Agli inizi dell’Ottocento lo storico e compositore svedese Erik Gustaf Geijer volle raccogliere in una ballata le varie versioni di un’antica leggenda popolare locale: “Pehr Tyrssons döttrar i Vänge” (scritta in varie grafie a seconda delle fonti), le figlie di Tyrssons in Vänge. Questa località si trova nella Svezia meridionale e viene chiamata oggi Malmskogen (nell’Östergötland): qui arriva dal Medioevo l’eco del racconto dei tragici eventi che accaddero alle figlie di Tyrssons.
Le ragazze si svegliarono presto, una mattina, e si diressero verso la chiesa del paese. Attraversando i pascoli di Vänge, però, incontrarono tre pastori malintenzionati. «Decidete - dissero alle giovani donne - o divenite nostre spose, o perderete la vostra vita.» La risposta fu immediata: «Preferiamo perdere le nostre giovani vite che divenire spose di pastori»: gli uomini tagliarono loro la testa e le seppellirono nel fango. Portarono però via i vesiti per venderli al villaggio. Arrivati alla tenuta dei Töre, cercarono di vendere i vestiti a Lady Karin, ignorando che fosse la madre delle ragazze uccise. La donna risconobbe subito i vestiti delle figlie e corse dal marito. «Ci sono tre pastori nella nostra tenuta - gli disse. - Hanno ucciso le nostre figlie.» Tyrssons sguainò la spada ed uccise subito i due uomini più vecchi. Al terzo più giovane chiese quali fossero i nomi di suo padre e sua madre. Alla fine, per espiare i peccati l’uomo si impose di erigere una chiesa che avrebbe chiamato Kerma.
Questa è la Ballata delle figlie di Pehr Tyrssons come l’ha codificata Geijer.
Vero e proprio vengeance movie, il film narra la triste storia della figlia di Töre (una delle varianti del Tyrssons della ballata), che viene inviata a portare un cero alla Madonna della chiesa oltre il bosco: usanza riservata alle vergini. Karin (nome della figlia nel film, della madre nella ballata!) è accompagnata nel viaggio dall’amica Inger, vistosamente incinta e con sentimenti di forte contrasto con l’amica vergine. Durante il viaggio incontrano tre pastori, due adulti e un ragazzo, i quali prima invitano le donne a rifocillarsi e poi invece si avventano su Karin: la violentano e la uccidono a bastonate senza che l’amica Inger abbia la forza di fare null’altro che fuggire. I tre pastori lasciano il corpo della donna in strada ma le rubano i vestiti, che cercheranno di vendere alle signore del posto, una delle quali è proprio la madre di Karin che, riconosciuto il vestito della figlia (sporco di sangue!), avverte il marito del destino della ragazza. Töre, avvertito nel frattempo anche da Inger che è tornata a casa, si lancia in un rito pagano di preparazione: al sorgere dell’alba, con un coltello massacra i
Uno dei punti cruciali del film è l’uso di una violenza cruda, sia da parte dei pastori che da parte di Töre. Quest’ultimo è interpretato da un eccellente Max von Sydow, dall’espressione di muto dolore e cieco furore, che dopo essersi mortificato il corpo con verghe di betulla, attende l’alba seduto in mezzo ai propri nemici: non è un’esplosione di violenza, la sua, è un calcolato e calibrato gesto di vendetta furiosa. Anche il giovane pastore, che non ha preso parte allo stupro, verrà trucidato senza un attimo d’esitazione: «Mia sarà la vendetta e il castigo» dice il Signore (Deut. 32:35), ma in quella stanza chiusa è Töre l’unico dio, ed è lui a decidere il prezzo della vendetta.
Craven decide di alterare rigorosamente i personaggi bergmaniani adattandoli alla realtà contemporanea. La vergine e pia Karin diventa Mari Collingwood, disinibita diciassettene emancipata che parla di “tette” coi genitori e con la sua amica decide di andare al concerto de “I Sanguinari”. I pascoli del Vänge diventano i bassifondi cittadini, e i tre pastori diventano tre pregiudicati che racchiudono i peggiori vizi della società contemporanea: violenza, droga, alcol, pedofilia, e chi più ne ha più ne metta. Ai due adulti e un ragazzo di Bergman si aggiunge una donna «dall’aspetto animalesco» (giudizio che rimanda ad idee fisiognomiche secondo cui una persona crudele porti scritta in faccia la propria natura: non si spiega però l’utilizzo di una attrice bella!) La gang di criminali si presenta come una serie di cattivi da operetta, con accompagnamento musicale ai limiti della parodia (eseguito da David Hess, che interpreta anche il capobanda): la ferocia dei quattro si mostrerà solo quando, rapite Mari e la sua amica, le portano in un bosco e abusano di loro con inaudita violenza. Costringono le due donne a copulare fra di loro per poi massacrare (nel vero senso della parola) l’amica e stuprare ed uccidere Mari, in una rappresentazione della violenza che atterrisce lo spettatore proprio perché semplice, senza alcun velo, e quindi inquietantemente “naturale”. «Prima la violenza cinematografica era gentile e pulita - avrà a dire Craven in seguito - io l’ho resa dolorosa, prolungata, scioccante e molto umana. E sono io che ho reso umani gli assassini.» Da notare come la toccante scena del dopo-stupro sembri tagliata di netto dalla versione bergmaniana.
Il regista in seguito non manterrà un buon rapporto con questo film (che sembra non abbia mai più voluto rivedere), ma è innegabile che gli diede un’improvvisa quanto esplosiva notorietà. La violenza tanto esplicita quanto “normale” del film supera di gran lungo qualsiasi pellicola mostrata fino ad allora, aprendo le porte ad un tipo diverso di cinema horror.
Il film ha avuto problemi di distribuzione in tutto il mondo, ma il caso più eclatante rimane la Gran Bretagna, dove ancor’oggi la pellicola non può essere trasmessa in una sala cinematografica!
Arriviamo nel 2009 e non sembra esserci pace per la povera figlia di Töre.
Convinto forse che la leggenda popolare svedese abbia ancora bisogno d’essere raccontata (ma più probabilmente preso dal gorgo dei remake da cui Hollywood non sembra avere forze per risalire), Dennis Iliadis dirige “L’ultima casa a sinistra”, dove Adam Alleca e Carl Ellsworth ricalcano passo per passo il film di Craven, modernizzandolo. Attenzione, però: non quel tipo di “modernizzazione” che Craven ha applicato a Bergman, bensì la modernizzazione modaiola del teenage horror movie dove tutto si promette ma niente si fa, dove tutto si dice ma niente si fa vedere.
Finita la blanda violenza sulle due giovani, la scena si sposta a casa del padre di Mari Collingwood, dove si sfiora il ridicolo. Una scena eternamente lunga mostra allo spettatore come John Collingwood, che è
Essendo un remake pedissequo e senz’anima, il film di Iliadis è vittima del peggior commento che un’opera possa subire: le parti originali non sono belle, le parti belle non sono originali!
In conclusione, i tre film di cui si è parlato mostrano tre modi molto diversi di raccontare la stessa storia, una storia di violenza che attraversa il nostro mondo senza scorgere all’orizzonte alcuna speranza di redenzione. Tre autori molto diversi tra loro, immersi in culture molto differenti, hanno parlato di violenza e di vendetta in un mondo e in un modo umano, facendosi interpreti muti della realtà. Bergman, finita l’esplosione di violenza, fa cercare rifugio ai suoi personaggi nella religiosità; Craven abbandona i propri muti personaggi al loro destino; Iliadis... sta bene attento che non si inquadri mai il pube dell’attrice per non perdere il pubblico giovanile!
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