita di un alter ego letterario con relativi titoli di suoi libri mai apparsi in realtà: uno pseudoautore con relativi pseudobiblia, niente di più normale. La svolta curiosa avviene nel febbraio 1975, quando Kurt Vonnegut non è più un oscuro autore di fantascienza ma, uscito dal “ghetto”, è diventato autore pubblicato con tanto di copertina rigida. Eppure in quel periodo è

subissato di lodi sperticate da parte di giornalisti che salutano il suo ritorno alle origini con la fantascienza irresistibile di “Venere sulla conchiglia” (Venus on the Half-Shell), romanzo che in quella data era apparso in libreria: il titolo deriva proprio da uno dei falsi libri citati in “Dio la benedica, Mr. Rosewater”, e la firma in copertina, Kilgore Trout, era inequivocabilmente lo pseudonimo di Vonnegut stesso...

L’autore purtroppo non reagì affatto bene all’accaduto, visto che non c’era lui dietro quella firma bensì l’altrettanto affermato scrittore Philip José Farmer (1918-2009), che uscì allo scoperto tempo dopo. Farmer era da tempo grande ammiratore di Vonnegut, ed essendo rimasto nel “ghetto” della fantascienza voleva omaggiare il suo idolo dando vita ad un titolo da questi inventato ma mai scritto, firmandolo con un nome anch’esso inventato e mai esistito. In Italia Carlo Fruttero e Franco Lucentini vollero stare al gioco di Farmer, e quando inserirono “Venere sulla conchiglia” nella collana Urania nel 1976 tacquero il nome del vero autore, e scrissero sibillinamente «nessuno, in realtà, sa chi sia Kilgore Trout».

Philip José Farmer
Philip José Farmer
(Nella successiva ristampa Classici Urania del 1984, però, in copertina campeggiava il nome di Farmer, e di Trout era scomparsa ogni traccia.)

Vonnegut aveva dato il permesso di usare il nome di Trout, va specificato, ma forse non si aspettava l’enorme successo del romanzo e dev’essere stato seccante sentirsi incensare da giornalisti e critici convinti che ci fosse lui dietro “Venere sulla conchiglia”. Malgrado Farmer avesse in progetto di dar vita ad altri titoli di Trout, traendoli dalle opere di Vonnegut - dopo il successo di “Venere” stava già pensando ad un secondo libro, “Son of Jimmy Valentine” -, quest’ultimo vietò categoricamente ogni altro uso del nome Trout, riservando per tutta la vita parole di fuoco a chiunque sollevasse la questione e riversando sul povero Farmer un disprezzo totalmente ingiustificato.

Kilgore Trout "interpretato" da P.J. Farmer
Kilgore Trout "interpretato" da P.J. Farmer
Dopo decenni di acredine, il 25 febbraio 1999 un esacerbato Farmer volle scrivere sul proprio sito web la parola fine sull’affaire Trout. «Ripeto e ribadisco il fatto che non ho usato il nome di Kilgore Trout per far soldi - afferma Farmer - ho scritto quel romanzo come tributo a Kurt Vonnegut, a testimonianza della mia ammirazione per i suoi bellissimi libri». Come racconta lo scrittore, gli incassi di “Venere sulla conchiglia” furono deludenti, in quanto fu maggiore la confusione pubblicitaria intorno al libro che poi l’effettivo successo editoriale. Farmer si offerse anche di dividere lo scarso ricavo della pubblicazione con Vonnegut, per cercare di sedare gli animi, ma questi rifiutò, lasciando Kilgore Trout figlio conteso ma allo stesso tempo rifiutato da due padri.

 

Al di là delle beghe personali fra i due scrittori, la “creatura” Trout cominciò a dare prova di vita propria. «Molte delle storie che conosco me le ha raccontate Kilgore Trout. Dio gliene renda merito»: questo è l’incipit del racconto “Nuove idee” che appare sulla rivista Cyborg (ed. Star) nel luglio-agosto del 1991. Si tratta di un racconto inedito in Italia tradotto per l’occasione da Daniele Brolli. Povero Kunnegut, che di nuovo vede il proprio nome affibbiato a un racconto di Kilgore Trout che non ha mai scritto!

