Come in molti altri casi, è un film di Jean-Claude Van Damme ad aprire nuove strade per la rinascita del cinema marziale, avvenuta sul finire degli anni Ottanta. È proprio un film con protagonista l’allora men che trentenne attore belga ad aprire la nostra rassegna di fantascienza ed arti marziali: si tratta di “Cyborg”, prodotto nel 1989 ma giunto in Italia solamente in home video agli inizi degli anni ’90, in piena Van Damme-mania.
Il mondo del XXI secolo non è un bel posto: i pochi sopravvissuti ad una sorta di olocausto nucleare sono ridotti alla barbarie, e (come se non bastasse) una terribile pestilenza li sta decimando. Degli scienziati, però, hanno trovato una cura alla nuova peste, e l’affidano alla memoria interna di una donna-cyborg (Dayle Haddon) che ha la missione di portarla dove potrà essere sintetizzato un vaccino. Il viaggio sarà ovviamente pieno di pericoli e insidie, e come “compagno di viaggio” avrà Gibson (Van Damme), un guerriero dal tormentato passato.
Il film è girato visibilmente in economia (vengono sfruttati i teatri di posa preparati per il sequel di “Masters of the Universe”, che non venne mai girato per lo scarso successo del primo film) e l’assenza di un coreografo influisce parecchio sulla qualità dei combattimenti, ma lo stesso rimane una perla per amanti del genere. Sia per l’ancora acerbo Van Damme, sia
Da segnalare comunque che malgrado le molte critiche (anche da parte di Van Damme stesso, che non amò mail il film), nel 1993 Michael Schroerder firma “Cyborg 2”, con Elias Koteas e una giovanissima Angelina Jolie; non pago, lo stesso regista torna l’anno successivo con “Cyborg 3: The Recycler”: tutti titoli che, comunque, con le arti marziali non hanno nulla a che vedere.
Nel 1991 ritroviamo Van Damme in un ruolo fantascientifico, affiancato dal famoso Dolph Lundgren: il film è “I nuovi eroi” (Universal Soldier, che ruba il titolo ad un film del 1971 con George Lasenby) di un ancora poco conosciuto Roland Emmerich (che in seguito si farà un nome con “Independence Day”). Il budget per il film è decisamente più alto, gli stuntman e le scene d’azione sono di prim’ordine, ma quello che ne soffre è la marzialità, ridotta allo scontro finale fra i due attori protagonisti.
Il film, onestamente, non è del tutto riuscito, anche perché le aspettative erano alte e gli strumenti a disposizione di ottima qualità: con una sceneggiatura più forte, forse, il film sarebbe diventato un cult. Malgrado nella trama gli altri “soldati universali” non abbiano alcun peso, lo stesso fra di loro troviamo tre nomi noti agli appassionati: Tom “Tiny” Lister jr. (gigante “cattivo” di molti film), Ralph Moeller (già presente in “Cyborg”) e Simon Rhee (ottimo artista marziale e stunt che ha tentato anche la carriera di attore).
In un’intervista dell’epoca, Van Damme raccontò di aver ricevuto una telefonata da Dolph Lundgren in cui questi si lamentava di avere un problema: doveva recitare con Ralph Moeller che era molto più alto di lui; al che Jean-Claude giustamente rispose che lui invece di problemi ne aveva due, visto che era il più basso di tutti!
La storia degli UniSol pare riscuotere più successo di quanto si pensi. Già nel 1998, infatti, vengono girati ben due sequel per il circuito televisivo statunitense: “Universal Soldier II - Brothers in Arms” e “Universal Soldier III: Unfinished Business", con Matt Battaglia ed Andrew Jackson nei ruoli che erano stati rispettivamente di Van Damme e Lundgren; c’è anche il grande Jeff Wincott, in una particina del tutto non-marziale.
