Credo che, tra tutti i miei romanzi ‘Vento del Demonio’ sia uno dei più amati. Come? Mai sentito? be’, fu pubblicato con il titolo ‘L’Ombra del Corvo’. Storia editoriale difficile anche in questo caso. L’idea del romanzo la strutturai nell’estate del ’94 durante un viaggio in Pakistan. Eravamo in una situazione geopolitica molto differente da quella attuale ma la frontiera del Nord Ovest pakistano sino al mitico Khyber pass era un luogo pericoloso e affascinante. Una zona tribale dove si viaggiava con la scorta e tutti giravano armati. Era ancora possibile, però, avventurarvisi senza correre ‘eccessivi’ rischi. Personalmente è stato il viaggio in cui ho avuto realmente paura in diverse occasioni. Situazioni di tipo personale e ambientale. La fantasia comunque galoppava. ‘Lacrime di Drago’ stava per uscire e ancora ero convinto di avere davanti a me un luminoso avvenire da autore rilegato. Insomma non sapevo nulla del cambiamento ai vertici mondadoriani che di lì a poco avrebbe rimescolato le carte lasciandomi aperta la via dell’edicola ma non quella della libreria. ‘Sconti di essere entrato come redattore’, mi disse qualcuno. Ma l’aspetto creativo del mio percorso seguiva, fortunatamente, strade più esaltanti. Volevo tornare allo schema narrativo di ‘Pista Cieca’. Un gruppo di uomini che si odiano costretti a collaborare per recuperare qualcosa... in questo caso un carico di armi biologiche lasciate dai russi durante la ritirata nell’89. C’erano, però, altri elementi che premevano per emergere. Visto che continuavo a sentirmi dire che le mie storie erano troppo distanti dalla realtà italiana e che era per quello che mai mi avrebbero preso in considerazione per partecipare a qualche premio, o rassegna... decisi di partire dall’Italia. Ovviamente con un personaggio italiano. Marc Bastien, l’eroe di ‘Pista cieca’, aveva portato a termine la sua vendetta e, se non era dell’età pensionabile, almeno per un po’ aveva esaurito la sua carica emotiva. Nasceva così Bruno Genovese, ex militare italiano diventato poi una specie di agente di ventura. Vi ricorda qualcuno, eh? Sì, il Professionista stava nascendo in quell’epoca per un canale completamente diverso (il fumetto) ma aveva una storia quasi uguale. Quasi la stessa età, gli inizi in Libano nell’82 e, nella mia mente lo vedevo ugualmente come Tom Berenger nel cinema degli anni ‘80. La vicenda partiva da una Milano nera che non era ancora ‘Gangland’ ma vi si avvicinava parecchio. C’era un losco personaggio che trafficava in armi (un industriale italiano che all’epoca era così ma se fosse sopravvissuto sarebbe senz’altro entrato in politica), i locali dove si svolgevano combattimenti di cani clandestini e, anche nel ristretto numero di capitoli ambientato a Cortina, si vedeva un’Italia più internazionale, lanciata verso intrighi lontani... dal Commissario Cliché, i noir psicologici, figuriamoci i post noir... insomma mi sembrava una buona idea di partenza. Ovviamente la cosa finì che pubblicai il romanzo con un titolo che richiamava un film di successo all’epoca, con uno pseudonimo e, ovviamente, arrivò in libreria molti anni dopo essere stato scritto. Malgrado ciò devo tutta la mia riconoscenza a Giovanni Arduino che all’epoca lavorava alla Sperling che credette nel progetto e fece quello che poté per farlo pubblicare non essendo responsabile della narrativa italiana del suo gruppo editoriale. Grazie Giò, perché altrimenti quel romanzo sarebbe ancora là, tra i manoscritti non pubblicati. Chiarito questo, torniamo alla storia. Un legame, oltre che concettuale con ‘Pista Cieca’, c’era eccome. Visto che non era un serial ma un episodio di una saga di storie legate ma autoconclusive, alcuni personaggi già incontrati ritornavano, magari cambino ruolo. Fu il caso di Ermelinda Casillas co-protagonista di ‘Pista cieca’ che qui ritrovavamo dopo un po’ di anni in un ruolo decisamente più importante e... con un aspetto fisico leggermente differente. Mentre la ‘ prima’ Ermelinda era stata ispirata a una persona che frequentavo negli anni ‘80, questa aveva caratteristiche un po’ diverse. Fisicamente si presentava con l’appeal di Rebecca, una ragazza che frequentavamo all’epoca. Una ragazza un po’ sbandata ma che aveva fatto poi una certa carriera passando prima per una rivista patinata italiana e poi per playboy negli USA. Mai più rivista se non negli speciali della rivista di Hefner. Però fisicamente era il tipo giusto. Come giustificare questo mutamento fisico? Be’, alla fine di pista cieca Ermelinda si ritrovava con un bel gruzzolo e nessuna prospettiva per il futuro. Decisa a non fare più la mercenaria aveva impiegato i suoi soldi per rifarsi la plastica assumendo una bellezza algida, quasi immutabile nel tempo. Due anni trascorsi a fare la bella vita in Costa Azzurra poi, secondo il carattere che