Fra i pochi pseudobiblia fantascientifici ne spiccano due creati dal celebre Philip K. Dick (1928-1982), entrambi nati negli anni Sessanta.
Il primo è del 1962 e lo si ritrova all’interno del romanzo “The Man in the High Castle”, uscito in Italia per la prima volta nel 1965 con il titolo “La svastica sul sole” (Science Fiction Book Club n. 4); dopo numerose ristampe con lo stesso nome, nel 2001 la Fanucci decide di presentarlo con il più letterale “L’uomo nell’alto castello”.
Il romanzo appartiene al genere detto “ucronia”, neologismo ottocentesco per indicare la narrazione di eventi immaginari che scaturiscano dal differente svolgersi di un reale evento storico: è un gioco del “e se invece...”, una “storia alternativa” (come preferiscono chiamarla gli anglofoni) che ha affascinato molti scrittori e lettori.
Ne “La svastica sul sole” Dick ipotizza un mondo in cui le forze dell’Asse abbiano vinto la Seconda guerra mondiale e l’America sia divisa in due: una parte sotto il controllo del Reich, un’altra gestita dai giapponesi. Le tecniche di sterminio nazista hanno invaso il mondo, in molti casi compiendo veri e propri genocidi. Le due grandi super-potenze di questo mondo (Germania e Giappone) sono sull’orlo di un conflitto finale, mentre la gente cerca di vivere la propria vita immersa in questo incubo.
In questa società (decisamente poco appetibile) uno dei protagonisti viene a contatto con un libro dal titolo molto strano: “La cavalletta non si alzerà più” (The Grasshopper Lies Heavy), scritto da Hawthorne Abendsen. «È una citazione dalla Bibbia»: così spiega un personaggio il curioso titolo di questo libro.
«Titolo esplicitamente biblico» è il commento di Goffredo Fofi nella postfazione dell’edizione Fanucci 1997, che pare seguire quello del personaggio citato più sopra. Persone meno esperte della Bibbia potrebbero trovare invece meno ovvio il titolo di questo pseudobiblion, del cui significato Philip K. Dick non darà mai spiegazione. La Bibbia è piena di cavallette o locuste (a seconda della traduzione), e non esiste la frase precisa usata dall’autore come titolo (né in italiano né in inglese). L’espressione che più si avvicina al titolo dello pseudobiblion è tratta dall’Ecclesiaste (12,5): «la locusta si trascinerà a stento», o «la locusta si fa pesante», o ancora «la locusta non salta più», a seconda delle varie versioni e traduzioni. Molti concordano nell’attribuire a questa citazione la paternità del titolo del libro di Hawthorne Abendsen, ma in questo caso sorge un problema. Il dodicesimo capitolo dell’Ecclesiaste è un elenco di metafore per indicare il decadimento fisico dovuto alla vecchiaia umana, comprese le conseguenti difficoltà sessuali: come si sposa questo con il contenuto dello pseudobiblion? Già, ma di cosa parla questo testo?
«È un romanzo giallo?» chiede uno dei personaggi. «Al contrario, è un tipo di narrativa interessante che rientra nel genere della fantascienza», è la risposta. Il testo di Abendsen, paradossalmente, è sì uno pseudobiblion all’interno del romanzo di Dick... ma è anche l’unica cosa vera di tutta la storia! Perché infatti “La cavalletta non si alzerà più” è un romanzo di ucronia anch’esso, e racconta cosa sarebbe successo se i tedeschi e i giapponesi avessero perso la Seconda guerra mondiale e l’America avesse vinto... Un “libro falso”, quindi, che però racconta la verità all’interno di una storia falsa!
«È tutta finzione narrativa» lo descrive una protagonista. «Naturalmente ci sono molte parti romanzate; voglio dire, deve essere interessante altrimenti la gente non lo leggerebbe». Il libro diventa in breve tempo un best-seller mondiale, malgrado sia assolutamente proibito. «Dunque era così. Slavi, polacchi, portoricani, erano i più limitati in quanto a libertà di lettura e di ascolto. Per gli anglosassoni andava molto meglio; c’era la scuola pubblica per i loro figli, e loro potevano frequentare le biblioteche, i musei, i concerti. Ma anche così... “La cavalletta” non era semplicemente un libro riservato a pochi eletti; era proibito, e lo era per tutti. “Lo leggo nei bagni”, disse Joe. “Lo tengo nascosto sotto un cuscino. Anzi, lo leggo proprio perché è proibito”.»
Abendsen, il suo autore, diventa ben presto un personaggio mitologico. Sul retro del libro c’è scritto che «è un ex militare. Ha combattuto nella Marina degli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, è stato ferito in Inghilterra da un carro armato Tigre dei nazisti. Aveva il grado di sergente. Pare che abiti e scriva i suoi libri in una vera e propria fortezza, difesa da ogni genere di armi. [...] E qui non c’è scritto, ma ho sentito dire che è una specie di paranoico; c’è filo spinato elettrificato tutt’intorno alla sua residenza, che si trova in mezzo alle montagne. È difficile arrivare fino a lui.»