In realtà i due film sono consequenziali, tanto che in Italia, nel 2000, hanno avuto un passaggio televisivo satellitare come un film unico: “Progettati per uccidere", parte prima e seconda; dopo un passaggio su Italia1, sono scomparsi senza lasciare traccia...
Ma i sequel de “I nuovi eroi” non finiscono qui. L’anno successivo, 1999, esce “Universal Soldier: The Return” (che in Italia, sempre imbattibile nello sballare i titoli, è stato chiamato semplicemente “Universal Soldier"...). Continuano le avventure di Luc Devereux, che alla sua quarta
Nei primi mesi del 2010 Van Damme torna imperterrito a vestire i panni di Luc Deveraux, e stavolta riesce a scritturare Dolph Lundgren per il “redivivo” (è il caso di dirlo) ruolo di Andrew Scott. Non sappiamo quando arriverà in Italia “Universal Soldier: Regeneration”, ma forse non c’è tutta questa fretta...
Torniamo al 1991 e incontriamo uno dei peggiori titoli di questa rassegna: il dilettantesco “Karate Cop”, scritto, prodotto ed interpretato da Ronald L. Marchini.
Nel futuro la società (tanto per cambiare) è tornata alla barbarie: l’unico ad opporsi alle angherie di bande di teppisti è un poliziotto incorruttibile, esperto in karatè.
Del film non vale la pena parlare oltre, merita invece una menzione Marchini, non solo per aver scritto dei libri di arti marziali, ma perché fu battutto per solo mezzo punto al Tak Kubota’s All-Stars Tournament di Los Angeles... l’avversario che lo vinse era Chuck Norris!
Come si diceva, il tema del Cyborg affascina gli inizi degli anni ’90, tanto che Sam Firstenberg (che i più nostalgici ricorderanno come regista di grandi B-movie marziali anni ’80, “American Ninja” in primis) sfrutta l’onda e dirige nel 1993 “Cyborg Cop”.
Protagonista è David Bradley, che si è conquistato un po’ di notorietà subentrando a Michael Dudikoff nella saga di American Ninja e che in seguito ha attravesato tutti gli anni Novanta specializzandosi in B-movie non sempre marziali. Le sue doti atletiche migliorano ad ogni film, mentre quelle recitative subiscono il percorso inverso...
Gli effetti speciali (arti robotici e facce bruciate a metà) strizzano l’occhio ai vari Terminator, ma in realtà fanno parecchio ridere!
Il film è scarso sotto ogni punto di vista, ma questo non lo dispensa da due sequel: in “Cyborg Cop II” c’è un briciolo in più d’azione, pur rimanendo nel complesso un pessimo film; “Cyborg Cop III” invece è rimasto inedito in Italia.
C’è un vecchio detto che recita: «è sempre meglio essere più che umani». Con questa frase, una voce fuori campo ci introduce nel mondo di Nemesis, la Los Angeles del 2027, città piena di criminali biopotenziali, terroristi dell’informazione, cyborg fuorilegge. In questo scenario ipertecnologico si muove il poliziotto Alex (Olivier Gruner) nella sua lotta senza quartiere contro i cyborg che stanno inesorabilmente impadronendosi del potere. Da Los Angeles a Rio, a Giava, in una lotta che si fa sempre più impari, Alex affronta gli onnipresenti avversari. Ma da ogni scontro esce talmente malconcio da aver bisogno di sempre nuovi bioimpianti per sopravvivere.
Il film dà il “la” a tutta la saga: atmosfere cupe, storie contorte e non sempre chiare, recitazione pessima! La marzialità di questo come degli altri sequel non è molta, ma comunque c’è.
Lo stesso anno Pyun torna al futuro con “Knights - I cavalieri del futuro”, dove ritroviamo Vincent Klyn (cattivo di “Cyborg”) ma soprattutto un Lance Henriksen in piena forma, oltre che il biondo Gary Daniels in un ruolo minore.