Nel 1996 infatti Daniele Brolli fa outing con l’uscita della raccolta “Segrete identità” (Baldini&Castoldi): è un “falsario”! (Brolli usa questa parola, ma chi scrive preferisce definirlo un “borgesiano”, perché le parole appartengono a chi le legge, non a chi le scrive, ed innumerevoli sono i testi che Borges scrisse attribuendoli ad altri.) I racconti di grandi autori proposti ad inconsapevoli riviste in realtà sono scritti da lui: novello Farmer, ha voluto anche lui ispirarsi all’amato Vonnegut e dare vita al suo personaggio più celebre e rappresentativo, scrivendo quindi un racconto con protagonista Kilgore Trout. «Con Kilgore Trout - spiega

Brolli nell’introduzione al citato racconto - Vonnegut ha inventato una versione ironica di se stesso che è stata la chiave di volta su cui si è basato questo tentativo di falsificazione.» La “letteratura mimetica” di Brolli si rifà all’idea che è più importante l’immaginario collettivo, l’insieme delle opere piuttosto che le firme su queste apposte, e per anni ha amato scrivere “alla maniera di” grandi autori, e il fatto che alcuni editori non abbiano notato la differenza vuol dire che l’intento è pienamente riuscito.

Nel racconto “Nuove idee” conosciamo anche un progetto letterario di Trout: «un romanzo di fantascienza che stava scrivendo per una casa editrice del Nebraska. Si trattava di un editore specializzato in necrologi che voleva produrre una strenna per i necrofori suoi clienti. [...] Il romanzo era incentrato su un trafugamento di cadaveri che venivano utilizzati come souvenir dagli extraterrestri.»

Durante la serata protagonista del racconto, l’io narrante (Kurt Vonnegut, anche se attraverso la penna di Daniele Brolli) afferma che Trout gli ruba abilmente l’idea per una storia, e avverte il lettore: «prima o poi troverò quanto successe quella notte interamente riscritto e pubblicato sotto forma di racconto da Kilgore Trout. Perciò vi ho voluto avvertire che si tratta di una storia vera: dovete credere a ogni parola che leggerete.» Un autore falso che attraverso un falso personaggio avverte che un altro falso personaggio scriverà... una storia vera!

Nel 1991 troviamo l’entità Trout fra le “Ballate” di Stefano Benni: malgrado l’argomento sia tutt’altro, a pagina 25 del suddetto libro campeggia la ballata intitolata “Kilgore Trout”.

Albert Finney interpreta Kilgore Trout
Albert Finney interpreta Kilgore Trout
Nel 1999, l’anno dell’accorato sfogo di Farmer, Trout acquista anche un’identità visiva in quanto esce nei cinema il film “La colazione dei campioni”, diretto da Alan Rudolph e da egli stesso adattato dal testo vonnegutiano: nei panni di Trout troviamo un irresistibile Albert Finney. L’attore britannico regala una forte carica di sgradevolezza allo scrittore, interpretandolo come un vecchio sporco e un po’ tocco, che cammina parlando da solo, ha visioni immaginarie e spesso stringe fra le mani un proprio libro, ritrovato in un pornoshop. Nel delirante film di Rudolph troviamo ovviamente citati alcuni libri di Trout, come “L’idiota ballerino” e “Il buttafuori di Bagnialto”, ma soprattutto abbiamo la rappresentazione visiva del suo libro “Ora si può dire”. «È un romanzo di fantascienza che ho scritto molti anni fa - spiega il Trout sullo schermo. -
La premessa è che la vita è un esperimento del creatore dell’universo, che desidera collaudare una nuova specie di creatura.» Il testo, va sottolineato, è molto fedele all’originale vonnegutiano, e la caratterizzazione di Albert Finney è - secondo chi scrive - l’unico motivo che giustifichi la visione del film.

