Sei editor per Newton Compton. Ma hai lavorato anche per Fazi. Ci racconti i passaggi fondamentali della tua carriera?

Non parlerei di carriera. Lavoro ormai da più di 5 anni nell’editoria, ma credo siano gli albori del mio percorso. Prima di lavorare da Fazi ho lavorato per più di tre anni da Carocci. Mi occupavo di saggistica: filosofia, psicologia e poi architettura. Quello è stato un periodo molto formativo: ho imparato cos’è un progetto editoriale, come si costruisce una collana. Lavoravo molto col mondo universitario, da cui ero appena uscita, dopo il dottorato, e  a stretto contatto col direttore editoriale, Gianluca Mori, a cui devo moltissimo. Ad un certo punto ebbi voglia – ma lo sentivo da tanto – di narrativa. Fui fortunata: mandai un curriculum a Elido Fazi che dopo due colloqui ed una scheda prova su un libro, per testare la mia “sensibilità letteraria”, il 26 dicembre, per telefono, mi disse che mi prendeva a lavorare alla Fazi. In due anni ho davvero imparato tanto. Soprattutto ad andare al di là, quando occorre, del mio personalissimo gusto, a giudicare romanzi  che appartengono a generi non proprio nelle mie corde, ma che sono comunque buoni ed hanno un largo pubblico. Soprattutto, non lavorando più da esterna, ho visto tutti i passaggi che portano ad un libro finito, quello sullo scaffale di una libreria: l’arrivo del manoscritto, l’editing, la copertina, fino alla promozione.  Da poco sono approdata alla Newton Compton, dove continuerò ad occuparmi di scouting ed editing, sia per la narrativa che per la saggistica. Per ora sono soddisfatta. Di una cosa sono certa: questo è il lavoro che mi rende felice e che voglio fare nella vita.

 

Quando e perché hai deciso che avresti lavorato nell’editoria?

È accaduto un po’ per caso. Dopo il dottorato, i tempi di attesa per un assegno di ricerca erano lunghi. Allora comincia a mandare qualche curriculum: ho lavorato come ufficio stampa (sempre per enti od eventi culturali) e poi arrivò Carocci. Lì capii che quel mondo mi piaceva. E soprattutto capii che per me nel lavoro – e con lo studio universitario questo è complicato, soprattutto se fai filosofia! – è essenziale lo scambio continuo con gli altri: colleghi e autori, in questo caso. Da Fazi però ho capito anche che la passione vera era la narrativa. Dopo qualche tempo la saggistica – forse per la nostalgia  del mondo in cui ero stata per molti anni – mi è mancata un po’. Ma ora è arrivata la sintesi: avrò l’opportunità di occuparmi di entrambe!

Se tu dovessi condensare la definizione del mestiere di editor in pochissime parole, cosa scriveresti?

Direi che l’editor è chi fiuta un libro quando è ancora in pagine sparse o solo un’idea nella mente di qualcuno (editor o autore che sia) e lo fa crescere insieme al suo autore nel modo migliore possibile.

 

Quali sono i momenti più gratificanti del tuo lavoro e quali –se ci sono– quelli più difficili?

Scoprire un autore tra i manoscritti che arrivano.

Lavorare insieme a lui, sentire la complicità umana e professionale che cresce, imparare e dare quel che si sa, e pian piano vedere il libro che migliora, finché esce, ed allora, per alcuni istanti, davvero si prova la gioia di una nascita. Oppure proporre un’idea all’editore, trovarlo disposto ad ascoltarti, cercare chi possa realizzarla. Questo avviene più con la saggistica ed è una gratificazione di diverso tipo.  I momenti più difficili? La lotta contro il tempo quando le cose si accumulano, l’incontro con autori complicati, o il non poter vedere pubblicato qualcosa che si trova bello, in cui si credeva,  ma che non corrisponde alla linea editoriale. O anche andarsene da un posto di lavoro e non poter più “prendersi cura” di quegli autori che avevi scelto e che avresti seguito…

 

Cosa consiglieresti a chi volesse tentare il mestiere dell’editor? Quali sono le conoscenze imprescindibili e le abilità necessarie?

È la mia personale opinione, ma o sei portato a farlo o non lo sei. Si può migliorare. Ma non proprio imparare. Ma forse qualcuno dissentirebbe.  Bisogna essere curiosi, amare la ricerca e la scoperta, leggere tanto e soprattutto non essere solo e sempre condizionati dal proprio gusto. Direi anche che è meglio quando si hanno tanti interessi, quando non si amano solo i libri, ma tutto ciò che è in contatto con loro: penso alla musica, al teatro… E soprattutto, ma questa è una personalissima opinione, bisogna avere una passione per la natura umana. Un libro ce ne svela sempre una piccola parte. Questo è l’aspetto  che più mi affascina in questo lavoro. Direi, per finire, tanta passione: ogni libro è una cosa cara e preziosa,  come un figlio – direi – se ne avessi! 

