Continuiamo a rovistare nei dossier segreti di Ora Zero e Sole di fuoco, conun occhio al Professionista considerato che il Clan dei Dragan troverà una ssua collocazione anche in questa serie
Appunti e osservazioni tratte dalle ricerche di Georg Bruckner con la collaborazione del professor Harpàd Hrazany, dell’Istituto storico di Budapest, Yana Kova, ricercatrice del centro etnologico della cattedrale di S. Vitus a Praga e di Milos Mistokalavas della sezione Studi esoterici dell’università di Tessalonica.
Cavalieri. Brutali, selvaggi, emersi dalle pianure caucasiche, dilagati per valli, sulle cime di aspre montagne coperte di boschi, in agguato su contrafforti di roccia, tra burroni e precipizi avvolti nella nebbia. I Dragan, all’inizio della loro storia, non avevano nome, né titoli nobiliari. Erano guerrieri a cavallo, cinti di corazze di cuoio bollito e pelli di lupo, sul viso portavano strani tatuaggi blu, erano divisi per clan e adoravano il vento, gli animali feroci: il corvo, il lupo, l’orso. Venivano dalle regioni oltre il mar Nero spinti a ondate da lande ancor più lontane e selvagge. C’erano, nei loro riti, nei racconti tramandati oralmente al fuoco dei bivacchi, tradizioni, leggende e superstizioni originate nel centro dell’Asia e assorbite da popoli conquistati lungo la via di un incessante vagabondaggio. Nomadi braccati da altri nomadi. Gli uomini si rasavano il capo lasciando solo ciuffi e trecce induriti di sterco di cavallo, si piantavano anelli di ferro e chiodi nel corpo per provare il proprio coraggio. Le donne li seguivano senza fiatare, spesso combattevano con loro. Crescevano i figli insegnando loro il piacere selvaggio della lotta e il timore dell’oscurità. Alcune di loro conoscevano le erbe guaritrici, altre possedevano l’Occhio del Male e, tra loro, si chiamavano Strigoi. Erano popoli barbari, senz’altra legge che quella appresa dalla natura con la quale avevano un legame profondo capace di scrutare nei segreti celati dal buio. Nelle loro storie parlavano di una terra leggendaria, la Bashkiria, oltre il fiume Volga un tempo abitata dai clan Kanghar e Phecheneg ma in realtà, di quei luoghi nessuno aveva più una memoria precisa. Nel VI secolo dopo Cristo occuparono un’ampia porzione dell’Europa dell’Est formando un eterogeneo regno barbarico che andava dall’odierna Kiev sino ai Balcani e ai Sudeti. Nel 580 penetrarono nel Peloponneso occupando gran parte della Grecia e della Carinzia. Era impossibile distinguere le varie tribù che cominciavano a differenziarsi a seconda dei popoli con cui venivano a contatto, assorbendo abitudini e inglobando nella loro mitologia elementi differenti. Venivano chiamati semplicemente slavi e raggiunsero il periodo di massima espansione nel IX secolo sotto la guida di Mojimir, sovrano di uno stato indipendente noto come la Grande Moravia che comprendeva quasi tutta l’Europa centrale, aveva rapporti di stretta vicinanza con il regno di Kiev, creato dai Rus - una tribù dei vichinghi danesi - e intratteneva alleanze con Costantinopoli. Fu in quest’epoca che il clan guerriero dei Dragan cominciò a comparire su manoscritti di viaggiatori e monaci evangelizzatori. Se ne parlava come di un gruppo saldamente unito da vincoli familiari, una stirpe di combattenti feroci, spesso mercenari per un signore o per un altro la cui abilità in battaglia era eguagliata solo dalla ferocia. C’era un altro particolare riportato nelle cronache, soprattutto dai monaci che, al seguito di Cirillo e Metodio, iniziarono in quest’epoca una capillare opera di diffusione del Cristianesimo nella regione. I Dragan erano spietati, abili strateghi, sanguinari e implacabili contro il nemico. Parte della loro invincibilità, si sussurrava tra il popolino, veniva da oscuri legami con la stregoneria. Senza dubbio erano superstizioni che gli stessi Dragan si compiacevano di diffondere tra la gente in