Come vivono i morti
di Derek Raymond
traduzione di Alberto Pezzotta
Pag. 256 - Euro 13,50
ISBN 88-8237-096-8
"Un grande romanzo noir. Nero e velenoso come il più terribile degli incubi."
Massimo Carlotto
"Ecco un autore aspro, lacerante: racconta il lato oscuro con la forza di un Ellroy, arricchita da un dolente senso di pietà umana che si traduce in squarci di assoluta poesia."
Giancarlo De Cataldo
"Romanzo del dolore di vivere, della disperazione assoluta, Come vivono i morti è un gioiello in un’opera che non può essere paragonata a nessun’altra. Duecento pagine brucianti e ghiacciate, di una bellezza oscura e velenosa, da cui si esce svuotati, scossi, come scampati a un naufragio."
Le Monde
A Thornhill, poco fuori Londra, c’è una grande villa in decadenza. Un tempo le sue stanze risuonavano di un canto melodioso, ma ora non si ode che silenzio. Gli interni sono bui e i muri scrostati, la pioggia goccia monotona dai soffitti. L’affascinante Madame Mardy, giunta anni prima dalla Francia a seguito del marito, con la sua voce delicata e i suoi modi garbati, è scomparsa.
Ma c’è qualcosa di inquietante nel modo in cui la donna, negli ultimi tempi, si era fatta impalpabile e quasi evanescente, prima di sparire del tutto. C’è qualcosa di angosciante nel vuoto che ha lasciato nel paese.
A14, sezione Delitti Irrisolti. Al sergente senza nome piace lavorare da solo, e di andare a Thornhill viene incaricato lui. Qui trova un’accoglienza gelida, un clima di opprimente omertà. Alla piccola stazione di polizia locale gli uomini di paglia in divisa volgono lo sguardo altrove, sperando in segreto che quel detective sgangherato mandato dalla capitale non colga nei loro occhi il luccichio sinistro dei corrotti.
Il caso sembra fatto apposta per lui, e per i suoi metodi di indagine: atteggiamento provocatorio, maniere rudi, nessun rispetto per i superiori. Ma un grande rispetto per la dignità e la sofferenza umana: "Sarebbe troppo semplice accontentarsi di giustizia e logica. Che cosa ce ne faremmo senza la pietà?" Grazie a questi modi schietti, il sergente saprà farsi strada in quella provincia impietosamente descritta, dalle fabbriche chiuse alle campagne desolate, dai vecchi alcolizzati del pub ai giovani senza futuro. Per scoprire, al fondo dell’indagine, un segreto crudele come lo stesso male di vivere, spietato come la follia dell’amore.
Nel terzo capitolo della saga della Factory, Raymond approfondisce la dissoluzione del poliziesco classico per regalarci un noir metafisico, intriso ancora una volta del dolore delle vittime.
L’ingenuità delle opere fallite
di Hugues Pagan
traduzione di Luciana Cisbani
Pag. 352 - Euro 15,50
ISBN 88-8237-095-X
"E per il bilancio finale, l’unica innocenza è l’ingenuità delle opere fallite."
Domenica, ore ventitré. Sessanta minuti all’inizio del turno di notte. Ma la ’Strada’ non aspetta, e all’orecchio dell’ispettore capo Schneider arriva la notizia che Mayer è morto.
Potrebbe essere un caso di routine ma Mayer, in quel mondo che comincia a vivere dopo le dieci di sera, era un pesce grosso. Forse il più grosso.
Schneider, il solitario lupo grigio che infesta la città, ha la sensazione che quell’indagine possa essergli sottratta. Sono troppi gli interessi in gioco. Bisogna stringere i tempi: una settimana non stop in cui perquisizioni e rilevamenti, arresti e interrogatori si susseguono febbrili.
Perché Schneider questo caso lo vuole chiudere. Forse è una delle poche cose che per lui hanno ancora importanza: dietro il nome di Mayer spunta quello di un altro boss, Gallien, e più indietro ancora c’è un ricordo, c’è la storia di una vendetta e di un uomo che ha sprecato la sua grande occasione e al quale non resta via di scampo. Così, sotto un meccanismo poliziesco minuzioso e ben congegnato, i veri protagonisti diventano le anime perdute di una città buia e piovosa. Come il Comandante, reduce dell’Algeria, che vive come un barbone sui tetti della banlieu. O la bella Cherokee, il passato che avrebbe potuto essere, la cui presenza aleggia sulla storia come un fantasma; e Dinah, sinuosa creatura della notte, che indossa il ruolo di femme fatale come uno dei suoi aderentissimi abiti.
Con un tono irrimediabilmente francese, Pagan si ricollega ai miti del romanzo nero americano, pur trattando i grandi archetipi del genere con una visione e uno stile del tutto personali; e improvvisa un blues di vite naufragate, che si ripercuote all’infinito sui cerchi "fatti di smog e di volute di nebbia in controtempo" della Città.
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