La presenza di Henriksen non basta a sollevare il livello del film, che comunque si lascia guardare velocemente senza dare troppo disturbo, gustandosi inoltre le sequenze marziali con protagonista Kathy Long.
Jason Storm (Billy Blanks) fa il poliziotto in una città futura completamente in mano alle gang. Ma non ci sono solo teppisti da strada: una gang si sta organizzando per assumere il dominio totale, grazie a dei “soldati cyborg”. Quando Storm scopre che la soldatessa cyborg è in realtà la sua ex collega, morta durante uno scontro, abbandona la polizia e decide di iniziare una personale guerra contro le gang, aiutato da un potente maestro (Bolo Yeung).
Il film ha una particolarità: è la pellicola occidentale con il più alto numero di combattimenti della storia del cinema! Come dicevo, gli atleti sono di primissima qualità, e i combattimenti meritano tutti: dal primo all’ultimo, sia negli scontri singolari che in quelli multipli, grazie alla presenza di stuntman molto preparati.
Anno 2004: i viaggi del tempo sono realtà! Ma come ogni cosa umana, il problema più grande è proprio il fattore umano: malintenzionati possono infatti approfittare del mezzo per cambiare il passato e così, ovviamente, modificare il futuro. Per evitare questo tipo di problemi viene istituita la figura del Timecop, un guardiano che si occupa di impedire “rimaneggiamenti” del passato e, nel caso, rimettere tutto a posto. Ma se tornando indietro nel passato per inseguire un criminale, il Timecop Max Walker (Van Damme) avesse la possibilità di impedire la morte dell’amata moglie?
I combattimenti sono scarsi, diciamocelo, perché è il primo film in cui Van Damme “tira i remi marziali in barca", preferendo dedicarsi all’azione piuttosto che alla marzialità. Lo stesso rimane un buon film di fantascienza, con bravi attori, buona trama e qualche gustoso effetto speciale.
Ryan Chang è un Timecop, si assicura cioè che malintenzionti non tornino indietro nel passato per modificare il futuro. Dovrà vedersela con la mente malvagia di Branson Miller (Thomas Ian Griffith) che ha deciso di utilizzare la Storia come arma finale.
Paradossalmente, c’è molta più marzialità in questo film, interpretato da Jason Scott Lee, che in quello con Van Damme: eppure quest’ultimo ha una formazione marziale decisamente migliore della veloce infarinatura data a Lee in occasione del film “Dragon - La storia di Bruce Lee"...
Nel 1995 Albert Pyun si prende una pausa dalla “Cyborg-saga” e dirige “Heatseeker": parla sempre di uomini-robot, ma stavolta l’ambientazione è più “sportiva” e decisamente più godevole.
Il film, come di solito tutti quelli di Pyun, ha molte potenzialità rimaste poco sfruttate, e probabilmente in mano ad un regista (e sceneggiatore) più esperto sarebbe diventato un piccolo cult... ma sappiamo tutti che un regista esperto non prende neanche in considerazione l’idea di girare un film dove umani e robot combattono a mani nude!
Una curiosità. Il nome del protagonista, Chance O’Brien, ricorda stranamente “China O’Brien” (in Italia, “Colpo marziale"), film con Cynthia Rothrock in cui lo stesso Keith Cooke è valente coprotagonsita insieme al grande Richard Norton.
La pausa di Pyun, comunque, dura poco, e lo stesso anno esce “Cyborg Terminator 2” (Nemesis 2: Nebula).
La muscolosa bodybuilder Sue Price si lascia sempre ammirare con piacere, ma il tempo passato in palestra sicuramente non eguaglia quello passato in una qualsiasi scuola di recitazione. Va inoltre precisato che durante la Cyborg-saga la marzialità va costantemente scemando.
Una curiosità. Grazie alla sempre attenta distribuzione italiana, non esiste un “Cyborg Terminator 1", ma solo il 2...