l’aveva contraddistinta, era tornata a fare quello che era destinata a fare: l’avventuriera. Nasceva poi anche un personaggio che ancora oggi compare trasversalmente nelle mie serie: Raven. L’ispiratore fu Brandon Lee visto in un filmaccio, ‘Laser Mission’, e in ‘Showdown in Little Tokyo’. Mi sembrava perfetto come eurasiatico. Un cattivo di quelli che non si dimenticano ma con una sua contorta storia e psicologia. Inseriva un elemento mistico se non fantastico. Nel romanzo ne seguivamo per flashback la vicenda sin da prima della nascita. La madre era una Mikosan, una fattucchiera dell’Isola di Sado, legata a clan Shugendo, una disciplina simile al Ninjitsu che si legava anche alla pratica dei tamburi sacri. Il vincolo spirituale con il demone–corvo, le successive influenze della magia siberiana ammantavano la formazione di Raven di un alone mistico che mi permetteva di fare una cosa che, in qualche modo aveva già le sue radici in ‘ Lacrime di Drago’: ossia mettere in scena i Ninja evitando tutta l’iconografia classica che ormai i film della Cannon hanno reso quasi parodistica tanto è stata abusata. Oltretutto Lustbader aveva scritto tutto quello che si poteva sui Ninja, lasciando ben poco spazio a chi volesse ripercorrere quell’argomento. Così seguii una linea di ricerca rifacendomi alle radici della disciplina che sono cinesi e siberiane secondo le informazioni fornite dal massimo esperto europeo, Sylvian Guitard, che dagli anni 80 pratica appunto una forma di arte marziale animista che si chiama Shughendo. L’idea era riproporre il mito del Ninja evitando di cadere nei cliché troppo riconoscibili dal pubblico. Raven era (ed è) un guerriero mistico che abbina tradizioni giapponesi, cinesi e siberiane. Il suo incontro con Bruno avveniva nel passato, in un lungo flashback ambientato a Taiwan. Anche qui una citazione. Il torneo a molti può ricordare quello dei ‘Tre dell’operazione Drago’. In verità, anche qui, volevo realizzare una variante che mi consentisse di uscire dallo stereotipo senza perdere il gusto della leggenda. Il torneo descritto è la riproduzione di un torneo che si svolse alla fine degli anni ‘80 proprio a Taiwan in cui si combatteva realmente con qualche restrizione. Mi fu di grandissimo aiuto assistere a diverse competizioni di Karate Kyokushin che riproponevano le stesse regole. Contatto pieno ma senza pugni al viso. Vi assicuro che si tratta di una formula durissima anche se decisamente meno feroce di quella mostrata nei film o nelle odierne competizioni di Mixed Martial Arts. In questo contesto c’era persino un collegamento con ‘Lacrime di Drago’. La sequenza, ambientata negli anni ’80, vedeva come comparse anche Santo Castigliane e la figlia Kim, in un brevissimo cameo che collegava i due romanzi. Il fattore fondamentale però era l’ingresso di un protagonista italiano, appassionato di combattimento nel mondo delle triadi, dei duelli clandestini e senza regole. Ovvio che qualcosa della storia vera di Frank Dux (già ispiratore di Van Damme per ‘Senza esclusione di colpi’ ci sia stato) ma ne emerse un mix nuovo che da una parte strizzava l’occhio a Bruce Lee ( Raven si presentava al torneo vestito come nei ‘Tre dell’operazione Drago’) e dall’altro proponeva un’immagine per quanto possibile realistica di una competizione. E qui emergeva un tratto singolare per un cattivo. Raven, il guerriero invincibile, l’assassino perfetto, rivelava una mentalità fanciullesca, infantile di fronte alla sconfitta. Il suo legame con la madre era un nervo scoperto che lo rendeva più umano, più debole del suo stesso avversario. Bruno Genovese era un personaggio in trasformazione. In questo romanzo lo vediamo dapprima ancora giovane, più vulnerabile psicologicamente, poi ferito dalla vita,decisamente più esperto nella sezione contemporanea della storia. Ma ancora è lontano dal personaggio che diventerà dieci anni dopo, in ‘Ora Zero’ e nei suoi seguiti. Di sicuro credevo che, dopo una lunga e frammentata avventura tra l’Europa e l’Asia la storia di Bruno, di Ermelinda e di Raven finisse così, con una catartica battaglia dall’esito incerto sulle montagne intorno alla valle di Hunza al confine tra Pakistan e Cina. Il destino aveva deciso diversamente. Il titolo ‘Vento del Demonio’ (che spero sia quello della ripubblicazione in Segretissimo...ancora una volta non so quando, ma il testo è già stato acquisito...) alludeva a un’arma di distruzione di massa persa dall’Armata Rossa nella ritirata dell’89 e rimasta là, ad aspettare che qualcuno la recuperasse con esiti... micidiali. Ritroveremo, incidentalmente, il Vento del Demonio in ‘Il circolo Kandinsky’ secondo episodio della miniserie(7 episodi) dedicata a Vlad. Alla fine tutto ritorna e si riallaccia. Anche personaggi e situazioni che, quando uno le scrive, pensa che siano finite lì...e invece...