 

Tra i libri di cui ti sei occupata come editor, ti chiediamo di nominarci quello più ironico.

Si tratta di un libro che ho curato per Voland, di un autore romeno: Mircea Cartarescu “Perché amiamo le donne”. Non solo di rara bellezza letteraria, ma al tempo stesso attraversato da uno sguardo sottilmente ironico e inusuale sul mondo femminile.

 

Quello che più induce alla malinconia.

Il gioco delle farfalle, di Manuela Bisani, sempre di Fazi.

Lo scelsi, anche se non lo curai direttamente io. La figura di Marinella, una ragazzina che vive in un paese del Sud, in un mondo tutto suo, con difficoltà nel comunicare, additata da tutti come strana, ed insieme  la storia che la circonda:  beh, sì, erano malinconici.

L’ultimo a cui hai lavorato.

Ignazia, di Enzo di Pasquale, uscito per Fazi. Uno dei primi libri che scelsi. Libro magico, come magica è la sua protagonista,  venato da una nostalgia che mai però si trasforma in tristezza ma anzi, si volge in serenità. Stile a tratti lirico, a tratti aspro, come lo “scoglio” su cui è ambientato il romanzo, Marettimo. Di quella storia mi innamorai sin dalle primissime pagine del manoscritto.

 

Tre caratteristiche di un manoscritto che ti incuriosiscono.

Tre sono troppe! Se mi incuriosisce, mi incuriosisce da subito. Quindi: un incipit in cui la lingua abbia qualcosa di particolare, in cui io senta che le parole stanno insieme per una qualche necessità (lo vogliamo chiamare stile?)  ed io abbia chiara l’impressione che la storia si profilerà in un modo che cattura il lettore.

Tre caratteristiche che ti fanno chiudere e rifiutare il manoscritto.

Più facile: lingua sciatta, assenza di struttura, autoreferenzialità.

 

Un manoscritto che non dimenticherai mai perché particolarmente bizzarro (al di là che possa essere stato o meno pubblicato)

Era un omaggio a Chandler e succedevano cose piuttosto bizzarre.

C’è un genere in cui più si cimentano gli esordienti?

Più che genere, direi che gli esordienti  amano parlare di sé, qualsiasi età abbiano. Scrivono storie in cui il centro dell’universo è la propria esperienza personale. Questo a volte va bene ma…. Vedi la risposta che segue.

Un consiglio tecnico e uno teorico per gli esordienti.

Pensare alla struttura, all’ossatura del romanzo. Sono le coordinate che il lettore ha per orientarsi: se ci sono non se ne accorge, ma si sente a suo agio, se mancano si annoia. Teorica? Non so se sia teorica, direi piuttosto un imperativo: pensare al lettore quando si scrive e non solo a se stessi. Non intendo dire compiacere il lettore, tutt’altro.

Ma fare in modo che la propria esperienza, o quella di qualsiasi altro protagonista, si faccia da particolare universale (o almeno aspiri ad essere tale). Questo rende un romanzo un bel romanzo. Pensa a Proust, l’archetipo delle storie d’amore… Scherzo, ma ci sono milioni di esempi. E soprattutto, far parlare i personaggi, non far sentire al lettore il grillo parlante dell’autore, sempre in agguato. Altrimenti i personaggi restano inanimati, non vivono di vita propria.

Com’è la situazione dell’editoria, in Italia, oggi? C’è chi dice che non è vero che la crisi abbia colpito così drasticamente anche il settore editoriale. Sei d’accordo?

Dai dati che mi vengono sottoposti direi di no. Forse ha colpito la piccola (proprio piccola, ma non per questo non buona) editoria.

 

Cosa ne pensi della pubblicazione, da parte di grandi case editrici, di libri commerciali firmati da soubrette, calciatori, ex concorrenti del Grande Fratello?

Risposta doppia: personalmente li farei solo se li giudicassi buoni. Ma credo anche che una casa editrice possa fare dei libri commerciali per avere anche la possibilità di fare dei libri belli, che magari vendono, ma vendono un po’ meno. Questo sarebbe l’ideale, per me.

Progetti?

Iniziare bene questa nuova esperienza alla Newton, curare  presto qualche buon libro, e dare una qualche stabilità alla mia vita lavorativa.

Ci saluti con una citazione cui ogni tanto ti piace pensare?

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale…