Un osservatore terrestre che arrivi su un pianeta lontano e si metta a commentare o addirittura a giudicare le usanze locali è uno stratagemma letterario ampiamente usato dalla fantascienza di ogni età. Se questo osservatore, invece di limitarsi a commentare e chiosare, decide di agire e di modificare gli equilibri che governano il pianeta, entra in ballo un problema morale: ha il diritto di farlo?
Chi abbia seguito anche solo di sfuggita la lunga saga di Star Trek sa che esiste una “Direttiva primaria”: mai interferire con le culture di altri popoli. (Farà forse sorridere il pensare che questo ottimo proposito è stato raramente seguito dal paese che ha dato i natali al telefilm, però va lodata almeno la buona volontà!) Ma se non esistessero Federazioni e Regolamenti, se non esistessero ordini o altri a cui rivolgersi: se, insomma, un uomo solo si trovasse a poter fare qualcosa che cambiasse totalmente un intero pianeta, cosa farebbe? Quand’anche fosse disposto ad assumersene la responsabilità, avrebbe il diritto etico di farlo?
La questione fu affrontata in almeno due romanzi dai fratelli co-autori russi Arkadij e Boris Natanovič Strugackij (o Strugatsky nell’accezione anglofona): da entrambi questi romanzi sono state tratte delle riduzioni cinematografiche, che verranno qui presentate in due tempi.
Fra il 2008 e il 2009 la Russia ha presentato un film epico diviso in due parti, la stessa operazione fatta contemporaneamente in Cina con “La battaglia dei Tre Regni” (Red Cliffs). Il titolo è “Обитаемый остров” (Abitàiemij òstrav - L’isola abitata) a cui va aggiunto, nel secondo film, “Схвáтка” (Skhvàtka - Il conflitto). A livello internazionale viene distribuito come “The Inhabited Island”.
Diretta da Fëdor Sergeevič Bondarchuk, figlio di quel Sergej celebre attore ma anche regista di film storici come “Guerra e pace” (1965-67) e “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” (1983), la pellicola riprende, ampliandolo e regalandogli maggior respiro, il romanzo omonimo, distribuito nei paesi in lingua inglese sia come “The Inhabited Island” che come “Prisoners of Power”. È purtroppo inedito in Italia.
Anno 2157. A causa di un guasto alla propria astronave, Maksim Kammerer (Vasily Stepanov) naufraga su un pianeta che in seguito scoprirà chiamarsi Saraksh. Viene trattato come un sovversivo dagli abitanti perché, come pian piano verrà fuori, il paese è infiammato da scontri causati da gruppi di ribelli che vorrebbero spodestare i Padri, figure misteriose che tengono la popolazione sotto un feroce giogo militare. Due volte al giorno dei grandi ripetitori trasmettono nell’aria onde speciali che provocano acute fitte di dolore a tutti ribelli, in realtà nati con una particolare malformazione e per questo chiamati “degenerati”.
Maksim dapprima si schiera con il potere e insieme all’amico Gaal (Pyotr Fyodorov), il soldato che l’aveva accompagnato in città, si arruola nelle milizie. Capisce però ben presto che i soprusi dei soldati, agli ordini di potenti iniqui, sono troppo esagerati perché quella si possa considerare “la parte giusta” con cui schierarsi. Da soldato diventa ribelle, dice addio - per il momento - alla donna che ama, Rada (Yuliya Snigir), sorella di Gaal, rapisce quest’ultimo e col suo aiuto decide di organizzare la rivolta dei “degenerati”, farli unire all’altro grande popolo ribelle che abita il pianeta (in una zona chiamata L’Isola) e sferrare così il più grande attacco al potere dei Padri. Ma alla fine avrà una sorpresa...
Il film non ha assolutamente nulla da invidiare ad una qualsiasi grande produzione statunitense, anzi potrebbe definirsi un’evoluzione dell’impatto visivo a cui ci hanno abituato i molti titoli provenienti oltreoceano: è spettacolo per gli occhi, sì, ma con un forte messaggio che coinvolge il cuore per arrivare alla mente.
Quando questo film verrà conosciuto da altri critici (migliori di chi scrive) fioccheranno parallelismi con “Blade Runner” di Ridley Scott, titolo sempre pronto nella penna di ogni critico cinematografico che si rispetti. Visto che chi scrive non è un critico cinematografico ma solo un appassionato, può permettersi il lusso di dire che “The Inhabited Island” è la summa di tanti film di fantascienza tranne “Blade Runner”: pensare troppo a questo titolo fa sì che si rischi di perdere di vista tutti gli altri!
Essendo un film del 2010 tratto da un romanzo del 1969, è inevitabile ma lo stesso gustoso un accostamento tra moderno e classico, tra nuovo ed antico, che il regista e soprattutto gli scenografi sono riusciti a rendere alla perfezione. Astronavi supertecnologiche che funzionano grazie ad enormi ingranaggi; automobili dal design avveniristico che sfrecciano fra bancarelle sporche e maleodoranti, fra cui addirittura troviamo un dentista che opera all’aria aperta! La battaglia finale, che - in totale controtendenza con il gusto statunitense - ha tempi molto ridotti e non grava sulla pazienza dello spettatore, viene combattuta da macchine da guerra tecnologiche... usate come carri medievali con tanto di araldo in cima!