modo che, prima di loro, arrivassero ai nemici voci di terribili rituali, di morti richiamati in vita e patti con i demoni. Ma erano molti a giurare che Ersbetha figlia di Minhea Dragan avesse divorato il cuore del marito, rampollo di una famiglia nobile di Brasso, per impadronirsi della sua anima. Allo stesso modo sui campi di battaglia attraversati da Stas Dragan, suo cugino, condottiero di una compagnia di seicento cavalieri si trovavano corpi smembrati e dissanguati, disposti come in un rituale. Nei territori greci e macedoni i Dragan cominciarono a essere chiamati Vrykulakes, i Vampiri, creature della fantasia popolare animate dal maligno. In Bulgaria il nome Dragan veniva spesso confuso e scambiato con il termine Draku, che significa Demone dell’Est. Ma la Storia procedeva lasciandosi alle spalle superstizioni e timori. Il Cristianesimo era la nuova arma dell’impero, della civiltà e, uno dopo l’altro, i signori della guerra slavi accettarono di convertirsi per entrare a far parte dei popoli civilizzati e potenti. E, visto che dall’Oriente giungeva la minaccia dei cavalieri dell’Islam, spesso non si faceva troppa distinzione tra coloro che abbracciavano la fede di Cristo per convinzione e chi l’accettava per convenienza. Servivano spade, bastioni per arginare i pirati saraceni e gli eserciti che s’insinuavano sempre più a Occidente. E i Dragan, temuti dai loro stessi fratelli di sangue, combattevano con valore, spargevano panico e distruzione nelle file del nemico. Intorno all’anno 1000 avevano già fama di costituire uno degli eserciti mercenari più temuti del mediterraneo orientale. Sdenka Dragan era cortigiana a Venezia dove si diceva fosse l’amante di un importante membro del Consiglio dei Dieci e svolgesse funzioni di avvelenatrice per la Serenissima. Di certo aiutò suo fratello Marko a ottenere il grado di capitano della Flotta dell’Arsenale veneziano nella lotta contro i pirati saraceni che infestavano le isole dalmate. Benché non fossero cristiani i Dragan offrirono le loro armi durante le Crociate. In particolare Vladomir, conosciuto anche come Ombra che Cavalca comandava una compagnia di 200 cavalieri che partecipò alla IV Crociata, l’infausta spedizione che, deviando dalla meta in Terrasanta finì per saccheggiare Costantinopoli nel 1204. Nei cento anni che seguirono i Dragan consolidarono il loro potere combattendo per vari voivoda in Transilvania, in Ungheria, in Boemia. Anche per loro stava arrivando però il momento di cedere alle lusinghe della modernità, e questa significava piegarsi al Cristianesimo e, pur mantenendo le radici guerriere della casata, allontanare dal titolo nobiliare riconosciuto dai “grandi” gli elementi più incontrollabili e sanguinari della famiglia. Così dal borgo di Sighisoara (oggi Strhassborg) a cento chilometri da Bistrita, in Transilvania, dove si erano stabiliti da più di due secoli i Dragan, si divisero in due branche familiari. Il vecchio Mircea assicurò alla sua progenie diretta un saldo legame con le casate nobiliari del Sacro romano impero, mentre il ramo cadetto fu incaricato di una nuova missione. Radu, nipote di Mircea e capo guerra del clan fu insignito del Sacro Ordine del Drago, difensore della Croce e inviato con i suoi più diretti discendenti e il suo esercito personale verso i Balcani a combattere i musulmani. Era il 1341 e, da quel tempo, questi Dragan- ancora saldamente ancorati alle tradizioni militari ed esoteriche del clan - furono confinati tra quelle montagne impervie, gelide d’inverno, infestate di insetti e aria malsana proveniente dal mare in estate. Rimasero a combattere un’orda dopo l’altra, a distruggere un invasore dopo l’altro, con una ferocia che creava imbarazzo persino nei campioni di quella fede che difendevano. A Roma si preferì ignorarli, tollerandone il regno di terrore solo perché costituiva un baluardo contro l’Islam ma senza