Esistono solo due cose infinite: l’universo e la fantasia dei distributori italiani nell’inventare titoli assurdi per i film. Perdonino i lettori questa parafrasi del celebre motto einsteiniano, ma è perfetta per illustrare l’inesauribile fenomeno dello stravolgimento dei titoli cinematografici in Italia.
Come se non bastasse questa naturale propensione ai “titoli pazzi”, si unisca la scarsa stima per il genere marziale e la formula diventa esplosiva. Ecco di seguito qualche esempio per illustrare questo fenomeno poco lusinghiero per il nostro Paese.
Negli anni Settanta esplose in Italia la passione per il cinema d’arti marziali. Più precisamente, film come “Cinque dita di violenza” e “Dalla Cina con furore” fecero impazzire gli spettatori italiani facendo loro conoscere i gongfupian, film cioè che mostrano combattimenti a mani nude. Vista l’immane entità del fenomeno, i distributori si avventarono su ogni prodotto arrivasse dall’Asia, che costasse possibilmente poco: questo significò che i cinema italiani vennero invasi da decine e decine di film che con il gongfupian non c’entravano assolutamente nulla. Solo pochi all’epoca si resero conto di aver conosciuto, in modo truffaldino, il wuxiapian, il fantasioso genere costituito da cavalieri erranti e spadaccini volanti, che ha conosciuta nuova fama in Occidente dal 2000, con il successo internazionale de “La Tigre e il Dragone”. Ora, perché degli spettatori appassionati di gongfupian, di gente che si picchia sullo schermo, avrebbero dovuto andare al cinema a vedere un wuxiapian, dove non si picchia nessuno e invece volano tutti? Ecco che in quegli anni la distribuzione italiana diede il meglio di sé: inventò titoli fantasiosi e a volte chilometrici che inneggiassero alla violenza smodata (per esempio, “Massacro di uomini violenti” del 1973) per far sì che lo spettatore ignaro cadesse nella trappola.
Così capita che ad un buon wuxiapian come “The Fast Sword” (1971) venga affibbiato il titolo di “Furia gialla”: la furia della violenza, ovviamente, e il giallo dei cinesi! Esperimento ripetuto con “Femmine e spade per una belva gialla”: la furia diventa una belva, rimane gialla ma ci sono in più anche le femmine - non le donne, si badi, ma le femmine! - che in un film di genere non guastano mai.
Un vero caposaldo come “The One-Armed Swordsman” (1967) di Chang Cheh viene ribattezzato “Mantieni l’odio per la tua vendetta”. Al suo remake va meglio in quanto ottiene un dignitoso “La mano sinistra della violenza” (gioco di parole con il fatto che al protagonista manca il braccio destro!), mentre al suo sequel va peggio, perché viene distribuito sia come “La sfida degli invincibili campioni” che come “La sfida degli invincibili colossi del Karate”.
Quest’ultimo appartiene a quella schiera di film in cui i distributori italiani si sono sbizzarriti sfruttando la passione per il karate nata in Italia sulla scia di questo genere di film. In realtà nessuna delle pellicole arrivate in Italia mostrava tecniche di karate (se non in negativo: il karate è un’arte marziale giapponese, e questi nei film cinesi sono sempre “cattivi”), ma i distributori presero atto che l’italiano medio conosceva solo due stili di lotta: il karate e il kung fu. Questi solo dovevano essere i nomi che dovevano apparire nei titoli!
Così il kolossal di Chang Cheh sugli ultimi giorni del tempio di Shaolin diventa “I giganti del karatè”; un altro ottimo gongfupian diventa “Implacabili colossi del karatè”; la discutibile operazione che fuse insieme alcuni wuxiapian di Cheh venne intitolata “La mano violenta del karatè”; sempre un altro titolo di Cheh diventa “Gli scatenati campioni del karatè”, mentre un titolo taiwanese minore è conosciuto come “I tre magnifici del Karatè”. Va ripetuto che in nessuno di questi e molti altri titoli viene presentata una qualsiasi tecnica di karate.
Dopo la morte di Bruce Lee, il suo nome divenne sinonimo di gongfupian e la richiesta di questo tipo di film crebbe a livelli esponenziali: il problema però era che l’attore ne aveva interpretati solo quattro da protagonista. Poco male: distributori senza troppi scrupoli inondarono il mercato di titoli posticci in cui (per lo più solo in Italia!) campeggiava il nome di Lee nel titolo. “Bruce Lee Chen, l’immortale”, “Bruce Lee contro la Setta dei Serpenti”, “Bruce Lee terrore d’Oriente”, “Bruce Lee: The Flying Dragon”, “Bruce Lee: l’invincibile del kung fu” e via per decine e decine di titoli, fino ad arrivare al chilometrico “I 12 colpi segreti del Kung Fu di Bruce Lee l’invincibile”: sono tutte produzioni a basso costo di pessima fattura che hanno annacquato il genere marziale fino a saturarne il mercato... e dove Lee non appare neanche in sogno!
Nelle produzioni italo-cinesi il risultato peggiora sensibilmente. Un esempio per tutti è “...Altrimenti vi ammucchiamo” (1973), chiaro scimmiottamento di un film con la coppia Bud Spencer-Terence Hill, che venne distribuito - più dignitosamente - anche come “Kung Fu nel pazzo West”. In seguito apparve in home video con il titolo “I fratelli del kung fu”.