Sempre nel ’99 Trout dà ancora una volta prova di essere diventato entità autonoma. Nel romanzo “La terra sotto i suoi piedi” (The Ground Beneath Her Feet) lo scrittore indiano Salman Rushdie si lancia in un elenco letterario che ha il sapore divertito del falso catalogo Fortsas (già discusso in un precedente articolo). In un elenco di autori e di generi letterari, fa capolino la seguente citazione: «fantascienza di Kilgore Trout». Non viene spiegato chi egli sia, né se si riferisca al vero falso Trout di Vonnegut o al falso vero Trout di Farmer, ma che Rushdie stia giocando con pseudobiblia e pseudoautori lo si evince dalla successiva citazione: «L’unico e solo Don Quixote dell’immortale Pierre Menard», a cui abbiamo dedicato spazio nell’articolo di questa rubrica dedicato alle Finzioni di Jorge Luis Borges. Paradossalmente, questo racconto in cui Pierre Menard riscrive identico il “Don Chisciotte” di Cervantes, creando un’opera però diversa, è stato citato da Daniele Brolli fra gli esempi dell’attività di “falsario” a cui si è ispirato.

Nel 2008 Kevin J. Pecore dedica il suo romanzo “My Iron Lung”, fra gli altri, a Kilgore Trout, «per avermi insegnato il vero significato del Natale.»

L’ultima (per ora?) prova dell’esistenza di Kilgore Trout arriva il 1° aprile 2009, quando lo scrittore italiano Giovanni De Matteo si diverte a giocare un tiro mancino ai lettori del Blog Urania, recensendo in anteprima il numero 77 della collana Urania Collezione dedicato al

Falsa copertina troutiana di Franco Brambilla
Falsa copertina troutiana di Franco Brambilla
romanzo “Watchmen - 25 anni dopo”. «La storia di questo libro è di quelle da manuale di pseudobiblia e il sottoscritto, venutone a conoscenza in una saletta del caffè in quel di Segrate, ha il piacere di raccontarvela in anteprima»: con queste parole De Matteo introduce il suo scherzo, raccontando di come lo scrittore Charles Stross abbia creato un proprio romanzo partendo dai personaggi a fumetti di “Watchmen” di Alan Moore, e di come per pubblicarlo abbia scelto lo pseudonimo di Kilgore Trout: Urania Collezione, continua De Matteo, aveva rispolverato il vecchio romanzo e lo avrebbe pubblicato mantenendo lo pseudonimo.

Tutto uno scherzo (purtroppo!), con tanto di falsa copertina a cura di Franco Brambilla, ma quante possibilità ci fossero che De Matteo scegliesse per il suo gioco proprio il nome di Kilgore Trout? Sicuramente la contesa Vonnegut-Farmer rende il nome molto famoso nell’ambiente fantascientifico, ma a noi piace pensare che questo non sia altro che l’ennesimo vagito che testimonia la nascita a vera vita del falso Trout.

Nel 1973 Kurt Vonnegut, preso nel gorgo del gioco letterario rappresentato dal romanzo “La colazione dei campioni”, scrive: «So chi inventò Kilgore Trout. Io.». Nel 1988, in un’introduzione a “Venere sulla conchiglia”, Philip José Farmer scrive: «Quando mi sedevo alla macchina da scrivere ero Kilgore Trout.» Nel 1991 Daniele Brolli si maschera da Vonnegut e scrive che «Kilgore è stato un uomo abile in ogni tipo di espediente». Nel 1999 Salman Rushdie scorge un romanzo di Kilgore Trout in una libreria, e nel 2009 Giovanni De Matteo annuncia per scherzo la ripubblicazione di un altro suo romanzo. Convinti che non siano gli autori a inventare i personaggi, ma i personaggi stessi a “visitare” gli autori (come diceva anche Dostoevskij), non ci resta che aspettare la prossima “apparizione” di Kilgore Trout... il più vero dei falsi autori.