permettere che i discendenti di Radu avessero mai accesso al potere, quello reale delle capitali che si andavano formando attraverso guerre, imperi e regni in quel territorio che, molto tempo prima, era stato dominio dei cavalieri dell’est. Nel XIV secolo i Dragan dei Balcani inviarono truppe mercenarie in ogni conflitto europeo, giurando formalmente fedeltà ai loro padroni ma conservando la consapevolezza della loro storia. Appresero nuove tecniche di guerra, strinsero amicizie, s’inserirono negli eserciti delle grandi potenze asburgiche. Durante la Guerra dei trent’anni la compagnia di ventura di Valdemàr Dragan combatté nell’esercito di Wallenstein nella battaglia della Montagna Bianca, militando in seguito per i nemici del condottiero boemo, cambiando fronte. E così, una generazione dopo l’altra, di padre in figlio, da guerriero a scudiero, da strega a fattucchiera, i Dragan, uomini o donne che fossero continuarono a uccidere, a consolidare il loro potere a stringere temporanee alleanze con i propri avversari, assorbendo usi e costumi dei vinti quando era loro di convenienza, mescolando il proprio sangue con quello delle loro vittime. Per secoli, durante le guerre decennali, gli sconvolgimenti politici, l’epoca dei lumi e del vapore, i Dragan rimasero nascosti, comoda risorsa per chi voleva disporre di guerrieri spietati ma, silenziosamente, tornarono a ricostruire legami, vincoli ancestrali dai Balcani sino alla Russia. Si servivano di zingari, nomadi, contrabbandieri, donne di strada ma anche mercanti, soldati, politici di basso livello, trafficanti, ma anche di diplomatici, cortigiane, ufficiali insospettabili inseriti nelle unità più feroci dell’esercito prussiano, asburgico e zarista. Tutti questi regni avevano continuo bisogno di spie, di esecutori feroci, di guerrieri che risolvessero problemi sterminando i nemici sino all’ultimo. Con gli ottomani il Dragan furono sempre in conflitto ma riuscirono a trovare occasioni di scambio, di alleanza. I musulmani li temevano, per la ferocia in battaglia e i macabri rituali demoniaci, ma, occasionalmente, scambiarono con loro informazioni e armi.. Non c’era potere vecchio o nuovo in grado di dominare e assoggettare la loro influenza occulta. I Dragan servirono sotto gli Asburgo durante la Prima guerra mondiale, i tedeschi e il regime filonazista ungherese nel Secondo conflitto mondiale, poi nella nuova era del Socialismo trovarono un accordo con il maresciallo Tito. Infine, dopo la caduta del Blocco dell’Est si allearono con Milosevic e le milizie serbe. Pulizia etnica, guerra ad albanesi e islamici, traffici di droga, armi, donne in tutto il Mediterraneo. Dalle loro montagne i Dragan estesero il loro campo di operazioni nel nuovo scacchiere mondiale indifferenti a ogni cambiamento di confine politico, come sempre avevano fatto. Ma sempre perseguirono, sino a Caspar Dragan, ultimo e più potente signore della guerra dei tempi moderni, il sogno di ricreare quel reame di leggenda evocato al fuoco dei bivacchi dove gli uomini a cavallo diffondevano morte e distruzione, le donne gettavano il malocchio e si nutrivano del sangue dei neonati dei vinti. Un luogo barbaro e primordiale che disprezzava la politica, la civiltà moderna e ogni sistema economico organizzato avesse imbastardito e domato i cavalieri venuti dalla steppa.
Non meno importante di Caspar si rivela Jadranka, la sorella fuggita in Libano negli anni 2000 dopo una serie di feroci llotte con varie organizzazioni malavitose locali. A Beirut Jadranka pare si sia fatta rifare il viso con le fattezze dell'attrice Angelina Jolie ma che abbia perso un occhio in seguito a un attentato della mafia bulgara. Attualmente non si sa molto sulla sua organizzazione che gestisce contrabbando d'armi e attività terroristiche tr ail Libano, i Balcani e la Transnistira.
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