Con il titolo emblema di quest’epoca, “Con una mano ti rompo, con due piedi ti spezzo” (One Armed Boxer, 1971, di e con Wang Yu), abbandoniamo gli anni Settanta, ricordando che quelli qui citati sono una goccia nel mare della pessima titolazione imperante in quel periodo.
Gli anni Ottanta sono proprietà di Chuck Norris, i cui titoli non hanno subìto grossi stravolgimenti nella loro distribuzione italiana... tranne il caso di “Missing in Action” (1984).
Per un qualche oscuro motivo, questa espressione americana per indicare gli “scomparsi in azione” non venne giudicata degna di apparire come titolo: si scelse quindi il discutibilissimo ed inspiegabile “Rombo di tuono”. All’uscita nel 1985 del secondo film (anche se in realtà racconta vicende precedenti al primo), sarebbe stata scelta logica intitolarlo “Rombo di Tuono 2”... e invece no, lo si ritrova come “Missing in Action”: il titolo originale del primo film!
Nel 1988 si cercò di riparare la situazione con l’uscita del terzo film: “Missing in Action 3” non venne ribattezzato ed uscì con lo stesso titolo in Italia, dimenticandosi però che qui non esiste un numero 2: da “Missing in Action 1”, quindi, si passa direttamente a “Missing in Action 3”...
Gli anni Novanta appartengono di forza a Jean-Claude Van Damme. Il suo maggior successo dell’epoca fu sicuramente “Bloodsport”, che in Italia diventò il discutibile “Senza esclusione di colpi!”. Attenzione al punto esclamativo: la RAI qualche anno dopo trasmise “No Holds Barred” (1989) con Hulk Hogan, ribattezzandolo “Senza esclusione di colpi”, senza punto esclamativo.
La febbre per la kickboxing impazza, e vengono distribuiti molti film su quest’arte marziale, come “American Kickboxer” (1991) che, senza un motivo valido, viene distribuito come “Senza esclusione di colpi 2”, millantando un inesistente collegamento al film con Van Damme. Però “Bloodsport” ha avuto realmente un sequel (Bloodsport II: the Next Kumite, 1996), che però è stato trasmesso in televisione con il titolo “Colpi proibiti 2”, spacciandolo quindi per un sequel di “Death Warrant” (1990), film con Van Damme uscito con l’inutile titolo “Colpi proibiti”.
Dopo quest’intricata ragnatela di titoli, per fortuna i successivi film con Van Damme non hanno subìto strane modifiche nella loro distribuzione.
Altri film cadono nella trappola di una titolazione folle. La serie “No Retreat, No surrender” arriva in Italia grazie proprio a Van Damme: la sua piccola apparizione nel primo film (1985), fa guadagnare alla pellicola il titolo di “Kickboxers: vendetta personale”. Il secondo film (1989) arriva su pay-TV con il titolo “Artigli di tigre - il ritorno”: forse il “ritorno” del titolo si ricollega alla presenza di Cynthia Rothrock nella pellicola, e visto che qualche anno prima in televisione un suo titolo è stato ribattezzato “Cop Girl - Artigli di Tigre” (Tiger Claws, 1992), magari i distributori hanno voluto creare un collegamento fra film che non hanno nulla in comune. Comunque “No Retreat, No Surrender 2” viene stravolto dalla Legocart che lo distribuisce in una pessima edizione DVD con il titolo “La vendetta dei maestri di Kickboxing”: si dovrà aspettare l’ottima edizione Stormovie per ritrovare il primo titolo.
Il terzo film della serie (1989) segue lo stesso iter: appare in televisione con il titolo “American Kickboxing”, passa per l’edizione Legocart come “Quando la vendetta ha quattro braccia” e ritorna “American Kickboxing” sotto Stormovie.
Nello stesso periodo un’altra serie di film cade sotto i colpi della pessima distribuzione. “Once Upon a Time in China” racconta in sei pellicole le avventure di Wong Fei-hung, eroe molto amato in Cina e qui interpretato quasi sempre da Jet Li. I primi episodi rimangono inediti fino a pochi anni fa, mentre il quarto viene distribuito con il titolo “L’ultimo combattimento di Wong”, rifacendosi al titolo del 1978 “L’ultimo combattimento di Chen” (discutibile operazione che riproponeva spezzoni inutilizzati di Bruce Lee ormai morto da cinque anni).
Se però serie di film venivano presentati con titoli non collegati fra loro, negli anni Novanta avveniva anche il contrario. “Talons of the Eagle”, “Back in Action” e “Tough and Deadly” sono tre film totalmente scollegati tra loro, a parte la presenza dello stesso attore protagonista, Billy Blanks: è bastato questo perché queste pellicole in Italia venissero presentate come tre episodi dell’inesistente serie di “Sotto i colpi dell’aquila”!
I film di arti marziali non sono certo gli unici ad esser colpiti dai “titoli pazzi” nella distribuzione italiana, ma di sicuro sono in vetta alla classifica in quanto a fantasia. Se poi si considera che molti film hanno cambiato titolo nel passaggio dal cinema alla videocassetta, al DVD e alla trasmissione in TV, si capisce come lo spettatore ignaro possa perdersi in questa giungla. Chi infatti abbia visto in videocassetta “Un testimone da proteggere”, poi abbia visto in TV “Uno scomodo ostacolo” e poi abbia noleggiato il DVD Stormovie “Terminator Woman”, saprà che è sempre lo stesso film del ’93, diretto e interpretato da Michel Qissi?
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