Rimaniamo inchiodati nel 1995, perché abbiamo una sferzata di marzialità con “Dragon Fire”. Arrivato in Italia prima su satellite e poi in un’edizione DVD Stormovie insolitamente buona, è un film a basso (anzi, bassissimo!) costo ma molto ben curato dal punto di vista marziale.
Va ripetuto: si tratta di un B-movie di poche pretese, ma la bravura marziale degli interpreti fa chiudere un occhio sulle smagliature della storia. Uno dei protagonisti, Kisu, è anche il coreografo dei combattimenti del film: un lavoro svolto egregiamente! Fra i “cattivi” abbiamo Randall Shiro Ideishi, attore marziale secondario di molti film del genere (in realtà molto poco conosciuto ma bravo), e Michael Blanks (fratello del più famoso Billy), gigante nero dalle assenti qualità recitative ma di grande agilità marziale.
Da gustare il combattimento finale, fra i più “posticci” mai visti (io do un colpo a te, tu dài un colpo a me; io faccio un salto mortale di mezz’ora, mentre tu aspetti pazientemente di ricevere la piedata!), ma comunque gradevole per l’agilità dei partecipanti.
Nel 1996 abbiamo altri due capitoli della Cyborg-Saga di Albert Pyun: “Cyborg Terminator 3” (Nemesis 3: Prey Harder)...
... e “Nemesis 4: Death Angel”, sperando che sia finita qui la storia!
Alex dovrebbe uccidere un uomo, ma preferisce discutere col suo partner e mostrarsi in varie pose, con più o meno vestiti addosso.
Sue Price è fissa nel ruolo di Alex, anche se ovviamente la storia perde parecchio del suo mordente (se mai ne ha avuto).
L’inizio degli anni Duemila vede l’apparire dell’ultimo titolo in cui la fantascienza sposi le arti marziali: lo statunitense “The One” (2001) di James
Un pericoloso criminale, Lawless (Jet Li), sta utilizzando un macchinario fenomenale per passare da un universo all’altro ed uccidendo ogni “versione” di se stesso, acquisendo così fenomenali poteri: il suo scopo è diventare l’Unico di tutti gli universi, una sorta di semidio. Evan Funsch (Jason Statham) è un poliziotto del corpo speciale che deve controllare che azioni del genere non vengano compiute: insieme a Gabe (sempre Jet Li) dovrà contrastare le azioni di Lawless.
Film nato in origine per l’attore-wrestler The Rock, punta tutto sugli innovativi effetti speciali (permettere che Jet Li combatta con se stesso è stata operazione lunga e laboriosa), lasciando forse troppo in secondo piano la sceneggiatura e i personaggi. Sicuramente un passo falso nell’allora ascendente carriera hollywoodiana di Jet Li, ma la presenza di un professionista eccezionale come Corey Yuen alla coreografia dei combattimenti fa sì che il film, almeno da quel punto di vista, sia assolutamente godibile.
Chiudiamo segnalando l’unico film asiatico di cui abbia notizia dichiaratamente fantascientifico (cioè non wuxia, fantasy o “paranormale”): “Robotrix” (Nu ji xie ren, 1991) di Jamie Luk, con la bella (e maggiorata) Amy Yip.
Il film è inedito in Italia (e lo resterà credo per sempre), ed alterna fenomenali combattimenti marziali a scene ispirate dai vari “Terminator", passando da forti dosi di softcore! Sì, perché la donna-robot vuole scoprire cosa si prova a fare l’amore come una donna vera!
Con il tramonto del cinema propriamente marziale in Occidente, svanisce il connubio con il più occidentale dei connubi, quello con la fantascienza. Dall’Asia arrivano ed arriveranno sempre esempi di film wuxia (o “fantasy”) con forti dosi marziali, ma quello con la fantascienza occidentale è un sodalizio che non sembra dare segni di una futura rinascita.
Consoliamoci con i titoli qui riportati.
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