Tramite il suo pseudobiblion, Dick può sparare a zero sulla situazione mondiale della sua epoca, mettendone a nudo i difetti ma mai attaccandoli direttamente: egli infatti crea una realtà parallela all’interno della quale i personaggi si compiacciono di non vivere in quell’orribile mondo inventato da Abendsen... che in realtà è quello vero!
Lasciamo a critici migliori lo stabilire come mai Dick abbia usato una metafora biblica per la vecchiaia umana come titolo di uno pseudobiblion di fantascienza ucronica: a noi basta segnalare una squisita operazione letteraria che lo stesso autore ripeterà sette anni dopo.
Joe Fernwright si trova su un pianeta alieno; è un esperto in restauro ed è stato ingaggiato dall’alieno Glimmung per partecipare, insieme a molti altri, al recupero e relativo restauro di un’antica cattedrale sommersa, che però conserva più segreti di quanto si pensi: questo è il soggetto di partenza di “Galactic Pot-Healer”, romanzo del 1969 di Dick che appare per la prima volta in Italia nel 1979 con il titolo “Giù nella cattedrale” (Galassia n. 235), finché nel 1996 la Bompiani non lo ribattezza “Guaritore galattico”.
Su Sirio cinque, chiamato però da tutti “Il Pianeta del Contadino”, Fernwright fa una singolare scoperta: qui esiste uno ed un solo libro! «E la gente non si stanca di leggerlo?» è la domanda consequenziale di Joe. La risposta non è affatto scontata: «Ma cambia»...
Presa una copia di questo libro, Joe si accorge che è senza titolo e senza autore; gli viene spiegato che: «È scritto da un gruppo di creature o entità [...] che registra tutto ciò che accade sul Pianeta del Contadino. Ogni cosa. Grande e piccola». Un giornale allora, più che un libro. No, perché... «è redatto prima [...] Le Calende stendono il loro resoconto; lo registrano nel libro senza titolo continuamente cambiante, e alla fine accade».
Un libro, quindi, fatto di profezie... fin qui niente di nuovo, è vero, in quanto esistono tanti di quei testi pieni di profezie che prima o poi qualcuna se ne avvererà, ma il Libro delle Calende è qualcosa di più.
«Questo solleva una domanda. Qual è la causa? Qual è l’effetto? Le Calende inserirono nel loro testo in continua evoluzione che le Creature della Nebbia si sarebbero estinte. E quelle si estinsero! Allora, furono le Calende a causarne l’estinzione?»
Quello che viene chiamato Libro delle Calende, quindi, è uno pseudobiblion in continuo mutamento, che non è imbrigliato nei limiti e confini della scrittura e dell’impaginazione: è un costante mutare del presente che si fonde nel futuro. La domanda sorge spontanea a Fernwright: «Forse sono citato anch’io, da qualche parte». La risposta è decisamente borgesiana: «Oh, certo [...] Se tu cerchi lungo abbastanza, lo troverai». Ma chi ha il coraggio di sfogliare un libro che può contenere, nero su bianco, la predizione del nostro futuro?
Per intanto, Fernwright trova un passaggio che parla del lavoro che è venuto a svolgere sul Pianeta del Contadino: «l’Impresa comporta la localizzazione, il sollevamento e il restauro di una struttura sommersa, probabilmente di notevole grandezza, dato il numero di tecnici impiegati. Quasi certamente un’intera città o persino una civiltà completa, molto probabilmente di una remota èra del passato». Quindi le Calende, queste misteriose entità autrici del Libro, sono a conoscenza dell’opera di recupero e restauro che sta per avvenire: ma questo è un fatto noto, dov’è la precognizione? si chiede Joe.
«La troverai quando avrai guardato a lungo. È sepolta. Nascosta tra i differenti testi, che sono tutti traduzioni di un testo primario, c’è una linea... un filo. Il filo del passato che entra nel presente, e poi nel futuro. In qualche parte di questo libro, Fernwright, è scritto il futuro di Heldscalla. Il futuro di Glimmung. Il nostro futuro. Noi tutti siamo intrecciati nell’ordito del tempo delle Calende, il loro tempo fuori-del-tempo.»
Sorge un dubbio: le Calende sono entità che conoscono il nostro tempo... o è il nostro tempo ad essere un prodotto delle Calende?
Durante tutta la storia, il Libro si rivelerà pieno di sorprese ma anche ricco di misteri, a dimostrazione di come il gioco degli pseudobiblia possa diventare potente in mano ad un grande narratore.
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