Non possono mancare citazioni più o meno manifeste. Abbiamo creature mostruose che hanno una vista a raggi infrarossi molto simile a quella del famoso “Predator”; abbiamo un paesaggio cittadino che può essere benissimo visto come una rappresentazione moderna della Metropolis di Fritz Lang; abbiamo scene di combattimento corpo a corpo che nulla hanno da invidiare a quelle viste in “Matrix”. Una menzione particolare merita un’altra citazione che il regista inserisce al di là del testo letterario. Appena Maksim atterra sul pianeta, ovviamente non comprende le lingue parlate dagli autoctoni: per risolvere il problema, sfila dalla tasca il suo “babelfish”, se lo infila nell’orecchio e da quel momento comprenderà tutte le lingue parlate dalle persone che incontrerà. Ricordiamo che il “Pesce di Babele” è una delle tante geniali invenzioni letterarie dello scrittore britannico Douglas Adams, il quale ne “Guida Galattica per Autostoppisti” (1979) così la descrive: «Si nutre dell’energia delle onde cerebrali, ma non delle onde cerebrali della persona nella quale si trova, ma di quelle delle persone che le si trovano intorno. Assorbe tutte le frequenze mentali inconsce di tale energia [...] Il risultato pratico di tutto questo è che se vi ficcate un pesce Babele in un orecchio, immediatamente capirete qualsiasi cosa vi si dica in qualsivoglia lingua» (traduzione di Laura Serra). Va inoltre ricordato che in omaggio all’invenzione adamsiana un servizio Internet di traduzione istantanea ospitato da Yahoo! è chiamato proprio “babelfish” (it.babelfish.yahoo.com).
“The Inhabited Island” è, come si diceva, innegabilmente una gioia per gli occhi, soprattutto per lo spettatore sazio degli immutabili standard delle pellicole statunitensi e curioso di “altre” cinematografie. Ma è solo un elemento di un film dalla durata complessiva di 220 minuti, quasi quattro ore senza un solo attimo di noia, vista anche la mole di avvenimenti da narrare.
Un altro elemento è la “fantascienza sociale”, quel tipo di fantascienza che in realtà non fa altro che rappresentare la realtà in cui vivono gli autori, il preciso momento storico, cambiando nomi e luoghi per evidenti motivi censori (o peggio, persecutori). Non è difficile scorgere nel mondo di Saraksh un’immagine dell’URSS in cui vivevano i fratelli Strugatsky: il capo dei capi si fa chiamare “Papà”, e visto che Stalin veniva chiamato “piccolo padre”, non è azzardato asserire che il “pianeta lontano lontano” in realtà altri non è che il nostro, e che quella gente con usanze strane altro non è che l’esagerazione dei nostri peggior difetti.
Ma c’è ancora un altro elemento, fondamentale: l’elemento che contraddistingue l’opera dei fratelli russi: la responsabilità.
Maksim aborrisce lo status quo che vige su Saraksh, ma che diritto ha lui di criticarlo, visto che non ne fa parte? Tutta la storia si basa sul suo tentativo di sovvertire un sistema disumano e discriminante, di abolire una feroce dittatura e liberare la gente... ma è sicuro che la gente voglia essere liberata? Quand’anche Maksim accetti su di sé il peso della decisione, l’intera responsabilità di distruggere dalle fondamenta l’ordine di un intero pianeta, ha il diritto etico di farlo?
Alla fine del film, un colpo di scena metterà Maksim di fronte al suddetto interrogativo, ed egli dovrà prendere la decisione più importante della sua vita... anzi, la decisione più importante della vita di tutti gli abitanti del pianeta Saraksh. Quale? Perdonerete se preferiamo non svelare la fine del film, sperando che magari spinti dalla curiosità vi facciate il regalo della copia in DVD reperibile nei migliori siti internazionali di vendita on line.
Il film si chiude con una citazione particolare da Robert Penn Warren (1905-1989), «Bisogna trarre il bene dal male, perché è tutto ciò che si può ottenere»: com’è specificato, è la citazione che apre un’altra opera dei fratelli Strugatsky, “Пикник на обочине” (Piknik na obocine). Malgrado quest’opera abbia conosciuto due traduzioni diverse in Italia (“Picnic sul ciglio della strada” per Editori Riuniti 1982 / Marcos y Marcos 2003 e “Stalker” per Urania Mondadori 1988), è assente in queste la citazione del poeta e scrittore statunitense Premio Pulitzer.
Decidere da soli le sorti di un intero pianeta è giocare a fare Dio con la vita degli altri, e si sa che... Trudno byt’ bogom, è difficile essere un dio, come recita un altro romanzo dei fratelli Strugatsky (stavolta edito in Italia!), il cui adattamento cinematografico presenteremo nella prossima puntata.
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