Mezzo passo falso per il cinquantatreenne scrittore tedesco Veit Heinichen che vive a Trieste e vi ambienta i suoi noir anche se scritti nella lingua madre.
In quest’ultimo romanzo della serie dedicata al commissario Proteo Laurenti – il sesto a essere tradotto – l’autore mette infatti troppa carne al fuoco con una propensione al tono didascalico e talvolta persino supponente che finisce per penalizzare le potenzialità del suo eroe.
Siamo infatti nella settimana che precede il Natale 2007 quando sta per cadere, in virtù del Trattato di Schengen, l’ultima frontiera della Guerra Fredda, quella tra Italia e Slovenia, e l’ultimo muro, quello di Gorizia.
Basterebbe già questo a dare uno spessore particolare alla vicenda: invece Heinichen utilizza l’evento come una sorta di inutile spot per la collaborazione transfrontaliera tra poliziotti italiani e sloveni (Laurenti da un parte e i commissari Rožman di Sesana e Pausin di Capodistria dall’altra) e solo come sfondo a un’intricatissima vicenda in cui operano molteplici attori con torbidi intrecci: squali della finanza internazionale come lo slavo-americano Goran Newman, detto Duke; geniali operatori di borsa con grandi ideali come suo figlio Sedem, disabile dopo un tragico incidente; loschi figuri dei servizi segreti della ex Jugoslavia che si sono riciclati come uomini d’affari senza troppi scrupoli come Boris Mervec e Dean Čuk; balordi locali come Marzio Manfredi che vivacchiano contrabbandando di tutto; mafiosi calabresi che hanno allungato i loro tentacoli anche nella fertile (per loro) situazione economica della Dalmazia. Se si aggiunge poi lo spaccio di droga, i vasti – e illegali – interessi immobiliari sulla costa croata e gli incontri clandestini, con relative scommesse milionarie, tra cani, si può capire come sia quasi fatale che la vicenda si impantani; anche perché non mancano poi le vicende private a insaporire, si fa per dire, il tutto.
E così dotte – e spesso noiose – spiegazioni sul (mal)funzionamento della finanza internazionale si alternano a commoventi – ma purtroppo risibili – inserti in soggettiva del pitbull Argo che descrive il suo personale calvario di cane addestrato a uccidere; ed è evidente la scarsa simpatia dell’autore (e di certi suoi personaggi) per il nostro attuale presidente del consiglio che si accompagna a quella per certi disinvolti personaggi dell’economia e della politica statunitensi; gli amori dell’ispettrice Pina Cardareto – una sorta di Nikita calabrese – si alternano poi ai tentativi del commissario Laurenti che cerca, senza successo, di rinverdire gli ormai trascorsi fasti sessuali con l’affascinante sostituto procuratore di Pola Živa Ravno; i figli di Laurenti infine si segnalano per la loro non ineccepibile condotta: le “canne” di Marco, la gravidanza extramatrimoniale di Patrizia e la guida in stato di ebbrezza di Livia salvata in extremis dal padre da una pattuglia della Stradale.
Troppo di tutto, insomma. Heinichen, col materiale di questo romanzo avrebbe potuto tranquillamente confezionarne tre e invece, con una sorta di furia accumulatoria, si avvita su se stesso, penalizzando oltre tutto la narrazione con la piattezza di certi dialoghi, troppo costruiti a tavolino e privi del calore del parlato.
Eppure bisogna dare atto a Heinichen di aver inserito a pieno titolo Trieste e la Venezia Giulia nella geografia del noir italiano, in maniera assai più convincente di certe recenti fiction televisive (da Un caso di coscienza a Io e mio figlio) i cui sceneggiatori e registi credono che basti offrire, ogni tanto, una cartolina di Piazza Unità d’Italia o del castello di Miramare per certificare l’origine d.o.c. della vicenda poliziesca. Qui almeno si sente l’urgere di problemi concreti, reali, locali eppure internazionali, glocal verrebbe da dire, che d’altra in altra occasione – sempre in questa sede – abbiamo avuto modo di apprezzare.
E allora, pur non sapendo se ridere o piangere leggendo il “diario” di Argo, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno, rimandando alla prossima puntata della serie un giudizio definitivo.
Voto: 5.5
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