Arriva alla seconda uscita la collana “Bruce Lee e il grande cinema delle arti marziali”, a cura della Gazzetta dello Sport, che presenta un altro grande classico del gongfupian, del cinema cioè che mostra combattimenti a mani nude.
“Il furore della Cina colpisce ancora” (Tang shan da xiong, o The Big Boss, 1971) è l’eterno secondo: ogni ciclo dedicato a Bruce Lee, sia in video che in TV, presenta questo titolo dopo “Dalla Cina con furore”, semplicemente perché questo è l’ordine in cui sono apparsi nei cinema italiani questi due film.
“Il Furore” viene proiettato nel nostro Paese la prima volta il 25 giugno 1973 sfruttando il successo riscosso con “Dalla Cina”, ma in realtà è il primo grande successo da attore di Lee. Anche se fin da ragazzo recitava in produzioni cinematografiche di Hong Kong, il fallito tentativo di “sfondare” negli Stati Uniti gli aveva guadagnato a sorpresa una maggiore notorietà in patria: il suo marginalissimo e stereotipato ruolo di Kato nel telefilm “Il Calabrone Verde” (Green Hornet, 1966-67) gli permise di ottenere il ruolo di protagonista nel film “Il Furore” di Lo Wei.
Una fotografia improvvisata, attori di scarsa bravura e scelte registiche di dubbio gusto (Lee stesso si scontrò spesso sul set con il regista perché trovava ridicole alcune trovate) fanno de “Il Furore” un pessimo film... se non fosse interpretato da Bruce Lee. Ma al di là di qualsiasi giudizio a posteriori, alla prima proiezione nelle sale di Hong Kong - il 3 ottobre 1971 - dovette intervenire la polizia per sedare l’entusiasmo sciabordante degli spettatori: il mito era nato!
Cheng, il protagonista, fa sullo schermo quello che ogni cinese sognava di fare da secoli: ribellarsi all’oppressore di turno (qualsiasi esso sia) e prendere a calci quelli che hanno sempre guadagnato sulla pelle e il sangue dei cinesi - quand’anche fossero i cinesi stessi! (In un recente film, ancora inedito in Italia, Jackie Chan fa dire a un suo personaggio che i cinesi non opprimono gli altri cinesi... purtroppo la Storia gli dà torto)
Il film racconta di poveri immigrati cinesi approdati in Thailandia in cerca di lavoro: lo trovano, certo, ma si parla di bassa manovalanza, malpagata e molto somigliante alla schiavitù. In realtà la fabbrica di ghiaccio dove Cheng e i suoi amici lavorano è una copertura per il commercio di droga di Hsiao (il “Big Boss” del titolo). Alcuni lavoratori spariscono perché avevano scoperto il segreto, e molti li seguiranno: nel bagno di sangue che ne segue, solo Cheng riuscirà a sopravvivere e a farla pagare al boss locale.
In un cast costituito per lo più da pessimi attori, è da notare su tutti Han Ying-Chieh, attore e coreografo di grande spessore, nonché inventore del trampolino usato dagli interpreti marziali per tirare tecniche volanti. James Tien, cugino di Cheng nel film, è un bravo caratterista purtroppo conosciuto in Italia solo ai ruoli da spalla di Lee, mentre troviamo in un piccolo ruolo la bella Nora Miao, protagonisa di altri due film accanto a Lee e di altri gongfupian minori come “Il ritorno di palma d’acciaio” (1976), sequel spurio di “Dalla Cina con furore”, sebbene diretto dallo stesso Lo Wei.
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