La morte in pentola (Forme Libere, collana Passi nel buio), di Gaia Conventi, è la novella (o il racconto lungo) in giallo già vincitrice del concorso letterario nazionale Passi nel buio 2009. Raccontata in prima persona dalla protagonista Franca, una vedova che sale e scende i suoi quattro piani di scale con disinvoltura, alla faccia dei suoi settant’anni e passa, appassionata di parole crociate e di gialli Mondadori, la vicenda parte da un momento di condivisione in cui realmente si imbattono gli anziani al giorno d’oggi (e non solo loro): apparentemente si tratta di una gita turistica a Ferrara in cui Franca si ritrova a dover accompagnare –suo malgrado– la compaesana Iole che, per nulla autonoma, ha bisogno di una sorta di “badante”. In realtà dietro al modico prezzo della gita (30 euro) si cela l’imbroglio, ovvero il tentativo di smerciare pentolame ai malcapitati. A questo si aggiunge l’interesse di alcuni partecipanti per lo sgargiante anello che la Iole esibisce incautamente al dito. E il passo da situazioni quasi grottesche all’omicido è breve, brevissimo...
Questa giovane autrice ferrarese che scrive gialli e noir dal 2003 e ha vinto diversi concorsi e premi tra cui il Gran Giallo Città di Cattolica 2009 (MystFest) col racconto inedito “La morte scivola sotto la pelle”, ha una scrittura piacevole e scorrevole. L’ironia traspare nei contenuti ma anche nella forma e svela un’artista che con l’ironia ha a che fare spesso nella vita quotidiana ma non la scinde dall’attenzione per la riuscita finale, come la Conventi stessa dichiara: «L'ironia è quella cosa che mi fa alzare la mattina, mi fa tirare dritta fino a notte e mi fa tenere gli occhi aperti: con l'ironia ogni cosa diventa affrontabile e, soprattutto, raccontabile. Il libro l'ho scritto ridendo, lo confesso. Mi capita sempre così quando butto giù una storia ironica, i dialoghi li sparo ad alta voce, al monitor... ci rido sopra, immagino vadano bene, li scrivo. Ecco, a finestre aperte magari i miei vicini mi pigliano per matta, non importa, io sono un po' suonata e non ne faccio mistero. La struttura è venuta un po' da sola, tutto deve avanzare con garbo, è il narratore che fatica, al lettore deve solo rimanere il piacere di arrivare alla fine dicendo "Mannaggia, poteva farlo più lungo!". Ecco il bello del giallo breve, sennò mi ritroverei con lettori come mia madre, che ha letto "Io sono Dio" saltando tutte le descrizioni e dicendo "É una vera pizza, gli sarebbero bastate 100 pagine!"»
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